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Urbano VIII

(1623 - 1644)

Grande mecenate e grande nepotista: Maffeo Barberini nomina il fratello Carlo governatore di Borgo e Generale della Chiesa e crea cardinali cinque nipoti. Nel governo della Chiesa si attiene scrupolosamente al Concilio di Trento. A lui si deve la riforma del breviario e il potenziamento del tribunale dell’Inquisizione. Modifica le procedure per le beatificazioni e stabilisce che i cardinali si possono fregiare del titolo di “Eminenza”. Intraprende l’opera di bonifica delle paludi pontine e di quelle romagnole ed abbellisce Roma di nuove piazze, vie e palazzi. Fa costruire anche il famoso baldacchino di bronzo che sovrasta l’altare papale di San Pietro. Per portare in porto tutte queste opere (a lui si deve anche la costruzione della villa pontificia di Castelgandolfo) è costretto ad imporre tasse salatissime. I romani coniano il famoso motto: “quel che non fecero i barbari lo fecero i Barberini”.  In politica interna, rivendica allo Stato Pontificio il ducato di Urbino. In politica estera si serve del Cardinale Richelieu, anche se costui bada più ai trionfi della Francia che al prestigio della Santa Sede. Papa durante la terribile Guerra dei trent’anni, consapevole del suo ruolo di padre di tutta la cristianità, tenta in ogni modo di favorire il difficilissimo processo di pacificazione generale tra le grandi potenze. Durante il suo pontificato si ha anche la seconda condanna di Galileo (la prima si era avuta nel 1616 sotto Paolo V). Ma Urbano VIII fa sempre trattare con riguardo il grande scienziato (che era un amico personale del Papa), mutando la condanna al carcere in un blando confino.

Dalla Storia dell’Anno Santo di Dante Alimenti, Editrice Velar, Bergamo 1983

Aneddoti del Giubileo

Dario Busolini

Modestia e vanità

Nella mente di molti stranieri Roma continuava ad essere considerata la capitale rinascimentale del vizio e della corruzione. I pellegrinaggi giubilari, però, smentivano spesso tale impressione, come capitò all’abate benedettino di San Paolo in Carinzia Girolamo Marchstaller, che ripartì da Roma edificato: “Nelle visite alle chiese di Roma mi colpì particolarmente la devozione degli stranieri, che vidi fare calde preghiere, spesso fra le lacrime. Però notai pure le persone della nobiltà e del clero romano, e tra le prime specie le gentildonne, che a piedi, nel caldo, gocciolanti di sudore, visitavano i luoghi santi. Insomma, io posso testimoniare che quel proverbio tanto diffuso tra noi del nord che dice: “più si va vicino a Roma, più si incontra il peggio”, è ingiusto. Eppoi, si è trovato un diavolo anche fra gli angeli del cielo ed un Giuda fra gli stessi Apostoli. Mentre, per quanto mi riguarda, posso dire che a Roma non ho visto nulla di scandaloso, ma al contrario molta pietà”. Viceversa, ad altri osservatori capitò di assistere a scene un po’ meno nobili, provocate dalle rivalità tra l’una e l’altra confraternita, specie se provenienti dalla provincia, come notava con una certa stizza Giacinto Gigli, un diarista del ‘600: “Questi villani i quali dai loro paesi vengono a Roma per il Giubileo, essendo ricevuti chi dall’Arciconfraternita del Gonfalone e chi da quella della Trinità, poiché si sono vestiti di sacchi bianchi, rossi o di altro colore, ebbene, gli pare di essere divenuti tutti gentiluomini! Soprattutto quando, mentre camminano, si trovano in mano il bastone inargentato, essi entrano in tanta superbia che non danno ascolto a nessuno e mentre vanno processionalmente per la strada, non vogliono che nessuno gli passi di traverso e talvolta neppure di lato, lungo il muro. Guai, poi, a quel cocchiere che viene loro incontro con la carrozza, perché subito gli volano addosso coi bastoni con impeto ed insolenza. Se incontrano, poi, un’altra confraternita vengono immediatamente alle mani perché ciascuna di loro vuole la precedenza. Così, si perde tutta la devozione dell’anno santo!”

Bronzi e cannoni

In previsione dell’anno santo Urbano VIII aveva avviato alcuni importanti lavori architettonici, giovandosi dell’abilità del più noto artista del Seicento romano, Gian Lorenzo Bernini. Costui, nel 1624, aveva dato inizio alla realizzazione del possente baldacchino bronzeo per l’altare della Basilica di San Pietro, che però terminò molto dopo la fine del giubileo, nel 1633. Per trovare la grande quantità del pregiato e costoso metallo necessario a quell’opera colossale, il Papa decise - nonostante le proteste degli appassionati dell’arte antica - di far fondere le ricoperture di bronzo del Pantheon. Dalle quali ricavò non solo il bronzo per il baldacchino ma pure quello occorrente per una batteria di cannoni da piazzare a difesa di Castel Sant’Angelo. Dato che si era in tempi di rischio di guerra... Quei cannoni, fortunatamente, durante l’anno santo non spararono altro che proiettili a salve, in occasione delle cerimonie più solenni e festose.

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