Gli eroici testimoni del "secolo breve" - Marco Gnavi
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ATTIVITÀ DI COMMISSIONI E COMITATI

Commissione Nuovi Martiri

GLI EROICI TESTIMONI DEL "SECOLO BREVE"

Marco Gnavi

I "martiri" del XX secolo, testimoni della fede che hanno effuso il proprio sangue anche in tempi recenti, sono forse per l'uomo e la donna contemporanei, gli "esegeti" più autentici della teologia delle Beatitudini. La loro vita e la loro morte infatti rendono ragione della pregnanza di significato del linguaggio evangelico; indicano come sia possibile attraversare le stagioni diverse della storia, guidati dall'aspirazione alla piena conformità con Cristo. Equipaggiati di questa somiglianza, hanno espresso la forza della vita cristiana in maniera ultimativa, attraverso la mitezza, la misericordia, la fame e sete di giustizia, la purezza di cuore, in un secolo - definito "breve" per l'accelerazione subita - che ha conosciuto l'aberrazione di due conflitti mondiali, la shoah, come pure i genocidi armeno e cambogiano per giungere a quelli più recenti nei Balcani o in Rwanda... Se il Novecento è percorso di scosse e fratture , la storia della Chiesa e delle Chiese si è spesso ad esse intrecciata, rivelando però l'energia nascosta dei suoi figli. Innanzi al portato di vittime, dolore, essi hanno un'altra eredità da consegnare. Ai crocevia drammatici di questo secolo è possibile scorgere la testimonianza a volte umile e nascosta, altre volte più nota, di laici, religiosi e religiose, vescovi, che hanno opposto al linguaggio di morte, il linguaggio della vita, alle logiche del conflitto, la forza della riconciliazione, alla prevaricazione, la compassione. Attraverso di essi diviene intellegibile al mondo contemporaneo la vittoria sui tanti linguaggi di morte e di annichilimento, anche in quelle situazioni - si pensi ai campi di concentramento - ove il bene sembrerebbe essere stato espugnato per sempre. È la vittoria di un amore per Cristo, per la Chiesa e per l'uomo, che nella croce non solo non è stato "ucciso", ma si è rivelato. Innumerevoli testimoni parlano alle generazioni di oggi per dire come sia possibile conformarsi nei pensieri, nei sentimenti, nelle attitudini concrete della vita, a Cristo, anche quando cultura mediatica ed edonista, timore e insicurezza, sembrano reiterare a ciascuno l'antico triste suggerimento "salva te stesso". La vita dei moderni "martiri", è spesso espressione eloquente di umanità modellate dal Vangelo, generose, divenute sensibili alle ferite altrui, capaci di accogliere, desiderose di promuovere la pace, forti nel perdono, efficaci nel comunicare la ricchezza della fede. Il grado "eroico" dell'esercizio delle virtù cristiane, non li allontana dalla nostra esperienza quotidiana: infatti la "beatitudine" si innesta nella debolezza e nella fragilità e le trasfigura.

Scandagliando le migliaia di notizie biografiche che giungono via via alla Commissione, emergono testimonianze che non perdono di luce per la loro "umiltà". Piuttosto, la loro grandezza sta nelle scelte di amore e di fede. Così scorrendo le loro vicende in Africa, si ripercorre la genesi di una presenza cristiana che non si è sottratta, per fedeltà al comandamento dell'amore per le popolazioni locali ed all'annuncio, al rischio della vita: dagli albori del secolo xx nell'allora Tanganika - quando si contano insieme al vescovo Cassian Spiss, diverse vittime fra le religiose uccise dai "majimaji" nella missione di Nyangao - per giungere alla persecuzione religiosa ad opera dei "simba" guidati da Gaston Soumialot nella parte orientale del Congo degli anni '64. Pure la scelta di restare, soccorrere, non abbandonare è scritta nella vita e nella morte di religiosi e religiose, nei contesti più recenti delle guerre civili che hanno attraversato paesi come Uganda, Angola, Mozambico, Sierra Leone, Somalia, a cavallo degli anni '80/'90: Dallo scenario spaventoso delle dinamiche genocidarie nella regione dei Grandi Laghi, emergono scelte coraggiose di pastori, amanti della riconciliazione al di là dell'appartenenza etnica, quali il vescovo Ruhuha...

Fili analoghi di amore per il Vangelo e per la Chiesa, conducono in America Latina. Nel Messico degli anni '20, durante la violenta aggressione del Presidente Calles contro la Chiesa Cattolica, numerosi nomi di quanti fanno corona al beato P.Michael Pro Juarez S.J. o portano in Salvador, dove la testimonianza di Mons. Romero, pastore tenace della sua Chiesa, morto celebrando il sacrificio di Cristo sull'altare, ha germinato fra i suoi fedeli ed il suo clero coraggio evangelico e predilezione per i piccoli. O ancora in Perù nel 1926, fra gli indios Huarayos, quando alcuni missionari persero la vita cercando di riconciliarne le fazioni in lite, o nel '97 anno in cui Daniele Favali di 36 anni, ultimo di una lunga teoria di missionari, ha sigillato con il sangue il suo amore per la Chiesa e per i poveri. Non di rado, dal profondo degli eventi bellici, emergono limpide figure di cristiani, che non desistono dall'esercizio della carità, al di là degli schieramenti e senza confini: così ad esempio in Asia, durante l'occupazione giapponese delle Filippine e della Cina. Numerosi sacerdoti si trovarono, come scrisse P.Cesare Mencattini nell'ultima lettera ai familiari prima di venire ucciso , «amico di tutti, fra tanti nemici». L'ospitalità offerta dalle case religiose o dalle parrocchie ai profughi di guerra ora ad Hong Kong, o alle popolazioni filippine o cinesi in regime di occupazione, sono stati sufficienti per motivare l'uccisione di religiosi e religiose. Allo stesso modo gli sforzi altrove profusi per disattivare cristianamente le radici di conflitti etnici - si pensi all'India o allo Sri Lanka - ci testimoniano la volontà di inverare l'amore paradossale per i nemici, che nel Vangelo di Matteo, compendia la proclamazione delle Beatitudini.

Anche la storia dell'Europa offre, attraverso i "martiri" di questo secolo, le luci e i riferimenti per rintracciare i percorsi del bene, in contesti di terribile e angosciosa difficoltà. Insieme a Gapp, Neururer, Edith Stein, Brandsma, una nube di testimoni meno conosciuti squarcia il buio della tragica notte della seconda guerra mondiale, offrendo se stessi per salvare la vita di centinaia di ebrei o per difendere l'impronta di Dio nell'uomo. In Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II ha stigmatizzato la "vittoria riportata su tutto il sistema del disprezzo e dell'odio verso l'uomo e di tutto ciò che è divino nell'uomo". Il "martire dell'amore", come ebbe a definirlo Paolo VI traccia un percorso lungo il quale è possibile incontrare altri cristiani assimilati alla passione di Cristo.

Al culto liturgico dei Beati e dei Santi Martiri di questo secolo, si affianca la memoria vasta di quanti, pur meno conosciuti hanno invaso lo spazio del male proclamando la gioia delle Beatitudini. Questa memoria, appare necessaria per assumere le dimensioni della presenza costante e amorevole della Chiesa anche lì dove, più che in altri luoghi e tempi, la creazione "geme nelle doglie del parto". Accompagnati da tanti cristiani vissuti e morti per Cristo, ci avviamo verso il terzo millennio dell'era cristiana, con il suo carico di dolore, ma pure con la forza, la speranza che da essi promana...

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