Jubilee 2000 Search
back
riga

La Penitenza preludio di un’esperienza che riempie di gioia
Corrado Maggioni

Diversamente da quanto può sembrare, riconoscere i propri peccati è sempre un’esperienza che riempie di gioia. Anche il perdonare è un’azione che dilata il cuore, rallegrando chi la compie. La gioia più grande di Dio è, infatti, il perdono: un super-dono elargito per puro amore. Lo ha insegnato Gesù nella similitudine del pastore che, caricatosi sulle spalle la pecorella smarrita, tutto contento, chiama gli amici e i vicini per fare festa (cf Lc 15,1-7).

E’ in questa luce che Giovanni Paolo II parla del Giubileo come di una «grande festa» (IM 6). La letizia giubilare germina col riconoscimento delle proprie colpe e matura col perdono ricevuto da Dio. E’ così fin dal 1300, allorché il Papa Bonifacio VIII  concesse al popolo che la invocava «un’indulgenza di tutti i peccati non solo più abbondante, ma pienissima». In questa tradizione, che coniuga la gioia del perdono con la conversione della vita, s’innesta decisamente anche l’Anno Santo del 2000: «Questo Giubileo può ben essere considerato “grande” e la Chiesa esprime il vivo desiderio di accogliere tra le sue braccia tutti i credenti per offrire loro la gioia della riconciliazione» (IM 6).

Eppure non è sempre facile confessarsi: non si sa che cosa dire, si trovano scuse, si lamenta l'indisponibilità del prete o si stima non necessario rivolgersi a lui. In realtà, la coscienza del bisogno del perdono è direttamente proporzionale alla coscienza del peccato: quando sono io a stabilire il criterio del bene e del male, tutto trova giustificazione; se invece mi pongo davanti a Dio, lasciando che sia la sua parola a dire ciò che è il bene e il male, allora il bianco si distingue presto dal nero. «L’Anno Santo è per sua natura un momento di chiamata alla conversione…. Questa, peraltro, è in primo luogo frutto della grazia. E’ lo Spirito che spinge ognuno a “rientrare in se stesso” e a percepire il bisogno di ritornare alla casa del Padre (cf Lc 15, 17-20). L’esame di coscienza, quindi, è uno dei momenti più qualificanti dell’esistenza personale. Con esso, infatti, l’uomo è posto dinanzi alla verità della propria vita. Egli scopre, così, la distanza che separa le sue azioni dall’ideale che si è prefisso» (IM 11). 

Non è neppur facile confessarsi bene, così da sentire nei capillari l’irrorazione d’ossigeno che tonifica l’anima. Ciò accade quando è la vita a cambiare. La difficoltà più grande che, oggi come ieri,  incontra il sacramento della Penitenza viene dalla sua esigenza a riorientare pensieri, parole e azioni colpevolmente lontane dal Vangelo. Qui sta il nodo del problema, e in tale direzione fa appello la voce del Papa: «In questo terzo anno il senso del “cammino verso il Padre” dovrà spingere tutti a intraprendere, nell’adesione a Cristo Redentore dell’uomo, un cammino di autentica conversione, che comprende sia un aspetto “negativo” di liberazione dal peccato sia un aspetto “positivo” di scelta del bene, espresso dai valori etici contenuti nella legge naturale, confermata e approfondita dal Vangelo. E’ questo il contesto adatto per la riscoperta e la intensa celebrazione del sacramento della Penitenza nel suo significato più profondo» (TMA, n. 50).

Il significato del sacramento si può ben cogliere dagli opposti movimenti che vi interagiscono: la miseria umana e la misericordia divina; l’egoismo di questa terra e la grazia che viene dal cielo; la colpevolezza dell’uomo e l’innocenza dell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Ci si accorge allora che il sacramento non è definito dal peccato, quanto dalla penitenza e dal perdono. La penitenza da parte dell’uomo, il perdono da parte di Dio. Il sacramento è infatti segno efficace della misericordia di Dio operante nel cuore penitente: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 51, 2).

Il per-dono gratuitamente elargito nel sacramento necessita di un animo penitente per produrre l’effetto rinnovatore. La parabola evangelica del figlio che prima abbandona il padre e poi fa ritorno a casa (cf Lc 15,11-32) non insegna la strada del fai come ti pare, ma la via della penitenza (stupisce che la parabola sia nota come del figliol “prodigo”, poiché tale aggettivo dice una sola connotazione del figlio e non certo la migliore): alla luce dell’identità paterna il figlio vede con lucidità le proprie ombre; ma non si spaventa di esse, anzi proprio per uscire da queste rientra in se stesso, formula le parole da dire, trova la forza di mettersi in cammino per tornare dal padre. Lo attende l’inatteso abbraccio riconciliatore che gli concede, insieme al perdono, la voglia e la capacità di cambiare vita davvero.

Nel percorso del figlio «perduto e ritrovato» si riflette il necessario cammino penitenziale sotteso alla fruttuosa celebrazione del sacramento della riconciliazione. Sotteso, dunque, anche al fruttuoso prender parte al Giubileo, vivendolo a partire dall’interiore e non dall’esteriorità: «Nessuno in questo anno giubilare voglia escludersi dall’abbraccio del Padre. Nessuno si comporti come il fratello maggiore della parabola evangelica che rifiuta di entrare in casa per fare festa (cf Lc 15, 25-30). La gioia del perdono sia più forte e più grande di ogni risentimento. Così facendo, la Sposa brillerà dinanzi agli occhi del mondo di quella bellezza e santità che provengono dalla grazia del Signore» (IM 11).

Nel domandare e ricevere il perdono di Dio, è implicita la riconciliazione con la Chiesa, ferita dal peccato delle sue membra. Lo ribadisce il Papa nella bolla di indizione dell’Anno Santo: «Il sacramento della Penitenza offre al peccatore la “possibilità di convertirsi e di ricuperare la grazia della giustificazione” ottenuta dal sacrificio di Cristo. Egli è così nuovamente immesso nella vita di Dio e nella piena partecipazione alla vita della Chiesa» (IM. 9). Il sacramento non solo riconcilia con Dio, ma anche con i fratelli. Il sacerdote funge infatti da mediatore in nome di Dio ma anche in nome della Chiesa, poiché il perdono divino passa per il ministero ecclesiale; lo ricorda la formula di assoluzione sacramentale: «Dio, Padre di misericordia... ti conceda mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace».

La Chiesa del Giubileo è dunque la comunità che sperimenta la gioia del perdono ricevuto da Dio e condiviso con i fratelli: «Culmine del Giubileo è l’incontro con Dio Padre, per mezzo di Cristo Salvatore, presente nella sua Chiesa, in modo speciale nei Sacramenti. Per questo motivo, tutto il cammino giubilare, preparato dal pellegrinaggio, ha come punto di partenza e di arrivo la celebrazione del sacramento della Penitenza e di quello dell’Eucaristia, mistero pasquale di Cristo nostra pace e nostra riconciliazione: è questo l’incontro trasformante che apre al dono dell’indulgenza per sé e per altri» (decreto annesso alla bolla).

La celebrazione comunitaria della riconciliazione, presentata nel capitolo II del Rito della Penitenza - fatta di ascolto della Parola di Dio, del riconoscimento di essere peccatori e bisognosi di perdono, della confessione individuale delle colpe al sacerdote in vista dell’assoluzione, di rendimento di grazie elevato insieme a Dio - esprime in modo più immediato la dinamica della riconciliazione tra Dio Padre e i suoi figli, rigenerati in Cristo per opera dello Spirito. L’anno giubilare è il tempo propizio per vivere celebrazioni penitenziali comunitarie, specialmente nelle chiese cattedrali e parrocchiali. Non disertarle è rispondere alla chiamata a lasciarsi riconciliare con Dio e con i fratelli: senza nascondersi dietro motivi banali, curando un buon esame di coscienza, prevedendo tempo e luogo per sperimentare di persona, attraverso il sacramento, che Dio non abbandona i figli peccatori ma li rinnova con amore di Padre. Così il Giubileo sarà davvero l’eco del giubilo dei redenti, riconciliati con Dio, con il prossimo e con se stessi dal sangue prezioso di Cristo.

top