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La Catechesi di Giovanni Paolo II

Giudizio e misericordia:
due dimensioni del mistero di amore

Dopo un’interruzione di 35 giorni dovuta al viaggio in Polonia, il Papa ha ripreso il 7 luglio, nella Catechesi del mercoledì all’udienza generale, a riflettere sul destino ultimo dell’umanità, parlando del giudizio di Dio come inseparabile dalla sua misericordia, secondo quanto afferma la Sacra Scrittura.

1.Si legge nel Salmo 116: “Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso” (v. 5). A prima vista giudizio e misericordia sembrerebbero due realtà inconciliabili, o almeno la seconda sembra integrarsi con la prima solo se questa attutisce la propria forza inesorabile. Occorre invece capire la logica della Sacra Scrittura, che le lega assieme e anzi le presenta in modo che l’una non possa esistere senza l’altra.

Il senso della giustizia divina è colto progressivamente nell’Antico Testamento a partire dalla situazione di colui che ha agito bene e si sente ingiustamente minacciato. Egli trova allora in Dio rifugio e difesa. Questa esperienza è espressa più volte nei salmi che, ad esempio, affermano: “So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri. Sì, i giusti loderanno il tuo nome, i retti abiteranno alla tua presenza” (Sal 140,13-14).

L’intervento a favore degli oppressi, è concepito dalla Scrittura soprattutto come giustizia, ossia fedeltà di Dio alle promesse salvifiche fatte ad Israele. Una giustizia, dunque, quella di Dio, derivante dall’iniziativa gratuita e misericordiosa con cui egli si è legato al suo popolo in un’alleanza eterna. Dio è giusto perché salva, adempiendo così le sue promesse, mentre il giudizio sul peccato e sugli empi non è che il risvolto della sua misericordia. Su questa giustizia misericordiosa può sempre fare affidamento il peccatore sinceramente pentito (cfr Sal 51,6.16).

Di fronte alla difficoltà di trovare giustizia negli uomini e nelle loro istituzioni, nella Bibbia si fa strada la prospettiva che la giustizia si realizzerà pienamente solo in futuro, attraverso l’opera di un personaggio misterioso, che progressivamente assumerà connotati “messianici” più precisi: un re o figlio di re (cfr Sal 72,1), un germoglio che “spunterà dal tronco di Iesse” (Is 11,1), un “germoglio giusto” discendente di Davide (Ger 23,5).

2.La figura del Messia, adombrata in molti testi soprattutto dei libri profetici, assume, nell’ottica della salvezza, le funzioni del governo e del giudizio, per la prosperità e la crescita della comunità e dei suoi singoli componenti.

La funzione giudiziaria si eserciterà sui buoni e sui malvagi, che si presenteranno insieme in giudizio, dove il trionfo dei giusti si trasformerà in spavento e stupore per gli empi (cfr Sap 4,20-5,23; cfr anche Dn 12,1-3). Il giudizio affidato al “Figlio dell’uomo”, nella prospettiva apocalittica del libro di Daniele, avrà come effetto il trionfo del popolo dei santi dell’Altissimo sulla rovina dei regni della terra (cfr Dn 7, spec. vv. 18 e 27).

D'altra parte, anche chi può aspettarsi un giudizio benevolo, è consapevole dei propri limiti. Emerge così la coscienza che è impossibile essere giusti senza la grazia divina, come il Salmista ricorda: “Signore... per la tua giustizia rispondimi. Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto” (Sal 143,1-2).

3.La stessa logica di fondo si ritrova nel Nuovo Testamento, dove il giudizio divino è legato all’opera salvifica di Cristo. Gesù è il Figlio dell’uomo al quale il Padre ha trasmesso il potere di giudicare. Egli eserciterà il giudizio su quanti usciranno dai sepolcri, separando quanti sono destinati ad una risurrezione di vita da quanti sperimenteranno una risurrezione di condanna (cfr Gv 5,26-30). Tuttavia, come sottolinea l’evangelista Giovanni, “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (3,17). Soltanto chi avrà rifiutato la salvezza, offerta da Dio con una misericordia sconfinata, si troverà condannato, perché si sarà autocondannato.

4. San Paolo approfondisce in senso salvifico il concetto di “giustizia di Dio”, che si realizza “per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono” (Rm 3,22). La giustizia di Dio è intimamente connessa con il dono della riconciliazione: se attraverso Cristo ci lasciamo riconciliare con il Padre, possiamo diventare anche noi, per mezzo di lui, giustizia di Dio (cfr 2 Cor 5,18-21).

Giudizio e misericordia vengono così compresi come due dimensioni dello stesso mistero d’amore: “Dio infatti ha racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia” (Rm 11,32). L’amore, che sta alla base dell’atteggiamento divino e deve diventare una virtù fondamentale del credente, ci spinge perciò ad avere fiducia nel giorno del giudizio, escludendo ogni timore (cfr 1 Gv 4,18). Ad imitazione di questo giudizio divino, anche quello umano deve essere esercitato secondo una legge di libertà, nella quale deve prevalere appunto la misericordia: “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,12-13).

5. Dio è Padre di misericordia e di ogni consolazione. Per questo nella quinta domanda della preghiera per eccellenza, il ‘Padre nostro’, “la nostra richiesta inizia con una ‘confessione’, con la quale confessiamo ad un tempo la nostra miseria e la sua misericordia” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2839). Svelandoci la pienezza della misericordia del Padre, Gesù ci ha anche insegnato che a questo Padre così giusto e misericordioso si ha accesso solo attraverso l’esperienza della misericordia che deve contraddistinguere i nostri rapporti con il prossimo. “Questo flusso di misericordia non può giungere al nostro cuore finché noi non abbiamo perdonato a chi ci ha offeso… Nel rifiuto di perdonare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, il nostro cuore si chiude e la sua durezza lo rende impermeabile all’amore misericordioso del Padre” (CCC n. 2840).

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