Il sacramento del "Cristo tra noi" - Card. Giacomo Biffi
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XXIII CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE

«Gesù Cristo, unico Salvatoredel mondo, ieri, oggi e sempre»

IL SACRAMENTO DEL "CRISTO TRA NOI"

Card. Giacomo Biffi

La proposta del papa

Giovanni Paolo II, nel desiderio che la ricorrenza giubilare non incorra nel pericolo della superficialità e dell'improvvisazione, propone un itinerario di tre anni che prepari seriamente al Duemila. Il primo anno ci interessa particolarmente perché è anche l'anno del Congresso Eucaristico Nazionale di Bologna.

Il 1997 - dice il papa - «sarà dedicato alla riflessione su Cristo, Verbo del Padre, fattosi uomo per opera dello Spirito santo. Occorre infatti porre in luce il carattere spiccatamente cristologico del Giubileo, che celebrerà l'incarnazione del Figlio di Dio, mistero di salvezza per tutto il genere umano» (Tertio Millennio Adveniente, 40).

Le Chiesa d'Italia - per entrare cordialmente in questo progetto e per non disperdere l'impegno dei credenti in una varietà di direzioni - non potevano che assegnare al loro Congresso Eucaristico Nazionale lo stesso tema generale indicato per il 1997 dal documento pontificio: «Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre» (ib.).

Gesù il salvatore

Un «salvatore intrinseco»

Il Figlio di Dio incarnato è intrinsecamente un «salvatore». Nel suo nome «Gesù» - un nome profetico, al quale ambedue i vangeli dell'infanzia assegnano un'origine celeste - è iscritta costituzionalmente la missione di salvare. «Vi è nato un salvatore» (Lc 2,1 1): in questi termini è la proclamazione angelica della sua venuta nel mondo.

Poiché, come tutti, è stato da prima di tutti i secoli chiamato per nome, proprio come "salvatore" è stato pensato e voluto dall'eternità come correlativo a noi, che siamo stati pensati dall'eternità come "creature da salvare". Lui e noi siamo indissolubilmente associati nell'appartenenza a un unico progetto divino di misericordia.

Miseria e grandezza dell'uomo

Il tema della salvezza evoca e suppone - per rifarei al linguaggio pascolano - la "miseria" e la "grandezza" dell'uomo. La miseria dell'uomo è data dalla sua insipienza, per cui egli si lascia incantare e sviare dalla futilità, dalla falsità, dall'errore; è data dalla fatale corsa verso la catastrofe della morte; è data dal suo stato di ingiustizia e dalla sua invincibile propensione alla trasgressione morale, cioè al peccato.

È una miseria grande, tragica, ineludibile, che però contiene già in se stessa le vestigia e le testimonianze della nobiltà e del valore unico dell'uomo tra tutte le creature: l'insipienza si accompagna alla sete di verità; la mortalità sopravviene a un essere che sempre si sente fatto per una vita senza limiti; l'inclinazione alla colpa non arriva a soffocare la radicale aspirazione a un'esistenza secondo giustizia.

Anzi, proprio la grandezza dell'animo umano accresce e rende più pungente la nostra miseria: l'uomo "sa" di essere sciocco, "sa" di dover morire, "sa" di non essere innocente; e questa consapevolezza acuisce la pena, rende drammatica la vicenda e pone in uno stato obiettivo di implorazione, quali che siano le sue parole, i suoi pensieri' espliciti, i sentimenti riconosciuti. L'essere umano invoca con tutte le sue fibre la liberazione dalla vuotezza e dall'insignificanza, dal disfacimento e dall'estinzione, dalla colpa e dalla debolezza di fronte al male.

I contenuti della salvezza

La salvezza di Cristo viene incontro appunto a questa multiforme miseria. Essa perciò non si riferisce a "qualcosa" dell'uomo o a "qualche spazio" della sua esistenza, ma all'uomo totale e al suo stato definitivo. E una salvezza che ci è data con la luce della verità, l'infusione di una nuova capacità di amare, la remissione dei peccati, la restaurazione della libertà di fronte alle forze del male, la partecipazione alla natura divina, la vittoria sulla morte mediante la risurrezione corporea, la vita eterna.

Assegnare alla salvezza dì Cristo come contenuto diretto e primario qualche mutamento sociale, politico, culturale, non solo è contro tutte le esplicite attestazione della Chiesa apostolica e contro le stesse parole del Signore, ma non si comporrebbe con la logica profonda dell'evento cristiano: un evento così straordinario come la missione del Verbo e la sua incarnazione redentiva non può che toccare l'essere profondo dell'uomo e di tutte le cose.

Naturalmente questo non significa che Gesù, salvandoci nella nostra realtà più sostanziale, non abbia fatto del suo Vangelo e della sua grazia anche il principio rinnovatore del mondo e soprattutto dell'uomo, in tutti gli ambiti del suo esistere, del suo aggregarsi e del suo operare. E così potente l'energia redentrice, da cui siamo stati investiti, che niente di ciò che è umano - nel comportamento privato e pubblico, nell'attività culturale, nella problematico sociale, nell'impegno politico - può essere legittimamente sottratto all'impeto di questa rinascita.

L'unico salvatore di tutti

Il Salvatore unico

Il disegno del Padre non è schizofrenico: tutto è unificato in Cristo, nel quale tutte le cose sussistono (cf. Col 1, I 7). Perciò non ci sono diversi "salvatori". Dire che Gesù è "Salvatore unico" equivale a dire che è il necessario Salvatore di tutti gli uomini senza eccezioni. Questo è un punto oggi un po' annebbiato nella mente di molti cristiani, i quali, dal giusto apprezzamento per i molti valori che si ritrovano nella realtà extraecclesiale ed extracristiana, arrivano alla conclusione indebita che c'è una pluralità di strade che conduce alla salvezza. E non si accorgono che così confinano il Figlio di Dio tra ciò che è superfluo e marginale.

Eppure dovrebbe essere abbastanza evidente che il Padre non abbia pensato Cristo crocifisso e risorto come un "optional" di un multiforme meccanismo per riscattare e rinnovare il mondo, ma come un Redentore necessario e sostanziale.

Il Salvatore oggettivo

Dobbiamo allora ritenere che chi non è esplicitamente cristiano per ciò stesso sia fatalmente destinato a perire? Certamente no. Gesù è "oggettivamente" il Salvatore di tutti, dal momento che è in grado, con l'effusione del suo Spirito, di illuminare e santificare ogni coscienza che positivamente non gli sì chiuda, anche quella di coloro che ignorano la sua esistenza la sua energia rinnovatrice, la sua centralità. Cristo salva anche solo mediante un'adesione implicita a lui, che è la verità e la giustizia di Dio.

L'anelito a evangelizzare

Noi però dobbiamo preoccuparci e darei da fare perché egli sia anche soggettivamente conosciuto e amato da tutti i nostri fratelli. Anzi, proprio dal limpido convincimento che egli è il necessario Salvatore dì butti scaturisce il nostro anelito a evangelizzare. Anche a supporre che alla fine tutti cadano «in grembo a un'immensa pietà» (per usare le parole del Manzoni) e siano oggettivamente raggiunti dall'azione dell'unico Redentore, è insopportabile per noi il pensiero che essi lungo la loro esistenza terrena non si incontrino mai apertamente col loro Salvatore e non entrino con lui in una comunione cosciente e personale.

La nostra ansia - pur nella serenità di chi sa di poter sempre contare su una volontà salvifica universale del Padre - è dì portare ogni figlio dì Adamo alla fede esplicita nel Crocifisso Risorto. Perché, se l'uomo non raggiunge un atto dì fede pienamente sbocciato, una tensione certa e illuminata verso il Regno, un'esperienza trasformante d'amore, i suoi giorni trascorrono senza il sole vero, le cose non sono da luì percepibili nella loro bellezza significante, il pellegrinaggio umano si svolge nella malinconia propria di chi non si ricorda più quale sia la sua meta né perché egli si sia posto in cammino.

Senza Cristo gli uomini sono collocati in una condizione di oggettiva tristezza, che essi potranno magari anche sopportare con l'aiuto della grazia diffusa in tutti dallo Spinto Santo, ma che resta nondimeno in contrasto con le aspirazioni più profonde del loro cuore e con la loro dignità di creature consapevoli.

Il salvatore del mondo e della storia

Il "cosmos"

L'espressione "Salvatore del mondo" - desunta dal quarto Vangelo (Gv 4,42) ribadisce l'universalità e la necessità dell'azione redentrice del Signore Gesù a vantaggio dell'umanità intera. È però innegabile che il termine "cosmos" ha una portata più ampia: l'intero universo è qui indicato come destinatario dell'opera rinnovatrice del Risorto. La ragione di questa dimensione cosmica della salvezza sta nella verità rivelataci che «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16): "di lui", cioè del «Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione» (Col 1, I 314). Il Verbo incarnato nel disegno di Dio è preesistente alla creazione e fonda la bontà e l'orientamento a lui dell'intero universo.

Appartiene dunque alla visione cristiana la positività di giudizio circa le realtà terrene e l'atteggiamento di fiducia e di stima con cui vanno guardate: se è vero che sono state squassate e deturpate dal peccato, è anche vero che «per mezzo di lui tutte le cose sono state riconciliate» (cf Col 1,20).

La "natura"

Anche la "natura" è perciò cara ai discepoli di Cristo. Noi non la idolatriamo, perché essa desume dignità e valore soprattutto dal fatto dì essere a servizio dell'uomo: «tutte le cose sono nostre» (cf 1 Cor 3,2 1). Noi l'amiamo e la rispettiamo perché anche nella natura sì ravvisa un riverbero della bellezza del Signore, e anche su di essa si esercita la volontà del Figlio di Dio fatto uomo di unificare e per trasfigurare tutto secondo l'unico disegno del Padre. E non ci viene meno la fiducia che attraverso l'opera cosciente dell'uomo redento anch'essa possa essere riportata a Cristo.

La "storia"

«Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre»(Eb 13,8). Questa parola della lettera agli Ebrei ci insegna quanto siano forti e tipici i rapporti del Signore Gesù con la storia. Con il suo intervento e anzi con la sua stessa realtà egli aggancia la storia - che in se stessa è così volubile e peritura - al Regno che non tramonta mai. Addirittura, come osserva Giovanni Paolo Il - «in Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno» (Tertio Millennio Adveniente, 10).

Così anche la storia è salvata. E salvata dall'insignificanza, perché in Cristo ogni accadimento viene alla ribalta non per dissolversi poi nel nulla, ma per segnare di sé e costruire la vita eterna. E salvata dall'assurdità, perché in Cristo essa non è più senza traguardo e senza scopo, ma ha un approdo finale da cui tutta la vicenda umana, oggi così oscura, sarà illuminata. E salvata dall'ingiustizia perché, con l'avvento del Figlio dell'uomo come giudice, tutti i conti, che oggi non tornano mai, saranno finalmente pareggiati. La controprova di tutto questo è lo scacco evidente che ha sempre umiliato ogni filosofia della storia - fosse idealista o marxista - che abbia pensato di trovare qualche razionalità nel susseguirsi dei fatti, indipendentemente da colui che ne è il senso e il Signore.

Il Cristo "oggi"

"Oggi"

«Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8). Questa frase suggestiva della lettera agli Ebrei ha, per così dire, la sua chiave dì volta nella parola "oggi". La frase evoca certo ciò che già si è compiuto ("ieri") e si affaccia sull'eternità che ci aspetta "sempre"). Ma ciò che determina l'originalità e costituisce lo spessore dell'affermazione è il convincimento espresso che noi possiamo adesso metterci in comunione con ciò che è stato e possiamo adesso anticipare ciò che sarà.

La ragione di questa condizione misteriosa (che ci rende in qualche modo padroni dell'intera storia di salvezza) è il nostro Salvatore, Gesù, che è "Io stesso"; è cioè colui che "resta", è colui che è posto in un "oggi" senza declino, e coinvolge e associa anche noi in questo "esserci" che non patisce insidie o scolorimenti.

Poiché lui "c'è", ciò che è stato è salvato dall'annientamento e continua ad avere una presenza. Poiché lui "c'è", ciò che sarà è salvato dall'essere per noi soltanto un oggetto di velleità o un'utopia; e già ci è sostanzialmente donato.

Tra memoria e Profezia?

Bisogna dunque capire bene la rilevanza dell'oggi, senza perderla mai di vista. Tanto più che, per un certo vezzo invalso, i cristiani colti parlano spesso dì "memoria" e di "profezia" come se fossero le sole categorie della vita di fede, dimenticando spensieratamente il primato della "presenza".

"Memoria" e "profezia" sono senza dubbio concetti indispensabili a qualificarela situazione spirituale del credente in rapporto all'umanità non credente, che può essere caratterizzata come "smemorata" e "senza speranza". Ma diventano concetti vuoti, se non sono collegati al "nunc" dell'esistenza ecclesiale.

Tra "memoria" e "profezia" viveva l'Antica Alleanza, prima che Cristo, "pienezza" di tutto (cf. Col 1, I 9), colmasse di sé la vicenda salvifica, attualizzandola in ogni nostro presente, Tra "memoria" e "profezia" potrebbero rassegnarsi a campare solo coloro che avessero del tutto smarrito la dimensione sacramentale del cristianesimo, cioè la sua attualità sotto segni.

Gesù "presente"

Salendo al cielo, Gesù non è diventato un "assente": si è soltanto sottratto agli occhi della carne e agli occhi dell'incredulità, Noi siamo sempre con lui, incompresi e velati come lui agli sguardi mondani- per questo è detto che «la nostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio»(Col 3,3). I Il Cristo Risorto è sempre presente nei cuori che credono, nella Chiesa, nella storia degli uomini; ed è anche percepibile, pur se soltanto con gli occhi della fede.

Lo statuto proprio dell'esistenza ecclesiale è la consapevole comunione con il "Christus hodie": nel "Christus hodie" noi facciamo memoria oggettiva ed efficace di tutti gli interventi salvifici di Dio- nel "Christus hodie" noi già contempliamo, nella speranza, il nostro futuro destino di gloria.

L'attenzione all'«hodie» salvifico

Le nostre comunità, spesso avvilite dal triste spettacolo del mondo senza Cristo il mondo, secondo la parola di san Paolo, «senza senno, senza costanza, senza amore, senza misericordia» (Rm 1,3 1) - devono rendersi conto del carattere fondamentale e primario di questa attenzione alla redenzione sempre in atto, che già ci sorregge, ci rianima, ci arricchisce spiritualmente, quali che siano gli squallori mondani da cui siamo circondati.

L'«oggi eucaristico»

Il sacramento del «Christus hodie»

Per aiutarci in questa adesione della mente, del cuore, di tutto l'essere alla realtà rinnovatrice e alla realtà rinnovata, è stato pensato e voluto nell'eterno disegno del Padre il dono dell'Eucaristia.

Il Congresso Eucaristico del 1997 ci porti soprattutto al ricupero di questa attenzione primaria: quella al "Christus hodie", che attualizza per noi nel rito tutto ciò che è stato compiuto per il nostro riscatto e tutto ciò che costituirà il nostro premio e la nostra totale realizzazione.

La presenza eucaristica

Egli è davvero presente in un modo che non si può pensare più intenso. t presente col suo corpo, cioè con la sua concretezza di uomo divinamente personalizzato, nella verità della sua duplice natura; col suo sangue, cioè con tutta la sua vita, la sua energia, la sua capacità di rinnovare, di far crescere, di irrobustire nella grazia; col suo stato di vittima sacrificale, che ha sancito la nuova alleanza; con la sua donazione al Padre e ai fratelli, che ha toccato il vertice nella consegna di sé alla passione e alla morte; con la sua prerogativa sacerdotale, che lo costituisce mediatore eterno tra la divinità e la creazione; con la sua regalità, che lo rende guida, capo, Signore dell'universo.

Davvero nell'Eucaristia si avvera, con una pienezza che noi con la nostra poca fantasia non avremo neppur saputo immaginare, l'ultima promessa fatta ai suoi dal Crocifisso Risorto; «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Presenza eucaristica e serenità ecclesiale

Da questa riscoperta tutto potrà rifiorire: ogni timore è vinto, ogni pessimismo è debellato, ogni tristezza ecclesiale dissolve nella gioia, nella gratitudine, nella fierezza di essere per misericordia del Salvatore quello che siamo.

La Figlia di Sion - l'umanità redenta e nobilitata dal sangue di Cristo - non smarrisce mai la letizia, la speranza, la certezza della sua fortuna, perché sa di avere «nelle sue viscere il Salvatore potente» (cf Sof 3,14-17), il «Dio con noi»(Cf. Is 8,8. 10), il Salvatore e Re dell'universo (cf Ap 1,5-6).

Noi siamo - siamo sempre stati - il "popolo di Dio" non perché ripetiamo continuamente, magari banalizzandola un po', questa bella espressione che ci qualifica, ma perché abbiamo - abbiamo sempre avuto - la presenza del Signore, che ha posto la sua tenda tra noi e in virtù del rito eucaristico si è collocato e resta al cuore della vita ecclesiale.

Nessuna potenza della terra riesce a intimidire la "nazione santa", che sa di avere con sé il "Signore delle schiere". Nessuna nostra infedeltà ci può deprimere fino alla disperazione, dal momento che possediamo la fonte inesauribile del perdono e della riconciliazione. Nessuna nostra fiacchezza ci avvilisce, se non ci dimentichiamo che vive con noi colui che sa assumere le cose deboli per confondere le cose che sembrano forti (cf. 1 Cor 1,2 7).

Nessuna esperienza di apparente infecondità del nostro messaggio e della nostra azione, nessuna creduta impenetrabilità della società in cui viviamo, può farci cadere le braccia, se rimaniamo consapevoli che il Risorto presente nella sua Chiesa continua a effondere lo Spirito Santo, la divina energia che è capace di raggiungere gli animi più lontani e sa insinuarsi nelle coscienze che sembrano impermeabili; anche se non sempre egli ci dà il gusto e la consolazione di percepire chiaramente e positivamente la sua divina efficacia.

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