Jubilee 2000 Search
back
riga

Il Giubileo parla al mondo del lavoro

Franco Appi

Nella tradizione del Giubileo le immagini più impresse, nella memoria dei fedeli, sono i pellegrinaggi e le indulgenze. Pur senza togliere nulla a tutto questo, Giovanni Paolo II sta ponendo dei segni facilmente leggibili per una diversa comprensione dell’evento stesso. Innanzitutto lo ha chiamato “Grande Giubileo”. Il passaggio di millennio, l’anno 2000, gli ha fornito l’occasione e forse l’ispirazione per una celebrazione più significativa: è il primo giubileo cristiano a cavallo di millennio; è un anno ritenuto, ingenuamente, punto di riferimento di un futuro migliore; è un anno che sembra essere a sé in quanto non appartiene più al ‘900, e non è ancora secolo 21°. Un anno che sembra sfuggire alla catalogazione e che già in questo evoca il Regno dei Cieli, il quale sta oltre il tempo pur senza esserne fuori. Nella Tertio Millennio adveniente (nn. 9-11) il Papa ricorda che Cristo è il Signore del tempo, che in Lui, Verbo incarnato, Dio si è calato nella storia, l’eternità si è calata nel tempo, il quale diventa così una dimensione di Dio; diventa luogo della misericordia, della grazia e della salvezza. C’è un intreccio fra salvezza e tempo dell’uomo. L’oggi di Dio non è a-temporale o a-storico, è perenne: la presenza di Dio nel tempo, resa visibile nell’incarnazione, realizza la pienezza del tempo.

Un tempo escatologico

Nel passo di Luca 4, 17-21 Gesù a Nazareth afferma che l’anno del Signore è “oggi”, l’oggi di Dio, al di sopra del tempo dell’uomo, non catturato da esso, ma che agisce in esso. Il suo messaggio è la liberazione dei prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi, e il lieto annuncio ai poveri. È il tempo escatologico, un evento futuro che agisce nel tempo attuale; è la speranza che cambia il presente facendo di questo il tempo della salvezza. È l’azione della risurrezione che già ora porta il suo frutto. Infatti Luca 6, 20 dice che i poveri sono beati perché di loro è, fin da adesso, il Regno dei cieli. Chi vive nella speranza evangelica anticipa il futuro, pone i segni del Regno di giustizia, amore e pace, li scopre se sono presenti nella storia per opera dello Spirito e si pone a loro servizio.

Il Giubileo, evento di riconciliazione e di pacificazione

La riconciliazione del Giubileo cristiano pone al primo posto il perdono dei peccati, delle colpe, ma non dimentica l’effetto di esse. La stessa dottrina dell’indulgenza è un segno della necessità, non solo della conversione reale, ma anche della necessità di eliminare gli effetti perversi delle azioni peccaminose. Si rompe infatti con esse l’amicizia con Dio, l’armonia della creazione, la giustizia nelle relazioni umane. Il peccatore pentito non solo è tenuto a risarcire i danni dovuti alle sue personali azioni che determinano ingiustizia, è anche mosso a lottare contro gli effetti di danni arrecati da altri, o da strutture ingiuste, altrimenti ne sarebbe correo, come se le condividesse. Nell’amore di Cristo che lo coinvolge, vuole la salvezza integrale di ogni uomo, a partire dai poveri. In questa ottica il Papa, con il suo magistero e con la sua azione in vista del Giubileo, cerca di coinvolgere tutto il mondo ricco ad accollarsi il peso del mondo povero. Così egli vuole che venga preso in esame il problema del debito internazionale dei paesi poveri, il quale impedisce il decollo di un giusto sviluppo non esclusivamente affidato al mercato e indica, fra le condizioni per ottenere le indulgenze, l’attenzione ai poveri. Ci ripropone, come nel AT, l’azzeramento del debito dei poveri e la possibilità di offrire opportunità di vita e di benessere, rettamente inteso, a tutti. Egli ridona al Giubileo quella forza pacificatrice e riconciliatrice dentro la storia e la società, che un eccesso di intimismo e spiritualismo gli poteva togliere, mentre in questo modo diventa una ripresa di passione per Dio e per l’uomo, ogni uomo, in un’epoca in cui al centro c’è la globalizzazione dei mercati, e soprattutto il dominio del mercato finanziario globale. Questo è, al momento, sotto il segno del liberismo sfrenato, della concorrenza e del profitto ad ogni costo. Capitali enormi vengono spostati da un capo all’altro del mondo esclusivamente per speculazione; è un gioco a scacchi in cui la sconfitta è sempre dei poveri, pedine anonime e spersonalizzate che spesso producono ricchezza senza ottenere protezione dei loro diritti fondamentali. Ormai è sempre più chiaro che oggi la questione sociale è centrata sulla globalizzazione. Ma la ricchezza che l’uomo possiede è frutto del suo lavoro e del dono della creazione. Questo ci rimanda al lavoro umano, in quanto il mercato è scambio di merci prodotte dall’uomo, o sempre comunque con il suo contributo di lavoro.

Il senso del lavoro umano

L’uomo trae dal creato, con il suo lavoro, i beni che rispondono ai suoi bisogni e a quelli altrui, così si pone in relazione con tutti gli altri uomini intenti al grande banco di lavoro che è l’intera creazione, come pure si pone in relazione con tutti gli esseri. Da questo, dal suo appartenere all’universale famiglia umana e dal suo abitare lo stesso pianeta, deriva l’interdipendenza e anche la globalizzazione. E ne deriva anche la capacità di dialogo e comunicazione universale. Tutto ciò espone contemporaneamente il lavoratore al rischio di ingiustizie e sfruttamenti, ma anche alle opportunità di stabilire nuove relazioni di pace e solidarietà con tutti coloro che, con quei prodotti, risponderanno ai propri bisogni. È vero che al momento tali relazioni sono mediate dal mercato impersonale e a volte disumano, ciò non toglie che esistano e che possano essere rese comunque più personali e umane. Per quanto iniziative ancora piccole, rispetto al sistema economico mondiale, attualmente imperante, a questo mirano il commercio equo e solidale, la banca etica, le imprese sociali, tutto il mondo della cosiddetta economia civile. Queste iniziative infatti favoriscono umanizzazione, solidarietà e giustizia; forse non occuperanno mai il mercato in modo da dominarlo completamente, ma certamente turbano l’eccesso liberista e vanno oltre l’unico scopo della ottimizzazione del profitto. La stessa globalizzazione dei mercati e le società di mercato potrebbero dimensionarsi su criteri etici di umanizzazione e tutela dei diritti. Ma ciò potrà accadere senza un quadro giuridico vincolante e un potere politico adeguato? Il potere politico ha il dovere di controllo per la tutela dei diritti fondamentali di tutti. Quale potere politico potrà controllare il mercato globale? Difficilmente si potrà invocare un autocontrollo dello stesso, l’esperienza storica lo smentisce. Le attuali organizzazioni di controllo del commercio e della finanza mondiali sono strumenti tecnici non sottoposti a poteri politici democratici. In realtà non rispondono a nessuno delle loro scelte. Potrà esserci un controllo da parte del mondo del lavoro? Potrà l’ONU essere democratizzata e resa efficiente? E per tornare a problemi più immediati si potrà mettere in discussione l’assunto delle società affluenti secondo il quale una volta esauriti i bisogni primari dei cittadini dei paesi ricchi, per sfuggire alla saturazione dei mercati e allo stallo dell’economia, è necessario indurre nuovi bisogni, nuovi desideri di consumo, nuovi sogni e nuovi sprechi? Ci si potrà invece rivolgere ai bisogni primari delle popolazioni povere? Tanto più che ora sono esse stesse a fornire, non solo le materie prime sempre meno necessarie, ma anche la mano d’opera a bassissimo costo nei loro paesi, e mano d’opera per lavori disagiati qui da noi. Il fenomeno attuale delle immigrazioni dai paesi poveri, mentre da una parte suscita le paure egoiste che i poveri possano portare via le ricchezze ai ricchi e provoca chiusure localistiche, dall’altro è una prima risposta alla sperequazione dell’uso delle risorse a livello mondiale e un avvio di dialogo con culture e civiltà diverse.Il libero mercato nel tempo della globalizzazione, senza controlli politici democratici, finalizzato esclusivamente alla massificazione del profitto, può introdurre situazioni di oppressione anche peggiori di quelle del liberismo dei primi tempi, soprattutto nei paesi poveri. Mentre nei paesi ricchi favorisce da una parte la polarizzazione delle ricchezze e delle povertà, dall’altra fa crescere lo svuotamento di senso della vita delle persone.

Il Giubileo e l’evangelizzazione del mondo del lavoro

Illuminato dalla redenzione, l’uomo al lavoro fa di questo un mezzo per esprimere comunione, solidarietà, armonia che anticipa quella del Regno dei cieli. Questo Regno, la festa, la pace e l’armonia sono il vero senso del lavoro, ed è ciò che l’anno del Giubileo vuole appunto anticipare. Le forme di evangelizzazione del mondo del lavoro, ora che cultura, metodi di produzione e luoghi di lavoro sono radicalmente cambiati, dovranno avere una diversa modulazione. Se è vero che con il post-fordismo si va via via esaurendo la cultura della società di massa, anche la pastorale non potrà essere di massa, istituzionale. Tanto più che ora coloro che frequentano abitualmente le Chiese sono in Italia fra il 10% e il 15%, mentre a noi è chiesto di annunciare a tutti il Vangelo. Ogni credente nel suo territorio, nel suo ambiente, deve entrare in contatto con coloro che vi convivono ed essere testimone del Vangelo con la vita, le scelte, le opinioni espresse. Si può affermare che nel tempo attuale l’uomo occidentale soffre per la perdita del senso, per la scarsa capacità a dare significato alla vita, e nello stesso tempo nel mondo, villaggio globale come oggi si dice, c’è mancanza di solidarietà, di giustizia, di armonia, o quanto meno ce n’è bisogno. Le due cose sono in relazione. La chiusura su di sé esclude orizzonti di senso e prima ancora di significato. Questi non si trovano in noi, anche se si devono cercare attraverso la nostra coscienza, a confronto con noi stessi. Attraverso l’opera dei cristiani impegnati in esso, il mondo del lavoro, all’origine del mercato stesso, dovrà e potrà far la sua parte per intervenire sulle strutture ingiuste e sui loro effetti perversi, per liberare i poveri e dar loro il lieto annuncio dell’anno di grazia.
top