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I TEMI DEL GIUBILEO

NELLA MOSTRA "VEDERE I CLASSICI": L'ATTUALITÀ DEL PASSATO

Marco Buonocore

In un mondo in cui ormai l'immagine sembra il veicolo dominante della cultura, dove ogni cosa deve essere prima "vista" e poi "letta", si rimane sempre colpiti da come le immagini del nostro passato abbiano potuto superare l'esame del tempo e del giudizio: mani che scrivono, mani che dipingono, mani che trasmettono i valori universali della storia dell'umanità; spetta a noi il compito, riscoprendoli, di trasmetterli poi ancora attuali alle generazioni future. E tale riflessione si fa maggiormente pressante all'indomani del successo di pubblico veramente straordinario e del consenso della critica che ha riscosso l'esposizione internazionale (ottobre 1996 /luglio 1997) tenuta nel Salone Sistino della biblioteca Apostolica Vaticana, un'iniziativa inserita nel ciclo delle manifestazioni tese a determinare il rapporto fra Cristianesimo e mondo classico e a definire come la cultura greco-romana sia stata salvata e trasmessa alla civiltà occidentale grazie all'opera dei monaci amanuensi.

Tale mostra ("Vedere i classici", con 157 manoscritti, 29 dei quali provenienti da altre istituzioni italiane e straniere), unica fino ad ora nel suo genere e che focalizza assai concretamente il rapporto tra le Lettere e la Fede, offre una futura pista da seguire nel precisare i fondamentali momenti della complessa ed affascinante "storia libraria dei classici latini e greci", tentando di recuperare quell'equilibrato rapporto fra visione generalistica e visione specialistica dei problemi; i manoscritti presi in esame sono riusciti a sintetizzare appieno quelle che furono le principali coordinate descrittive figurate in stretto collegamento non solo con il testo propriamente detto, ma anche, e direi non secondariamente data la natura del contenuto, con il commento e la glossa, in cogente parallelismo con una determinata committenza, una precisa moda iconografica, un definito programma editoriale. Il quadro che si è venuto a delineare ha così scandito i ritmi della filologia, in che modo essa, sostenuta dall'attenta registrazione della glossa al testo o dai confronti della tradizione indiretta, possa esser strumento indispensabile per operare una corretta esegesi della trasmissione figurata, alla cui didattica interviene anche la complessa esperienza della storia dell'arte antica.

E se anche non è stato possibile esporre tutto quello che si sarebbe voluto recuperare, quanto proposto ha assolto pienamente il compito che si era prefissato, di concorrere, cioè, alla definizione della tematica in oggetto: "vedere i classici", appunto; ben sapendo che, sebbene già gli antichi avessero intuito la differenza sostanziale tra la tradizione figurata e quella scritta in merito alla maggiore efficacia comunicativa della seconda rispetto alla prima, per Luciano, ad esempio, non si sarebbe dovuto prescindere dalla capacità di visualizzazione anche nello storico, il quale per diventare "il Fidia della storia" avrebbe dovuto fare in modo che l'ascoltatore avesse quasi "sott'occhio" quello che gli veniva narrato, o per Plutarco, secondo cui lo storico migliore era colui che fosse riuscito a rendere la propria narrazione simile ad un dipinto, attraverso una vivida rappresentazione di emozioni e di caratteri.

Ecco che allora ci si può confrontare con la poesia epica rappresentata naturalmente da Virgilio ed Omero (e con loro l'Ovidio della Metamorfosi, lo Stazio della Tebaide, Silio Italico, Lucano e Lucrezio), con le sezioni dedicate alla poesia soggettiva (l'Ovidio delle Heroides e dell'Ars amatoria, Orazio, Persio e Properzio ) e al teatro (Plauto, Terenzio e Seneca); poi con l'ampia vetrina degli storici che insieme a Cesare, Curzio Rufo, Sallustio, Giustino, l'Historia Augusta e tanti altri ci permetterà di verificare la grande tradizione illustrata di Tito Livio. Poi l'oratoria, la grammatica e la filosofia. Due le altre sezioni ben definite: la prima dedicata alla Geographia di Tolomeo che ancora una volta con i sontuosi manufatti presentati ci invita al recupero di quella che fu la sua esplosione editoriale nel XV secolo; la seconda dedicata alla scienza, o più precisamente alle scienze medico-naturali e fisico-matematiche: si comincia con la traduzione latina dei tre trattati aristotelici De historia animalium con lo splendido riquadro del codice Vaticano Latino 2094 che riproduce Aristotele intento ad osservare e descrivere le specie viventi, dall'uomo agli insetti, che gli si offrono attorno appunto come "modelli"; indubbie, in questo splendido riquadro miniato, sono le contaminazioni iconografiche con il tema biblico della Creazione e dell'Eden, tema inconciliabile con l'autentica dottrina aristotelica dell'eternità del mondo e del perenne avvicendarsi della specie, ma qui certamente indotto "dall'inveramento" cristiano-medievale delle dottrine di Aristotele e riproposto in omaggio al pontefice Sisto IV, destinatario del codice; Aristotele appare come scriba naturae al modo di un Mosé come scriba Dei: il nitore primaverile del contesto naturale e l'armonica comunanza tra la coppia umana (che ha lo stilema tipico di un Adamo ed Eva) e il pacifico gruppo degli animali evocano un'atmosfera di pax edenica. Da questa ouverture dovuta si passa ai testimoni dell'erbario di Dioscoride, capostipite della farmacopea moderna, a quelli del grande enciclopedia naturalistico di Plinio, e con loro Columella e Palladio, poi i codici con la Geometria rappresentata dall'opera somma dell'antichità, gli Elementa di Euclide, quindi i codici che ci trasmettono le forme più alte di sviluppo della geometria, come l'ottica e la prospettiva, i suoi sviluppi nell'astronomia, rappresentata dal capolavoro di Tolomeo, quell'Almagesto che fu la massima opera matematica antica; infine i trattati di astrologia, con affascinanti rappresentazioni pittoriche delle sfera celeste e dello zodiaco, testimoniate dallo stesso Tolomeo e da Arato, quelli di architettura con Vitruvio, di idraulica e pneumatica di Erone, delle scienze militari con Vegezio e delle macchine belliche.

Ma la fortuna di questa manifestazione (a sostegno della quale un poderoso volume riccamente illustrato rimane indispensabile strumento di lettura) è un ulteriore invito a meditare su come la cultura classica possa essere ragione di approfondimento per alcune tematiche dell'uomo. Lo studio degli autori antichi latini e greci, certo non epidermico, ma meditato, soggetto ai necessari riscontri, sostenuto dalla chiara intelligenza testuale, può sempre fornire motivo di crescere della persona; come non si può riconoscere in molte affermazioni dei nostri maiores quella sapienza umana mai crollata, quei fondamenti del saper vivere in ciascuno di noi? Attuale, ad esempio, l'immagine di Seneca, grande personalità del passato aperto al dialogo e al confronto delle idee, che vedeva gli uomini, nel disegno provvidenziale della natura, proiettati sempre a costruire, sorreggendosi vicendevolmente come i mattoni di una volta, quell'unico concorde edificio dell'umanità in cui tutti si sentono protetti e a sua volta proteggono, tutti necessari ciascuno con la propria identità.

E di questa universale eredità culturale, che sta inesorabilmente dissolvendosi (la scuola ne è la prima responsabile), il plauso tributato all'esposizione Vaticana credo sia la prova migliore, di come tutto il nostro passato non debba essere dimenticato; sappiamo quante mani e quante biblioteche monastiche dal loro sorgere sono riuscite a togliere alla perdita e all'oblìo l'immenso tesoro degli auctores antiqui, non solo trascrivendoli e trasmettendoli ma anche studiandoli per le minuziose spiegazioni dei maestri agli allievi. Grazie all'opera silenziosa e talvolta inconsapevole della Chiesa si è potuto recuperare quella parte dell'antico che seppur irripetibile mai potrà essere considerato un fatto concluso senza elementi di continuità con il presente.

Non venga mai meno il desiderio di leggere, studiare, assimilare un patrimonio che dura da duemila anni; non si cerchi mai il motivo per una sua obliterazione. Anzi, in un'occasione così contingente, questa "riscoperta" del mondo classico, in una realtà di oggi che, alle soglie del terzo millennio rimane con tutte le sue problematiche, i suoi interrogativi, le sue incertezze, le sue convinzioni, le sue speranze, è indicativa di come tale cultura eserciti ancora un grande fascino. Una forzatura sarebbe non l'adoperarsi per conservarla, coltivando i mezzi necessari per la sua decodifica su coloro, e sono veramente tanti, in grado ancora di volerla capire ed apprezzarne il contenuto: semmai l'adoperarsi per ridurla ad un puro esercizio antologico senza poterne recuperare le corrette coordinate testuali, o addirittura il volerla eliminare completamente. Di questa universale eredità culturale la Chiesa, come ha fatto, deve continuare a rendersi conto assumendosi il dovere di erigersi a difesa incrollabile con il sostenerne lo studio e la ricerca, anche se fosse l'ultima Thule.

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