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Verso le giornate

Giubileo del mondo agricolo
“Terra di Dio. Terra dell’uomo”

Ai delegati di 185 Nazioni presenti alla 116.ma Sessione del Consiglio della Fao, nonchè a numerosi rappresentanti di Organizzazioni internazionali e associazioni di settore, è stato presentato lo scorso 15 giugno a palazzo Rospigliosi il sussidio “Terra di Dio. Terra dell’uomo” predisposto dal gruppo di lavoro per la preparazione della Giornata di ringraziamento per i doni del creato – Giubileo del mondo agricolo. Pubblichiamo di seguito ampi stralci dell’intervento di S.E. Mons. Fernando Charrier, Presidente del Comitato per la preparazione delle giornate giubilari del mondo del lavoro, che ha illustrato i contenuti del sussidio e quindi i grandi temi, dalla solidarietà internazionale all’ecologia, sollecitati da questo evento dedicato a tutti i lavoratori della terra, in calendario per il 12 novembre del 2000. 

Fra l’anno giubilare e la terra sussiste un legame profondo che permette di abbracciare in un solo sguardo i temi fondamentali del messaggio del Giubileo e di proiettarli sulle questioni più gravi che assillano l’umanità in questo declinare del millennio, soprattutto in rapporto alla giustizia, alla tutela della dignità del lavoratore della terra, all’uso delle risorse del pianeta e alla responsabilità dell’uomo verso il creato e i suoi beni (…).

La solidarietà internazionale fra agricoltori, inoltre, ha ormai sancito la fine di ogni progetto di modernizzazione tendente a uniformare i percorsi di sviluppo. Ogni comunità rurale presenta delle peculiarità culturali che devono essere non solo rispettate ma anche utilizzate per tracciare un proprio percorso di sviluppo. In questo senso, il momento religioso, le appartenenze etniche e parentali, i costumi tradizionali diventano le risorse su cui costruire il benessere di una comunità. In particolare, il mondo rurale - a lungo giudicato con le lenti della modernizzazione come arretrato - ha beneficiato di questa riscoperta dell’identità locale (…). Anche per i contadini del terzo mondo vi è un’attenzione nuova ai loro modi tradizionali di produrre e vivere. Questa appare anche la strada più efficace per contrastare gli effetti deleteri della globalizzazione, intesa come standardizzazione dei prodotti e sottomissione alle tendenze del capitale finanziario.

Tuttavia, la riscoperta dell’identità locale da parte degli agricoltori porta con sé anche una dimensione etnocentrica. Insistere molto sulle peculiarità locali rischia di far percepire l’altro come totalmente diverso o addirittura nemico. Accanto alla riscoperta dell’identità locale serve allora una dimensione universalizzante. Si deve stabilire una equilibrata dialettica fra identità e riconoscimento dell’universale comunanza dell’uomo. E questo implica precisi gesti di solidarietà. In questa fase storica tali gesti passano, almeno per il mondo rurale, attraverso i rapporti nord-sud del mondo. Vi è in primo luogo la questione dell’accoglienza degli immigrati che vengono stagionalmente o  anche stabilmente per i lavori agro-pastorali. Vi è in secondo luogo la questione delle barriere alla circolazione delle derrate alimentari provenienti dal terzo mondo. A volte vi sono giuste rivendicazioni per il prodotto tipico locale, a volte si tratta di pura difesa di rendite di posizione. Vi è in terzo luogo la difesa delle condizioni di lavoro nel terzo mondo. L’agricoltore occidentale che ha impiegato secoli a riscattarsi dalla servitù della gleba non può non prestare attenzione alle forme di sfruttamento dei lavoratori della terra del terzo mondo. Una maggiore tutela sindacale di questi significa non solo maggiore giustizia sociale ma anche migliori condizioni di competitività dei prodotti. Anche in questo caso i margini di manovra sono molto limitati, ma esistono. Il numero degli agricoltori è calato ma le loro associazioni hanno accumulato in lunghi anni di militanza una solida esperienza come ‘gruppo di pressione’; tale esperienza può essere ora utilizzata nelle questioni di giustizia di solidarietà internazionale e di riscatto dei più poveri.

Nel Giubileo del mondo agricolo che si terrà il 12 novembre del 2000 Giovanni Paolo II intende incontrare i lavoratori della terra per infondere loro coraggio e annunciare che, secondo la dottrina dell’universale destinazione dei beni, le ricchezze e le risorse della terra sono state date originariamente a beneficio di tutta l’umanità e non solo di alcuni. La stessa proprietà privata non è un diritto assoluto, ma riveste, per sua natura, una funzione sociale e deve contemperarsi con un’equa e solidale distribuzione a tutti dei beni della terra. Potremmo dire che il senso cristiano del coltivare la terra e, in generale della signoria dell’uomo sulla natura, è quello di orientare a sfamare l’uomo per trasformare la terra in pane sulla mensa di tutti, e in particolare del povero. Siamo pertanto chiamati, a tutti i livelli, nelle diverse situazioni politiche, sociali ed economiche, a rendere conto alle generazioni presenti e future della attuale fruizione dei beni della terra e a chiederci se non sia il tempo di proporre - come ha ripetuto e ripete accoratamente il Santo Padre:

-   un alleggerimento, se non la cancellazione, del debito internazionale che attanaglia le economie di tanti paesi;

-       l’attuazione di una riforma agraria che conduca all’abolizione del latifondo e regoli una più giusta distribuzione delle terre, specialmente nei Paesi più poveri;

-   la tutela dei diritti delle famiglie e di tutti coloro che lavorano in agricoltura, spesso in condizioni difficili, se non disumane, ed esposti ad ogni sopruso,

-   la circolazione libera di informazione, cultura, ritrovati tecnici e biotecnologici per un miglioramento della qualità di vita di intere popolazioni.

Queste e altre iniziative sono essenziali perché il giubileo non rimanga lettera morta. Il riscatto della terra è intimamente legato al riscatto e alla liberazione delle persone. La signoria universale di Dio che, nell’istituire il giubileo, afferma: “La terra è mia” (Lv 25,23) ci impegna seriamente a ripensare il senso del dominio umano sul mondo (…).  L’uomo può dunque inserirsi all’interno dell’ordine naturale e orientarlo al suo sviluppo, ma lo deve fare con la stessa attitudine del Creatore, con sapienza e amore, nel rispetto della struttura intima di questo ordine e dei suoi equilibri.

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