The Holy See - Vatican web site
Jubilee 2000 Search
back
riga


"RADICI DELL'ANTIGIUDAISMO IN AMBIENTE CRISTIANO"

AUSCHWITZ: TRIONFO DEL MALE IN UNA SOCIETÀ SENZA DIO

Remi Hoeckman

Questo millennio sta per finire, ma la memoria di Auschwitz non finirà mai. Il ricordo di quella realtà che fu assolutamente nefanda, assolutamente malvagia e per molti aspetti singolare, e che ha segnato questo secolo per sempre - l'Olocausto, l'eccidio sistematico da parte dei nazisti di circa sei milioni di ebrei, uomini, donne e bambini per i quali Auschwitz è divenuto il tragico emblema - non deve mai finire. «Molti piansero, allora, e ancora oggi udiamo l'eco del loro lamento», ha detto Giovanni Paolo II a centinaia di persone, cristiani ed ebrei, compresi i sopravvissuti all'Olocausto, riuniti in Vaticano il 7 Aprile 1994, «ma il loro gemito non morirà con loro. Esso si alza potente, agonizzante, va dritto al cuore e dice: "Non dimenticateci!" È indirizzato a ognuno e a tutti». Dobbiamo veramente ricordare. È necessario ricordare. «Ma ricordare non basta», ha affermato con forza il Santo Padre.

La fine di questo secolo, di questo millennio deve coincidere con la fine dell'anti-giudaismo, del disprezzo che i cristiani hanno avuto per gli ebrei e l'ebraismo, con la fine dell'anti-semitismo, dell'odio razziale, peccati contro Dio e l'umanità che hanno afflitto la storia per lungo tempo e hanno contribuito a creare un'atmosfera in cui l'Olocausto - la cui enormità e terrore sembrano impossibili da concepire - divenne possibile. L'inizio di un nuovo secolo, di un nuovo millennio, deve segnare la fine di un lungo periodo su cui non dobbiamo stancarci di riflettere per trarne le dovute conclusioni. Poiché ai nostri giorni, deplorevolmente, sussistono molte nuove manifestazioni di anti-semitismo, xenofobia e odio razziale che furono i semi di quegli innominabili crimini. L'umanità non può permettere che tutto questo accada di nuovo. Per questo ricordiamo Auschwitz. Auschwitz ha aperto «i nostri occhi», ha detto il Papa nel corso di un incontro con i rappresentanti delle Conferenze Episcopali il 6 marzo 1982, ed è il fermo proposito della Chiesa, espresso nei documenti post-conciliari come pure negli insegnamenti del Papa - «attraverso la mia persona» come il Santo Padre ha sottolineato nel suo saluto alla comunità ebraica nella Sinagoga romana - che mantenendone viva la memoria, può aprire gli occhi di tutti e di ciascuno, ovunque, per far sì che il male non prevalga sul bene come avvenne ad Auschwitz. Di fatto, l'Olocausto e Auschwitz (e tutti gli altri nomi dei campi di sterminio che rievocano la memoria delle crudeltà perpetrate dai nazisti durante la II Guerra Mondiale) sono diventati una sorta di metafora archetipica del trionfo del male su larga scala.Per quanto concerne la questione dell'anti-giudaismo ( con le sue connotazioni religiose ) e dell'anti-semitismo ( nella sua complessità e ambiguità ) e i rapporti tra ciò che Jules Isaac descrisse come «l'insegnamento del disprezzo» da parte dei cristiani e l'Olocausto, alcuni autori hanno compiuto un tentativo di tracciare una linea retta e ininterrotta che va dall'insegnamento cristiano alle camere a gas di Auschwitz (1).

Ma questi tentativi sono stati smentiti da molti storici i quali affermano, come lo storico ebreo Yosef Yerushalmi: «Non vi è altra questione se non quella che l'antisemitismo cristiano attraverso le varie epoche ha contribuito a creare il clima e la mentalità in cui il genocidio, una volta concepito, poté essere compiuto con scarsa o nessuna opposizione. Ma anche se ammettiamo che l'insegnamento cristiano fu senz'altro una delle cause che condussero all'Olocausto, non fu certamente l'unica (...). L'Olocausto fu l'opera di uno Stato prettamente moderno, neopagano (secolarista)»(2). E Roland Modras commenta «Come Yerushalmi, gli studiosi che hanno scritto sulla materia si sono trovati generalmente concordi sul fatto che c'è una differenza sostanziale tra anti-giudaismo cristiano e anti-semitismo razzista, che qualcosa di nuovo è entrato nel quadro storico-sociale che ha reso l'Olocausto possibile nel nostro secolo, quando non era neppure concepibile nel Medio-Evo cristiano. Mi riferisco qui a qualcosa che va oltre la moderna tecnologia e l'efficienza burocratica che resero l'Olocausto tecnicamente attuabile. La modernità ha inoltre corroso i tradizionali vincoli religiosi che influenzavano il comportamento umano e ha dato libero corso a ideologie incontrollate che non furono solo anti-ebraiche e anti-cristiane, ma apertamente pagane. (CS1)(CS2)» (3).

Tuttavia il fatto stesso che l'anti-giudaismo e ancor più l'anti-semitismo trovarono posto nel pensiero e nella pratica di molti cristiani nel corso della storia invita ad un atto di contrizione. Il Santo Padre ha ripetutamente insistito su questo, ed un ebreo, il Rabbino Awraham Soetendorp, egli stesso sopravvissuto all'Olocausto, ci aiuta a scavare in profondità nel suo significato. «Il vero significato del pentimento (teshuva) - ha detto alla Conferenza di Eisenach nel 1993 - non deve essere portato con un sentimento di colpa, ma bisogna imparare dall'esperienza e trasformare errori e trasgressioni nella passione per un nuovo futuro». Il rabbino Irving Greenberg trova il «qualcosa di nuovo» , di cui parla Modras, nella secolarità stessa quando la società è privata del rispetto di Dio per l'uomo (4). «In altre parole - Ronald Modras osserva opportunamente - c'è una discontinuità tra l'anti-giudaismo cristiano ed il razzismo nazista che resero l'Olocausto possibile, una discontinuità che è passata completamente inosservata e inesplorata quando entrambi venivano classificati con la stessa denominazione di "antisemitismo". Comunque dobbiamo andare oltre tali questioni. Nelle parole di Giovanni Paolo II, "dobbiamo ricordare, ma ricordare non basta". "Noi abbiamo un impegno (...). Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per liberare l'uomo dallo spettro del razzismo, dell'esclusione, dell'alienazione, della schiavitù e della xenofobia, per sradicare questi mali che avanzano nella nostra società (...). Il male appare sempre sotto nuove forme (...). È compito nostro smascherare il suo pericoloso potere e neutralizzarlo con l'aiuto di Dio»(5).

Smascherare il male significa andare alle sue radici. «Identificarlo e denunciare le manifestazioni del male, e fare fronte unico contro di esse, è un nobile atto ed una prova del nostro impegno reciprocamente fraterno» ha detto il Santo Padre al Comitato esecutivo del Consiglio internazionale di cristiani ed ebrei il 6 luglio 1984, «ma è necessario andare fino alle radici di tale male». Ed ha sottolineato il ruolo importante dell'educazione a questo riguardo. Infatti, tutto questo non sarebbe sufficiente se non venisse accompagnato da un profondo cambiamento nei nostri cuori, da una autentica conversione spirituale, poiché «la fonte ultima della violenza è la corruzione del cuore umano» ha detto ad un gruppo di giovani cristiani ed ebrei in visita in Vaticano il 2 luglio 1993, e questa corruzione del cuore umano è una conseguenza dell'assenza di fede in Dio. Anzi, «la riflessione sull'Olocausto ci mostra a quali terribili conseguenze la mancanza di fede in Dio ed il disprezzo per l'uomo creato a sua immagine e somiglianza possono portare», il Papa ha scritto in una lettera indirizzata all'allora Presidente della Conferenza nazionale dei vescovi cattolici negli USA l'8 agosto 1987. «Di fronte a questi rischi che minacciano anche i figli e le figlie di questa generazione, cristiani ed ebrei insieme hanno molto da offrire ad un mondo che lotta per distinguere il male dal bene, un mondo voluto dal Creatore per difendere e proteggere la vita, ma così vulnerabile alle voci che diffondono valori che portano solo alla morte e alla distruzione» (6). Le parole del Santo Padre ci ricordano le parole del Rabbino Abraham Heschel che disse: «nessuno di noi può farlo da solo».

Oggi, tra ebrei e cristiani le cose stanno cambiando. I reciproci stereotipi, i pregiudizi e le caricature sono andati via via scomparendo. Un nuovo spirito sta permeando le nostre relazioni. Come fu stabilito nel corso dell'International Catholic Jewish Liaison Committee riunitosi a Praga nel 1990, buona volontà e obiettivi comuni stanno prendendo il posto del sospetto, del risentimento e della diffidenza. Questo nuovo spirito deve ora manifestarsi nell'opera che le nostre due comunità di fede potrebbero realizzare insieme per rispondere ai bisogni del mondo di oggi. Questo dovrebbe essere «l'ordine del giorno». Dopo due millenni di allontanamento e di ostilità, i cristiani e gli ebrei hanno il sacrosanto dovere di creare una autentica cultura di stima e di attenzione reciproche, così che il nostro dialogo possa diventare un segno di speranza e di ispirazione per altre religioni, razze e gruppi etnici per abbandonare il disprezzo, verso la realizzazione di una autentica fraternità umana. Come ha scritto Giovanni Paolo II nel suo messaggio al popolo della nativa Polonia in occasione del 50° anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia, «come cristiani ed ebrei, seguendo l'esempio della fede di Abramo, noi siamo chiamati ad essere una benedizione per il mondo intero. Questo è il comune compito che ci attende. È dunque necessario per noi, cristiani ed ebrei, essere in primo luogo "benedizione" l'uno dell'altro».

È giusto affermare che i cristiani, ed in particolar modo noi cattolici, siamo ben consapevoli dei nostri obblighi verso la storia e le sfide che abbiamo ancora di fronte per risanare le profonde ferite del passato. Allo stesso tempo riconosciamo la necessità di andare oltre la memoria di quel passato. Dobbiamo anche andare oltre il sogno di una mera coesistenza pacifica tra cristiani ed ebrei, che è sempre fragile specialmente in tempo di crisi, per costruire qualcosa di più solido non solo allo scopo di migliorare le nostre relazioni, ma in modo tale da contribuire al benessere del mondo in cui viviamo e nei confronti del quale - tanto gli ebrei quanto i cristiani ne sono convinti - abbiamo una particolare responsabilità affidataci da Dio stesso.

È evidente che il ruolo dell'educazione per entrambi, cristiani ed ebrei, è di vitale importanza in questo processo. Laddove la Chiesa cattolica è coinvolta, l'intuizione, la scoperta e la visione del Concilio Vaticano II (7) hanno trovato un riscontro positivo nelle nostre comunità. Esse hanno messo a nudo approcci sbagliati, mentalità o atteggiamenti e principi che erano stati dimenticati o oscurati. Hanno prodotto direttive per un cambiamento e fornito suggerimenti per metterlo in atto. L'obiettivo è ora quello di rendere i contenuti di quei principi e di quelle direttive dell'insegnamento della Chiesa realmente effettivi per mezzo dell'educazione, di una comunità più ampia e quindi al primo posto sono gli educatori di tali comunità, come ad esempio i nostri teologi e sacerdoti, gli insegnanti e i catechisti. Il tremendo bisogno di portare avanti e sviluppare il lavoro già iniziato della costruzione di "ponti" di rispetto e comprensione reciproca tra le nostre due comunità, che Dio ama entrambe, per il bene dell'umanità, è oggi evidente. «Rievocare la memoria di Auschwitz, la memoria del trionfo del male, non può non riempirci di profondo dolore», rifletteva il Santo Padre prima della preghiera dell'Angelus, domenica 29 gennaio 1995. «Purtroppo, tuttavia, i nostri giorni continuano ad essere segnati da grande violenza. Dio, non permettere che domani dovremo versare lacrime su altre Auschwitz del nostro tempo».

NOTE

1) Giovanni Paolo II durante la visita alla Sinagoga di Roma il 13 aprile 1994

2) da: Eva Fleischner (ed.) Auschwitz: Beginning of a New Era?, New York 1997, di Ronald Modras, Christian Anti-Semitism and Auschwitz: some reflections on Responsibility in «New Theology Review», Volume 10, Numero 3, Agosto 1997, pp. 58-71

3) Ibid.

4) Auschwitz: Beginning of a New Era? op.cit.

5) Giovanni Paolo II il 7 Aprile 1994

6) Ibid.

7) cfr. Nostra Aetate, n.4

top