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MA L'ESAME DI COSCIENZA NON È ESAME SULLA CHIESA

Mary Ann Glendon

Alle persone interessate alla religione e alla vita pubblica non sarà certamente sfuggito un fenomeno. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a molte pubbliche dichiarazioni di postumo cordoglio relative a errori e sbagli commessi da rappresentanti ufficiali o membri della Chiesa cattolica in diversi momenti della sua storia. In un nuovo libro intitolato Quando il Papa chiede perdono, Luigi Accattoli ha contato ben novantaquattro casi in cui lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto gli errori e le colpe del mondo cristiano, riguardo, ad esempio, alle Crociate, all'Inquisizione, alla persecuzione degli ebrei, alle guerre di religione, al caso Galileo o al trattamento delle donne.

Questa attività penitenziale è legata a una lettera apostolica del 1994 - la Tertio Millennio Adveniente - in cui il Papa sostiene che il periodo che porta al terzo millennio dovrebbe essere considerato come un Nuovo Avvento per prepararci al quale dovremmo portare a termine un serio, approfondito esame di coscienza. Scrive il Papa: «Mentre il secondo millennio della cristianità volge a conclusione, è opportuno che la Chiesa divenga più consapevole dei peccati dei suoi figli, e riesamini tutte quelle occasioni nella storia in cui essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e dal suo Vangelo, e invece di offrire al mondo la testimonianza di vite ispirate ai valori della fede, hanno indugiato in modi di pensare e di agire che hanno rappresentato autentiche forme di controtestimonianza e di scandalo».

Le evocazioni da parte del Papa di questi sbagli, di questi errori storici, sono state importanti ed istruttive. Esse sono dirette, specifiche, circostanziate, volte a quella che egli talvolta definisce una "cura della memoria". Riflettono, in ogni caso, la saggezza e l'apertura spirituale caratteristiche dei suoi scritti e dei suoi discorsi.

Secondo alcune indiscrezioni, però, sembra che quando il Papa ha presentato al Collegio dei Cardinali questo suo programma per una pubblica espressione di scuse in vista del millennio, molti Cardinali abbiano espresso gravi riserve e manifestato una certa contrarietà. Fondate o meno che siano queste voci, il Papa ha in ogni caso anticipato le possibili critiche. Nella Tertio Millennio Adveniente, ha specificato che per quanto la Chiesa sia «Santa in virtù della sua incorporazione nel Cristo», necessita sempre di «essere purificata» e non deve «stancarsi mai di fare penitenza». Il Papa ricordava così ai lettori che «il riconoscimento delle debolezze del passato è un atto di onestà e di coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede e ci prepara ad affrontare meglio le tentazioni e le sfide del presente».

Mi sembra difficile obiettare qualcosa a queste parole. Perché in effetti un simile tentativo di riconciliazione di antiche ferite e di risentimenti, e insieme di evangelizzazione delle donne e degli uomini del nostro tempo dovrebbe allarmarci o innervosirci? Personalmente, i miei disagi e le mie perplessità (confesso di averne) non hanno nulla a che fare con quanto ha detto il Papa, ma dipendono in tutto e per tutto dal modo in cui le revisioni e le espressioni di rincrescimento a cui egli ci invita possono essere manipolate da opinionisti ostili alla Chiesa, ovvero da persone per cui nessuna pubblica espressione di scusa è mai sufficiente e che pretenderebbero in realtà che i cattolici si scusassero del fatto stesso di esistere e di essere tali.

La mia ansia cresce se penso a che piega potrebbero prendere queste riletture del passato alla luce della attuale situazione della ricerca storica, di cui Gertrude Himmelfarb ha dato un quadro molto preciso e un po' agghiacciante. La storia è sempre un miscuglio di fatti e di miti. Gli storici però, attualmente, sembrano aver lasciato da parte la ricerca dei fatti privilegiando un atteggiamento molto libero e fantasioso di ricostruzione degli eventi. Troppi storici oggi sembrano praticare una disinvolta strategia di reinvenzione della storia al servizio delle cause più disparate e dei più diversi ordini del giorno. Come mi ha detto un anziano avvocato di Boston qualche tempo fa "stanno cominciando tempi duri per i morti".

Per quanto riguarda l'immagine popolare della Chiesa e del suo ruolo storico, credo che i cattolici, andando al cinema o guardando la televisione non possano non avere in ultima analisi l'impressione che la loro Chiesa occupi un posto di particolare rilievo in un ideale museo della vergogna, in un'ipotetica rassegna dei peggiori crimini della storia.

Inoltre bisogna considerare che, per la maggior parte del pubblico, queste espressioni ufficiali di scuse e di rincrescimento sono sempre filtrate dai nuovi media e dai mezzi di comunicazione di massa in generale. Così, ad esempio, per quanto il Papa specifichi sempre di parlare di peccati o di errori commessi da membri o da rappresentanti ufficiali della Chiesa e non della Chiesa in quanto tale, questa essenziale distinzione teologica viene quasi sempre dimenticata e perduta nelle trasmissioni televisive, alla radio o sui giornali.

Talvolta, questa distinzione viene oscurata deliberatamente, come nell'articolo sul papato e l'Olocausto apparso sul New Yorker del 7 aprile 1997. L'autore del pezzo, James Carrol, prende le mosse da quello che a prima vista potrebbe apparire un apprezzamento del particolare rapporto di Giovanni Paolo II con il popolo ebreo. Carrol ricorda alcuni fatti , per altro noti: il coraggio dimostrato dal giovane Wojtyla nella Polonia occupata dai nazisti, la sua angoscia per l'Olocausto, lo stabilimento di relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele, la storica visita alla sinagoga di Roma, la sua posizione favorevole sulla rinuncia a insediare un convento presso Auschwitz, l'amara ammissione che "molti cristiani" sono stati responsabili delle sofferenze del popolo ebreo.

Pur riconoscendo il comportamento esemplare e l'enorme popolarità di Giovanni Paolo II, Carrol sostiene però che il presente pontificato è comunque "contaminato". La sua "tragedia", secondo l'ex sacerdote Carrol, è che il Papa non si spinge sino a "mettere in discussione la Chiesa stessa". Carrol cita l'osservazione liquidatoria del teologo del dissenso Hans Kung sulle dichiarazioni di colpa di Wojtyla: «A questo Papa piace fare un certo genere di confessioni». Per Kung, apparentemente, nessuna confessione sarà sufficiente fino a che il Papa non sottoscriverà il bizzarro punto che Carrol attribuisce allo stesso Kung, e cioè che «non sarà più possibile parlare di responsabilità dei nazisti senza aggiungere che la Chiesa è stata corresponsabile». Carrol lamenta anche che Giovanni Paolo II non abbia condannato esplicitamente Pio XII, come lui stesso fa in un semplicistico e parziale resoconto del ruolo del papato durante l'Olocausto.

Così non solo non basta che il Papa abbia ammesso che "molti cristiani" hanno peccato contro gli ebrei, oche egli abbia detto che la Chiesa «riconosce sempre i suoi figli e le sue figlie colpevoli». Carrol addirittura rimprovera al Papa di aver menzionato gli atti di eroismo compiuti da singoli cattolici per difendere gli ebrei. Per quanto riguarda il New Yorker, il settimanale ha pubblicato questo attacco unilaterale senza chiedere a Carrol di articolare meglio le sue posizioni e consentendogli di attribuire sbrigativamente una colpa collettiva all'intero corpo mistico di Cristo. Possibile che al New Yorker nessuno abbia pensato che per ricostruire questa vicenda forse sarebbe stato meglio non reclutare un autore come Carrol, cioè uno dei tanti cecchini cattolici o ex cattolici specializzati nello sparare contro la Chiesa? Possibile che nessuno in sede editoriale abbia avanzato dubbi sul fatto che Carrol attinga in modo così diffuso agli argomenti di un teologo notoriamente malevolo e pieno di pregiudizi come Kung?

Per quanto riguarda la responsabilità istituzionale, mio marito, che è ebreo (e, credo, secondo a pochi in fatto di orgoglio etnico) osserva che sia Carrol sia Kung, nel cercare di accusare la Chiesa in quanto tale, fanno lo stesso errore mortale di chi rimprovera alla "Germania" la responsabilità dell'Olocausto, o ai "Giudei" la morte di Gesù. Questa, come dice giustamente Edward Lev, è davvero la forma più pericolosa di bigotteria.

Il vero bersaglio di Carrol (e di Kung) sembra essere l'istituzione pontificia in quanto tale, e non a caso essi puntano l'indice contro la dottrina dell'infallibilità del Papa. Se, argomentano, ad aver sbagliato, ad aver peccato, sono stati "la Chiesa" e Pio XII, allora la dottrina dell'infallibilità non sta più in piedi. Ma certamente entrambi dovrebbero capirne abbastanza di teologia per sapere che la dottrina dell'infallibilità non riguarda mai eventuali errori o passi falsi sul piano storico e temporale. Come ha scritto una volta in modo molto efficace e conciso la narratrice Flannery O'Connor: «Cristo non ha mai detto che la Chiesa sarebbe sempre stata esente da colpe e intelligente, ma solo che non avrebbe mai insegnato il falso. E questo non vuol dire che i singoli preti non possano sbagliare e insegnare a volte cose errate, ma che la Chiesa in quanto tale, esprimendosi attraverso la voce del Papa, non insegnerà mai cose false in materia di fede».

In ogni caso, sia che questo punto cruciale venga intenzionalmente oscurato o semplicemente frainteso, l'effetto è più o meno lo stesso. C'è il rischio che alcuni credenti possano cominciare a chiedersi: «Se la Chiesa ha errato in tante circostanze nel passato, come posso esser sicuro che il suo magistero attuale, che quello che insegna adesso sia davvero giusto?». Questo mi sembra un altro dei motivi per cui il riconoscimento pubblico degli errori del passato ha generato ansie e preoccupazioni in alcuni ambienti dentro la Chiesa.

Vorrei chiarire che la mia preoccupazione nei confronti di questi problemi non intacca in alcun modo il mio entusiasmo per l'idea del Nuovo Avvento. Ne mi spinge a pensare che la Chiesa dovrebbe adottare la politica di Henry Ford II, «mai chiedere scusa, mai spiegare». Penso però che sia necessario che i cattolici stiano molto in guardia, e cerchino nel prossimo futuro di contrastare nel modo migliore i fraintendimenti che questo aspetto della preparazione al Giubileo potrebbe generare.

Consideriamo, in questa prospettiva, le osservazioni e le scuse presenti nella Lettera apostolica alle donne scritta dal pontefice nel 1995. Qui, dopo aver deplorato i vari affronti portati alla dignità della donna nella storia, Giovanni Paolo II osserva: «Se c'è colpa obiettiva, soprattutto in determinati contesti storici, che sia imputabile a non pochi membri della Chiesa, di questo sono veramente spiacente».

Penso che sia giusto dire che un'apologia così garbata non abbia ricevuto attenzioni e ascolto altrettanti garbati da parte di certi circoli intellettuali abituati all'idea che la Chiesa sia un'istituzione sessista. Quando assunsi l'incarico di guidare la delegazione della Santa sede alla Conferenza internazionale sulle donne di Pechino, rimasi veramente sorpresa dal numero di persone che mi chiedevano come avessi potuto accettare di rappresentare un'istituzione che tratta le donne come cittadine di seconda classe. Un giorno, leggendo un editoriale del noto scrittore Garry Wills, mi sono vista persino dipingere come una sorta di Zio Tom donna (è il tipico eufemismo che si usa per indicare gli schiavi che collaboravano con i loro padroni).

Quando sento rivolgere alla Chiesa queste trite e ritrite accuse di sessismo chiedo sempre: ma rispetto a quali altre istituzioni? Ancora una volta, Flannery O'Connor aveva colto il nocciolo della questione. In una lettera a un amico che aveva accusato la Chiesa di essere contraria alle donne, la O'Connor scrisse: «Non devi dire che la Chiesa si porta dietro questo peso morto; magari sarà vero per il reverendo tal dei tali o per molti reverendi, ecc. ecc. ma la Chiesa in sé può canonizzare una donna come un uomo e suppongo che nessun altra forza abbia mai fatto di più in tutta la storia umana per liberare le donne».

Quest'ultimo dato storico è così chiaro che il signor Wylls dovrebbe vergognarsi di sé stesso. Da ex seminarista dovrebbe certamente conoscere le conquiste controculturali della Chiesa delle origini, e l'importanza che in esse hanno avuto le donne e la famiglia. Non gli è mai passato per la testa che Chiesa è riuscita a far accettare l'idea nuova dell'indissolubilità del matrimonio in società in cui agli uomini era sempre stato permesso di liberarsi arbitrariamente delle loro mogli? Che ha incentivato nel Medioevo la nascita di forti comunità religiose femminili autogovernate? Che per prima si è preoccupata dell'educazione delle donne in Paesi dove la maggior parte delle istituzioni secolari si disinteressavano completamente dello sviluppo intellettuale delle ragazze? Chiunque abbia una pur minima conoscenza della storia non potrà negare che i progressi della Cristianità hanno rafforzato la posizione delle donne.

Negli ultimi anni - la cosa meriterebbe di essere conosciuta meglio - la Santa Sede si è imposta in diversi contesti internazionali come una delle forze mondiali che più si sono battute per la giustizia economica e mondiale delle donne. La chiesa è stata uno dei pochissimi attori internazionali a darsi da fare sia per il rispetto del ruolo delle donne nella famiglia sia per incentivare le aspirazioni delle donne a una piena partecipazione alla vita economica e sociale.

Ma nonostante tutto ciò le poliziotte del genere sembrano pensare di avere comunque una risposta definitiva e senza appello: la Chiesa è sessista perché rifiuta il sacerdozio femminile, perché non ordina le donne. Ma davvero questo rende la Chiesa un'istituzione anti-donne?

Non è questa la sede per una discussione dettagliata delle questioni della complementarietà e della chiamata universale alla santità in rapporto col rapporto dell'ordinazione. Proviamo soltanto a chiederci una cosa: qual è la posizione delle donne nella Chiesa cattolica rispetto alla posizione delle donne in altre Chiese che ammettono il sacerdozio femminile? Stranamente, molti di coloro che sembrano essere ossessionati dalla questione dell'ordinazione si mostrano del tutto indifferenti alla vasta gamma di ruoli pastorali e ministeriali che una volta erano riservati esclusivamente ai preti e ora vengono svolti da donne. Come le teoriche del genere che non nascondono di preoccuparsi soprattutto della questione del potere anche costoro rimangono indifferenti di fronte a questo incremento di opportunità. L'unica cosa che li interessa sono le posizioni di leadership. Lasciamo da parte l'inadeguatezza di questa analogia, che equipara la Chiesa a istituzione politiche e economiche di tutt'altra natura e consideriamo il problema nei suoi termini essenziali. Chi amministra il secondo sistema di assistenza sanitaria su scala mondiale? Non è stato guidato in larga misura da dinamiche donne cattoliche (soprattutto da suore)? Chi si occupa del più grande sistema mondiale di istruzione privata primaria e secondaria? Non è stato amministrato soprattutto da donne cattoliche, laiche e religiose, nelle vesti di insegnanti, dirigenti, sovrintendenti? (Eppoi da dove viene questa idea che per essere un leader bisogna aver preso gli ordini? Sono certa che l'arcivescovo di Calcutta sia un ottimo amministratore, ma siete sicuri che Madre Teresa sia meno leader di lui?).

Per di più, Giovanni Paolo II sembra molto determinato a rafforzare e ad accelerare l'azione della Chiesa in questo senso. Ripetutamente, il pontefice ha invitato le donne "ad assumere nuove forme di leadership nel servizio" e ha sollecitato "tutte le istituzioni della Chiesa a dare il benvenuto a questo contributo delle donne". Mettendo concretamente in pratica queste dichiarazioni, il papa ha nominato molte donne, laiche e religiose, alla guida di un gran numero di comitati e di accademie pontificie.

Non c'è dubbio che le diverse Chiese locali rispondano in modo a volte molto diverso alle esortazioni e all'esempio del Papa. Anche molti vescovi, in ogni caso, hanno deciso di dare a loro volta un esempio, chiamando un numero sempre più elevato di donne a incarichi e ruoli di prestigio. Non è ovvio che per quanto riguarda le donne anche nei gruppi religiosi si sono verificati sviluppi impressionanti e più importanti del sacerdozio femminile?

Questo non significa che la Chiesa cattolica abbia già conformato le sue strutture al principio per cui donne e uomini dovrebbero essere considerati partner uguali a tutti gli effetti nel mistero della redenzione. Non è ancora stato fatto abbastanza, e Giovanni Paolo II, come si evince dai suoi scritti, è il primo a farlo notare. Forse la Chiesa non è ancora all'altezza delle sue aspirazioni, ma credo che rispetto alle altre istituzioni essa possa andare comunque a testa alta, in virtù della sua lunga tradizione di rispetto per la dignità della donna e di impegno per la sua libertà.

Che giornalisti influenti come Garry Wills possano ignorare questi fatti mi porta di nuovo a riflettere sul problema generale posto dalla pubblica espressione della contrizione in un era di malafede e di manipolazione delle informazioni. Mi sembra che i laici cattolici abbiamo un'importante responsabilità nel cercare di afre in modo che queste pubbliche attività penitenziali vengano prese in modo giusto senza fraintendimenti, spesso infatti sono proprio i laici a trovarsi nella situazione migliore per capire quando sincere espressioni di cordoglio vengono sfruttate opportunisticamente da persone o gruppi anche troppo zelanti nell'aiutare la Chiesa a stracciarsi le vesti e fin troppo disposti a versare cenere e ancora cenere sul capo dei cattolici. Spesso il laicato avrà l'opportunità di reagire e testimoniare nel modo migliore.

Questo significa, per un verso, ricordare che quando noi peccatori chiediamo perdono ci rivolgiamo in primo luogo e soprattutto a Dio (come diciamo nell'atto di contrizione «ma soprattutto perché ho offeso Te, mio Dio»). Qualsiasi espressione di rincrescimento rispetto agli errori del passato non implica che ci si debba umiliare di fronte agli altri, e certamente non di fronte a gente che non è disposta da parte sua ad ammettere alcuno sbaglio. Molte ferite della memoria non saranno sanante finché non ci sarà un'espressione di perdono reciproco.

Testimoniare nel modo migliore la propria posizione significa sfidare coloro che, in buona o cattiva fede cercano di cancellare la fondamentale distinzione tra la Chiesa in quanto tale e i suoi figli che hanno peccato. Quando negli anni Cinquanta Flannery O' Connor si dovette misurare con gli antesignani dei Carrol e dei Kung dei nostri tempi, scrisse: «quello che voi sembrate pretendere è che la Chiesa realizzi il regno dei cieli sulla terra ora e adesso. Cristo è stato crocifisso sulla Terra e ogni giorno la Chiesa viene crocifissa da tutti noi e dai suoi membri in particolare, perché è una Chiesa di peccatori (...) La Chiesa si fonda su Pietro che rinnegò tre volte Cristo e non poteva camminare sulle acque. Voi pretendete che i successori di Pietro camminino sulle acque».

Flannery O'Connor scriveva di teologia con molta levità, ma la sua non era una teologia leggera. Veramente è corretto e giusto, opportuno e adeguato, che noi confessiamo i nostri peccati e facciamo penitenza in questa nuova stagione di Avvento. Non dobbiamo mai stancarci di pentirci perché noi, e gli altri pellegrini della Chiesa, abbiamo un percorso da seguire: dobbiamo arrampicarci sulla scala di Giacobbe, dobbiamo cercare di realizzare l'uomo nuovo, dobbiamo sforzarci di essere ogni giorno che passa dei cristiani migliori. probabilmente il modo migliore per mostrare che stiamo davvero facendo dei passi avanti lungo questo percorso è semplicemente, come dice il Papa, "offrire testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede".

Ma per quanto riguarda i nostri pubblici atti di pentimento, ci sia concesso di vigilare, per impedire di essere offesi e sfruttati. Ci sia concesso di unirci ai nostri fratelli e alle nostre sorelle di altre confessioni per resistere a tutti coloro che somministrano il veleno della colpa collettiva. ci sia concesso, anche, di fare in modo che le nostre espressioni di cordoglio non vengano usate da nessuno per denigrare il ruolo storico della Chiesa, la sua funzione eminentemente positiva di grande forza di pace e di giustizia. Soprattutto ci sia concesso di ricordare ancora una volta che in ogni caso non stiamo chiedendo scusa per il fatto di essere cattolici. Non avremo mai bisogno di chiedere scusa per questo. Non dovremo farlo mai. Non lo faremo mai.

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