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GIUBILEO E INFORMAZIONE

UNA SCUOLA DI GIONALISMO COME LO FU ANCHE IL CONCILIO

Gian Franco Svidercoschi

Giornalista e scrittore

Fu una svolta profonda, radicale, il Concilio Vaticano II. Una svolta per la Chiesa che pur nella continuità con il passato, con la Tradizione, condusse una coraggiosa riflessione sulla propria natura, sulla propria missione, e riprese e sviluppò il dialogo con il mondo contemporaneo.

Ma fu una grande svolta anche per il mondo della comunicazione. Perché il Concilio, se così si può dire, lo "obbligò" a un generale ripensamento dei tradizionali metodi di approccio con la realtà religiosa. Una Chiesa che si apriva all'esterno, e si raccontava, e si metteva perfino in discussione, una Chiesa così non poteva più essere descritta con i soliti clichés, né tanto meno con i vecchi pregiudizi anticlericali.

Fu dunque una Chiesa dalla "nuova" immagine, quella che uscì dal Vaticano II. E fu nuovo - nel senso che mostrò una nuova sensibilità, una nuova capacità nell'andare al fondo dei problemi religiosi - il modo in cui l'intero universo della comunicazione parlò della Chiesa e del suo aggiornamento.

Anzi io personalmente, avendo vissuto quell'esperienza, ho sempre pensato che il Concilio sia stato una irripetibile scuola: di giornalismo, ma, prima ancora, di verità. Tanto più che, nel Vaticano II, nei suoi documenti, nelle vicende che lo segnarono, e perfino nel clima che in esso si respirò, c'era la chiave di lettura per poter comprendere il senso degli avvenimenti successivi della Chiesa.

E, questo processo, lo ha spiegato molto bene Giovanni Paolo II, nell'incontro avuto nel gennaio del 1984, per il Giubileo della Redenzione, con un migliaio di giornalisti di diverse nazioni. «Il ruolo e i compiti di chi lavora in questo specifico campo (cioè nel campo dell'informazione religiosa -ndr) hanno subìto una progressiva evoluzione a partire dal Concilio Vaticano II, anzi, grazie proprio al Concilio».

E ancora: «...si sono aperti nuovi e più ampi spazi di interesse per l'informatore religioso», il quale «ha dovuto perciò, acquisire una serie di cognizioni che lo hanno portato a interessarsi di tutti gli aspetti della realtà umana e sociale del nostro tempo: dalla dimensione religiosa, ovviamente, alla politica, all'economia, ai grandi temi d'oggi, quali la pace, il disarmo, lo sviluppo, i problemi della famiglia, della gioventù, della cultura, ecc. Tutto ciò, se da un lato porta un accrescimento di responsabilità per l'informatore religioso, dall'altro gli impone un maggiore sforzo di comprensione e di analisi dei grandi fenomeni della società contemporanea...».

Una "fotografia" - bisogna riconoscere - molto precisa, e molto positiva. Ma corrisponde alla situazione di questi ultimi anni? Corrisponde al modo in cui oggi, generalmente, si fa informazione sulla Chiesa e sulla religione? Ci sarebbe da rispondere proprio di no.

Proprio perché è portatore di valori alti, dei valori propri della persona umana, e quindi di una realtà più profonda, più interiore, e anche più complessa, più articolata, il "fatto religioso" è quello che è stato maggiormente penalizzato dal progressivo decadimento del mondo della comunicazione. E che dunque ha subìto le conseguenze più gravi della tendenza, avvertibile specialmente nel giornalismo scritto, sia alla spettacolarizzazione sia alla banalizzazione di ogni notizia.

E ciò da una parte, ha portato - con la comunicazione che propende sempre più a relativizzare la rappresentazione oggettiva della realtà - via via alla creazione di una sorta di "religione virtuale", che si caratterizza anzitutto per il suo soggettivismo. Dall'altra parte, s'è vista una coltre di silenzio ricoprire completamente quello che è il "vissuto" della fede, ossia, la storia quotidiana delle Chiese locali , delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, e di tutte quelle persone che generosamente, gratuitamente, si dedicano alle opere di carità, al volontariato, all'aiuto di quanti hanno più bisogno e che sono spesso i più dimenticati dalla società, dallo Stato.

E anche il Giubileo, il Grande Giubileo che segnerà storicamente il passaggio di millennio, com'è stato "trattato" finora dal mondo della comunicazione? S'è parlato molto di business, di appalti, di turismo, di caos urbano, ci sono state parecchie polemiche politiche. Insomma, il Giubileo è stato presentato prevalentemente nei suoi aspetti esteriori, anzi, il più delle volte, negli aspetti ad esso estranei. In questo modo, è stato svuotato dei significati propriamente religiosi, spirituali, che ne sono invece l'essenza, la ragione stessa della sua celebrazione.

A questo punto, perciò, con molta franchezza viene da chiedersi se anche il mondo della comunicazione non debba compiere quell' "esame di coscienza" che Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, ha proposto come una delle vie principali nel cammino di conversione e purificazione verso il Giubileo.

Il Papa, naturalmente, lo ha chiesto ai cristiani, i quali, scriveva, "devono porsi umilmente davanti al Signore per interrogarsi sulle responsabilità che anch'essi hanno nei confronti dei mali del nostro tempo". Ma, all'elenco di questi "mali", ad esempio "l'indifferenza religiosa" che oggi porta molti uomini ad "accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con il problema della verità e con il dovere della coerenza", oppure "lo smarrimento in campo etico, persino nei valori fondamentali del rispetto della vita e della famiglia", dunque, rispetto all'elenco di questi "mali", il mondo della comunicazione può sentirsi realmente estraneo? Può dire, in tutta sicurezza, di non avere in ciò alcuna responsabilità?

Ognuno dovrà rispondere di fronte alla propria coscienza, e non solo quella professionale. Ma anche il mondo della comunicazione, nel suo complesso, nella sua coscienza collettiva, dovrebbe avvertire il bisogno, anzi il dovere di un soprassalto morale. Ritornando alle radici, all'ispirazione etica del suo impegno: e cioè, la sua deontologia, la sua dimensione sociale, e poi la competenza, l'onestà intellettuale, l'attenzione a quelli che sono i valori primari dell'uomo, come la sua dimensione religiosa.

Il prossimo Giubileo avrà un'importanza tutta speciale, venendo a duemila anni dalla nascita di Cristo, e quindi celebrando il mistero dell'Incarnazione. E sarà anche, come ricordava il Santo Padre, il "primo Giubileo dell'era telematica". E quindi in grado di usufruire dei potentissimi strumenti prodotti dalla rivoluzione tecnologica.

Ebbene, per il mondo della comunicazione, il Giubileo del Duemila si presenta come un'occasione straordinaria, e una grande sfida: riuscire a portare nelle case degli uomini il messaggio che è all'origine del Cristianesimo e anche, in un certo qual modo, della storia umana. E, se ciò avverrà, allora sì che c'è da sperare - com'era già avvenuto per il Concilio - in un diverso rapporto tra i media e la realtà religiosa.

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