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  Le testimonianze

“Lavorare stanca”

“Il lunedì è sempre una paranoia alzarsi. Mia madre comincia alle sei e un quarto a fare un casino boia in cucina: in bagno papà si sta facendo la barba...poi arriva il mio turno. Mamma entra in camera e comincia a chiamarmi in modo dolce. Io rispondo con mugugni e mezze parole. E’ così bello stare a letto ancora un po’. Invidio mio fratello Matteo che può dormire ancora più di mezzora e se ne sta beato a letto. Dopo cinque minuti mamma ritorna in camera, più energica e decisa a sbattermi giù dal letto. Tutte le mattine la solita storia, fino a quando non si mette a strillare e a scoprirmi perché mi alzi. Qualche volta ci si mette anche papà, prima di uscire per il lavoro. In catalessi vado in bagno, faccio tutto di corsa, perché ho i minuti contati. Tante volte salto anche la colazione per stare a letto fino all’ultimo. Poi di corsa alla stazione: il treno stipato di gente, le solite facce annoiate e stanche e quell’aria di condannati a morte che si legge sulla faccia di tutti. Quando riesco mi siedo e mi riaddormento. Alla stazione via di nuovo di corsa a prendere l’autobus e poi a piedi a scuola. Arrivo sempre al brucio, quando non mi capita di fare tardi. E allora si va dal Vicepreside ed inventare qualche scusa...sperando che ci creda. E questo per sei giorni la settimana, che vita. Ma chi me lo fa fare di faticare tanto e per che cosa ?”

(Testimonianza di Andrea, allievo al II anno di una scuola come tante, 1983 pag. 12-13)

Un amico dei lavoratori

J.Cardijn, grande amico dei giovani lavoratori e fondatore della Gi.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana) si è fatto carico di questa situazione, riflettendo a lungo sul problema della fatica e del suo significato. Ecco come i suoi biografi raccontano il primo impatto che ebbe con il lavoro e i suoi problemi.“Il ragazzo è furbo e curioso. Conosce tutti gli artigiani della cittadina: muratori, tagliapietre, calzolai, panettieri falegnami, tornitori, sellai, sarti, mezzadri e persino...il cavadenti di piazza e i mendicanti. Prima o dopo la scuola, si ferma un po’ vicino a loro, li guarda lavorare, parla del loro lavoro, prova ad usare i loro attrezzi, guarda ammirato gli oggetti che escono dalle lori mani. Mattina e sera è colpito da un terribile spettacolo. Davanti alla porta dei Cardijn passano gli operai e le operaie dei paesi vicini che vanno nelle officine della regione del Brabante: cartiere, vetrerie, fonderie e soprattutto la fabbrica di seta artificiale di Tubize, allora tristemente nota per l’immoralità provocata dal lavoro con l’etere, che stordisce le donne e fa loro perdere ogni dignità. Ancora prima di alzarsi, fin delle 4 o 5 del mattino, Giuseppe sente sotto le finestre lo scalpitio dei loro zoccoli sull’acciottolato. In queste lunghe file cariche di stanchezza e di sofferenza ci sono degli adolescenti: addirittura dei ragazzi della sua età, mezzi addormentati, che bisogna trascinarci dietro per farli camminare. A casa, Giuseppe sente i genitori che ne parlano...”Ma com’è possibile ? Sono troppo piccoli per una vita simile ! Dovrebbero piuttosto andare a scuola ...”

(Marguerite Fièvez - Jacques Meert, “Cardijn”, LDC Torino, 1983 pag. 12-13)
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