Il Giubileo: come vivere l'evento del secolo - Dino Boffo
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GIUBILEO E INFORMAZIONE

IL GIUBILEO: COME VIVERE L'EVENTO DEL SECOLO

Dino Boffo

Direttore di "Avvenire"

Che cosa penseremmo di un media system che, trovandosi a raccontare di un'importante partita di calcio, in un raptus collettivo si attardasse a descrivere con dovizia di particolari gli spalti zeppi di pubblico, il taglio del manto erboso, i cartelloni pubblicitari, persino la qualità lignea dei pali in porta o le cuciture del pallone di cuoio, e non dicesse nulla, ma proprio nulla, dello svolgimento della partita, e men che meno del risultato finale?

Non ne penseremmo bene. E gli stessi lettori, come minimo, resterebbero perplessi. Che razza di informazione sarebbe? Che cosa fanno questi giornalisti - si obietterebbe - ci prendono in giro? Detto in punta di voce, qualcosa di analogo rischia di succedere alla "partita" del secolo, anzi del millennio. La "partita" del Grande Giubileo. Non è che non se ne parli, oh no. Anzi, chi volesse leggere qualcosa in merito e si procurasse un po' di ritagli, potrebbe passare un paio di pomeriggi comodo in poltrona. Alla fine saprebbe tutto sui moniti, sui terrori, sulle profezie della sciagura, lanciati da qualche intellettuale, a proposito dell'invasione dei pellegrini, anzi dei "turisti religiosi": inquinatori, fracassoni, devastatori. Pellegrini? Oppure Alarico in Tournée? C'è chi ha proposto, con un paradosso sgradevole: fermiamoli a Magliano Sabina, concentriamoli in qualche spiazzo, salviamo Roma. Sic.

E poi lunghe requisitorie pro (poche) e contro (tante) il famoso sottopasso di Castel Sant'Angelo o il celebre parcheggio del Gianicolo. La frenesia è tale, che spesso si perde l'orientamento, e il Giubileo del 2000 si accavalla con le auspicate (quanto meno dall'amministrazione comunale) Olimpiadi del 2004. Lavori qui, lavori là, e tutto fa brodo. Con il rimbalzo di battute brevi, di ragionamenti bislacchi, che sembrano avere, come obiettivo fondamentale, quello di deconcentrare l'attenzione, svigorire gli animi, incentivare la confusione.

Fossimo già nel dicembre del 1999, non resterebbe che piangere. Invece mancano più di due anni e molto si può fare. Basterebbe che il giornalismo si rendesse conto di che cosa effettivamente è un Giubileo. Automaticamente, si accorgerebbe che si tratta di un'irripetibile occasione per il giornalismo stesso. Se il giornalismo può rendere un prezioso servizio al Giubileo, presentandolo per quel che veramente è (parli della "partita", delle azioni principali, dei protagonisti), ancora più prezioso è il servizio che il Giubileo può rendere al giornalismo. Come?

Semplice. Il Giubileo invita i popoli all'incontro con Cristo. Li invita cioè all'appassionante "gioco" della verità. E il giornalismo (penso soprattutto a quello italiano, che meglio conosco, ma temo che il ragionamento valga per il globo intero) sta vivendo una fase di particolare menzogna su se stesso, a volte inconsapevole, ma non per questo meno falsa. La lotta per il primato della tiratura (o dell'audience) sottopone i media all'unica regola dell'efficacia commerciale, spingendoli verso i temi pruriginosi e gli schematismi controversiali, all'infuori cioè di qualsiasi ispirazione etica per approdi falsamente neutrali, e dunque solo cinici. Questo giornalismo vive sempre meno la notizia, ossia per la sua "missione" originaria, e sempre più per gli affari, il regalino, o anche la patacchina editoriale acchiappalettori. È insomma un sistema che avendo sempre meno rispetto per la dignità del lettore e per la funzione civile del giornalismo stesso, tende a tradire se stesso. Un giornalismo bisognoso di redenzione.

Il Giubileo potrebbe essere un'occasione preziosa per tornare a fare informazione vera. Per ricercare la verità. In modo imperfetto, d'accordo, perché inesorabilmente imperfetti siamo noi uomini e i nostri strumenti. Ma cercare con onestà, sì. Cercare, senza rinunciare, senza scantonare. Potrebbe essere l'occasione per schierarsi finalmente con determinazione dalla parte delle persone e dei popoli, alla fine di un secolo tra i più oltraggiosi per quanto riguarda il rispetto dell'umanità dell'uomo, la sua libertà, i suoi diritti.

Rimane un Giubileo del quale i media, se appena lo vogliono, non dovrebbero faticare troppo a delineare i reali contorni. E rimane il grande pubblico che avrebbe il diritto di conoscere correttamente, senza frustranti riduzionismi, che cos'è il Giubileo. Il Papa stesso, d'altronde, con lucido tempismo ha denunciato l'insufficienza generale dei media in un suo messaggio del gennaio scorso, incentrato sulla trentunesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. «Il valore primo che li guida - scrive il Papa - è il profitto. C'è ancora un posto per Cristo nei mass media tradizionali? Possiamo rivendicare un posto per Lui nei nuovi media?... Nei media sembra diminuire la proporzione dei programmi... che aiutino le persone a vivere meglio la loro vita». E continua: «Non è facile mostrarsi ottimisti sull'influenza positiva dei mass media quando questi paiono piuttosto ignorare il ruolo vitale della religione nella vita della gente, o quando le credenze religiose vengono da essi sistematicamente trattate in forma negativa e indisponente».

Eppure il Papa stesso lasciava, alla fine di quel messaggio, ampio spazio alla speranza. Una speranza riposta in Gesù Cristo, ma affidata agli uomini e alla loro libertà. Non è un caso che la soglia del duemila determini, generalmente, sia angoscia sia speranza. I motivi di angoscia sono facilmente reperibili. Più difficile - ma non impossibile - è individuare i motivi di speranza, è annunciare che questa storia e questa umanità, nonostante tutto, sono amate e redente. Forse basterebbe che una leva di operatori della comunicazione cambiasse registro, modificasse i propri codici culturali irreparabilmente invecchiati e accettasse di raccontare infine la "partita" reale. Che scovasse accanto alle vicende di odio e disperazione, le storie positive di amore e redenzione. C'è uno scrigno che è del tutto trascurato dalla comunicazione ufficiale, ed è il vissuto popolare concreto, che merita di essere immesso nel circuito della pubblica opinione, per contrastare nei fatti una visione ineluttabilmente materialistica e nichilista. Notizie, buone notizie, i cui protagonisti sono gli uomini e le donne che considerano il Duemila non un Capo Senza Speranza contro il quale schiantarsi ed arenarsi, ma un Capo di Buona Speranza, doppiato il quale la storia continua, migliore.

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