La visita del Santo Padre al Tempio Maggiore - Jorge Mejía
Jubilee 2000 Search
back
riga


"RADICI DELL'ANTIGIUDAISMO IN AMBIENTE CRISTIANO"

LA VISITA DEL SANTO PADRE AL TEMPIO MAGGIORE

Jorge Mejía

L'origine remota di questo storico avvenimento risale a qualche anno prima, quando il Santo Padre andò in visita pastorale alla parrocchia romana di San Carlo ai Catinari, l'8 febbraio 1981. Ora, questa parrocchia si trova proprio ai margini di ciò che un tempo, per fortuna trascorso, era il quartiere del ghetto degli ebrei a Roma. Qualcuno fece notare a me, che ero allora Segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, che l'occasione era propizia, per un primo incontro discreto del Papa con il Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff; e che, anzi, il Rabbino sarebbe stato disposto ad incontrare il Papa. Il momento sembrava particolarmente adatto poiché in quegli stessi giorni si votava il referendum sull'aborto e sarebbe stato auspicabile che due autorità religiose, l'una cristiana e l'altra ebraica manifestassero in qualche maniera la loro ferma opposizione ad una simile proposta di legge. Non si poteva trattare ovviamente di una dichiarazione comune bensì della mutua espressione di un profondo accordo, fondato sulla comune eredità biblica, chiaramente contraria ad una tale violazione del diritto alla vita.

Sentiti i miei Superiori e avuta l'autorizzazione per procedere, proposi al Prof. Toaff d'incontrarsi con il Santo Padre in un locale adiacente alla Chiesa, subito dopo la celebrazione della Eucaristia. Prima ancora dell'incontro, il Rabbino mi fece pervenire il suo testo sul tema del referendum, che potei così far vedere a Sua Eccellenza Torrella, allora Vice Presidente della Commissione, oggi arcivescovo emerito di Tarragona. Il testo era ineccepibile.

L'incontro, breve ma cordialissimo, si sviluppò come previsto, senza testimoni (eccetto il sottoscritto) e si limitò, ancora come previsto, a una esperienza di convergenza mutua basata nell'eredità biblica, sul diritto alla vita. Non più di dieci minuti o un quarto d'ora; ma la porta era già aperta. Il Vescovo di Roma e il Rabbino Capo della Comunità israelitica della stessa città si erano incontrati per la prima volta nella storia.

Cinque anni dopo, agli inizi del 1986, si parlava durante un pranzo al quale il Santo Padre aveva invitato, com'è solito fare, alcuni suoi collaboratori, di una prossima visita pastorale del Papa in un certo Paese. In rapporto con questa visita, si era prospettata, da parte del Vescovo di una delle città in programma, che il Santo Padre si recasse in una Sinagoga del luogo, atteso da una parte l'interessamento della Comunità ebraica per la visita pastorale, e dall'altra, il valore di esempio che questo gesto poteva avere per i rapporti ebraico-cristiani.

A questo punto, mi ricordo che vi fu uno scambio di sguardi tra me e una delle autorità presenti, che era seduto di fronte. E tutti e due dicemmo, quasi allo stesso tempo: «Ma, Santo Padre, se si pensa a recarsi in visita in una Sinagoga, si dovrebbe incominciare da Roma». Il Papa rispose chiedendo a sua volta se questo era possibile. A cui io risposi, avendo in mente l'episodio testé riferito, che la cosa mi sembrava davvero possibile. Il Papa disse allora di esaminare il terreno e riferirne alle nostre autorità.

Il che feci il lunedì successivo, senza perdere un istante. Telefonai al Prof. Toaff, chiedendo un'udienza per parlare di un tema importante. Mi diede appuntamento per il giorno dopo, martedì. Ammesso alla sua presenza, nell'accogliente appartamento di Via Catalana, esposi il motivo della mia visita, con semplicità ma non senza una certa preoccupazione. Il Rabbino disse, con le parole (in ebraico) del Salmo 119,26: baruk ha ba be shem Adonai; e cioè: «benedetto chi viene nel nome del Signore» Ancora quindi, un riferimento alla comune Parola di Dio, il che orientava già la futura visita nella direzione giusta: quella cioè del rapporto fondato nella comune origine biblica e quindi nella comune eredità, punto di partenza necessario per la nostra comune testimonianza di fronte al mondo. Così ogni mio timore veniva dissipato.

Dopodiché il Rabbino disse: «Veda; io ho un Consiglio e debbo sentire questo Consiglio: ci incontriamo tra due giorni, giovedì. Non appena avrò una risposta mi metterò in contatto con Lei; speriamo bene ».

Due giorni d'attesa mi sembravano in quel momento insopportabili. Credo di aver pregato intensamente perché la decisione del Consiglio fosse così accogliente come quella del Rabbino.Infatti, prima della fine del primo giorno, mercoledì, il Prof. Toaff mi chiamò al telefono, e, con mia grande sorpresa, mi disse che aveva chiesto di anticipare la riunione prevista per quello stesso giorno e che la risposta unanime del Consiglio era stata positiva, gioiosamente positiva e grata. Riferii immediatamente ai miei Superiori e, a partire da qui, i meccanismi d'entrambe le parti si misero in moto per concordare forma e contenuto di un incontro che, nell'opinione di tutti, sarebbe stato storico.

Mancava però un particolare: la data, vale a dire una data comune, che si potesse quindi inserire nella sempre stracarica agenda del Santo Padre e in quella non meno complicata del Rabbino Capo. Bisognava poi tener conto delle varie esigenze religiose di ambedue le Comunità per quanto riguardava i tempi e i giorni sacri.Dopo una certa esitazione si decise per una domenica dopo Pasqua (si era nel mese di febbraio). Ed è qui che, ancora una volta, il Rabbino Capo ebbe un'idea brillante, forse frutto d'una ispirazione, che superò ogni difficoltà. Fu infatti lui a proporre la domenica 13 aprile, l'unica, tra le domeniche dopo Pasqua, nella quale il Papa non andava in visita pastorale in una parrocchia di Roma, poiché quella mattina vi era una cerimonia di canonizzazione a San Pietro. Questo, ovviamente, il Rabbino ignorava.Trasmisi la proposta ai Superiori. La prima reazione dell'allora Sostituto della Segreteria di Stato fu alquanto esitante; «Si preferisce che il Santo Padre non abbia più di una cerimonia impegnativa in un solo giorno», mi disse. Ma capii subito che, per questa cerimonia, vi sarebbe stata un'eccezione. E così fu, come tutti sappiamo.

Il sottoscritto nel frattempo aveva ricevuto un nuovo incarico nella Curia Romana. Nominato agli inizi di marzo Vice Presidente della Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", ero stato ordinato vescovo il giorno precedente la visita, sabato 12 aprile.

Comunque, mi ero occupato del grande avvenimento fin quando, un mese prima, la mia nomina non era stata resa pubblica. E il Santo Padre mi fece sapere, qualche giorno prima, che nonostante il cambiamento avvenuto, ero invitato ad accompagnarlo alla storica visita.

E così accadde che la mia prima pubblica uscita, come vescovo della Chiesa cattolica, fu per accompagnare il Vescovo di Roma alla sua visita al Tempio Maggiore della Comunità israelitica della sua stessa diocesi, dove finalmente i fratelli, quelli maggiori e quelli più recenti, si sono di nuovo incontrati ed abbracciati, come una volta Esaù e Giacobbe, speriamo per non dividersi mai più.

top