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Storia del Giubileo  1500 Anno Santo e Rinascimento

a cura di Mario Sensi

I Giubilei della seconda metà del secolo XV (1450 con Niccolò V; 1475 con Sisto IV) avevano dovuto fronteggiare due serie di problemi: uno all'esterno del mondo cristiano e l'altro all'interno della Chiesa. All'esterno tutta l'Europa viveva una forte tensione per la pressione del pericolo dell'invasione turca. All'interno della cristianità si sentiva l'ansia della tanto invocata riforma morale, del clero e in particolare della curia romana in balia, nel tempo del rinascimento, di un nepotismo che nuoceva enormemente al buon nome della Chiesa di Roma. Agli entusiasmi per la scoperta della stampa ad opera di Gutenberg e del nuovo mondo ad opera di Cristoforo Colombo, alle tensioni del pericolo turco si aggiunse la crisi di fine secolo decimoquinto creatasi a Firenze tra il frate domenicano Girolamo Savanorala, priore del convento di San Marco, e la curia romana. I Giubilei cristiani da parte loro avevano acquisito, in due secoli di vita, la normalità della scadenza periodica di ogni 25 anni e delle facilitazioni per lucrare l'indulgenza dell'Anno Santo. Paolo II, con la Bolla "Ineffabilis providentia" del 19 aprile 1470, ne aveva infatti agevolato le possibilità sia per i cittadini romani che per quelli venuti da fuori. A quest'ultimi Sisto IV, nella Bolla "Quemadmodum operosi" del 29 agosto 1473, ridusse anche le visite alle chiese. Il Giubileo si giovò inoltre per la sua diffusione dell'invenzione della stampa ad opera di Gutenberg di Magonza (Johann detto Gensfleisch). Stabilotosi a Strasburgo nel 1434, nel 1440 inventò la tipografia ovvero la stampa a caratteri mobili. Nel 1448 assieme a J.Fust diede alle stampe la celebre Bibbia Latina con 42 linee a pagina. L'invenzione della stampa, messa al servizio dell'Anno Santo, contribuì a portare a Roma tanti pellegrini e tanta moneta. Oltre alle spese previste per un viaggio si aggiunse infatti un'offerta in denaro del pellegrino come una delle condizioni per lucrare l'indulgenza giubilare. Il binomio, offerta in denaro - indulgenza, stante l'uso imperante del nepotismo papale, innescò poi nel 1500, soprattutto nei paesi germanici, una spirale di propaganda anticuriale romana che esplose nella scissione della Chiesa latina di Occidente in protestanti e cattolici. La Chiesa di Roma veniva infatti accusata da più parti espressamente di simonia. Sarà questo l'elemento di forte presa popolare che sarà sfruttato poi da Martin Lutero nella sua polemica contro le indulgenze. In tale quadro di tensioni si ebbe il Giubileo del 1500. Esso inaugurava un nuovo centenario della storia umana e il papa Alessandro VI, spagnolo della famiglia dei Borgia, eletto l'11 agosto del 1492, lo preparò con grande cura. Il card. Borgia, grande figura di statista del tempo, noto per la sua abilità diplomatica, forza di carattere e capacità governativa, era succeduto sul trono di Pietro a Innocenzo VIII, il genovese Gian Battista Cibo. L'elezione a papa del card. Borgia venne accolta con molto giubilo e speranza, a Roma come fuori della Città eterna. La sera del 12 agosto ben 800 nobili cittadini organizzarono, in suo onore, una cavalcata verso il Vaticano agitando fiaccole, mentre l'intera città si inondava di luci. Il 26 agosto egli venne incoronato con sfarzo rinascimentale e salutato come colui che avrebbe portato all'umanità una nuova età dell'oro. Frattanto Cristoforo Colombo, ch'era salpato da Palos per le Americhe il 3 agosto del medesimo anno, il 12 ottobre del 1492 raggiungeva terra a Guanahani, l'attuale San Salvador. L'anno seguente, il 4 marzo del 1493, Alessandro VI conseguì un grande successo diplomatico in merito alla scoperta del nuovo mondo. Egli mise infatti pace tra la Spagna e il Portogallo con il trattato di Tordesillas. In esso si tirò sul globo terrestre quella linea immaginaria che andava dall'uno all'atro polo, assegnando le nuove terre, per metà a Ferdinando il cattolico (ad Occidente) e per metà al Portogallo (quelle ad Oriente). Della sua famiglia colpirono i contemporanei soprattutto i suoi due figli, Lucrezia e Cesare. Di Lucrezia, andata sposa in terze nozze ad Alfonso d'Este duca di Ferrara, scrisse Niccolò Cagnolo di Parma: "Essa è di media statura e di figura gentile, ha il viso alquanto lungo, il naso ben profilato, i capelli biondi, gli occhi d'un colore indefinito, la bocca alquanto larga, i denti candidissimi, il collo bianco e svelto, considerevole, ma tuttavia ben proporzionato. Dall'intera persona traspira sempre un giocondo sorriso". Del fratello Cesare, divenuto duca di Valentinois, scrisse invece un inviato ferrarese: "Cesare è uomo di ingegno grande e insigne e di natura eccellente: ha tutto il fare di un principe...Non ebbe mai inclinazione per lo stato ecclesiastico, però il suo beneficio gli frutta più di 16.000 ducati". La politica di Alessandro VI, fedele alla Spagna e al re di Napoli, si scontrò con il re di Francia Carlo VIII che, nell'intento di conquistare alla Francia il regno di Napoli, il 31 dicembre del 1494 occupò Roma e prese in ostaggio il figlio del papa, Cesare Borgia. I militari francesi diffusero a Roma e in Italia quelle malattie veneree che i medici del tempo chiamarono "morbo celtico o gallico". Il 14 giugno del 1497 venne ucciso suo figlio Giovanni Borgia, duca di Candia, al quale era tanto legato. Michelangelo Buonarroti, per lenire in qualche modo quel dolore del pontefice, scolpì la sua famosa Pietà che si trova in San Pietro in Vaticano. Alessandro VI, oltre alle vicende politiche e a quelle della sua famiglia, dovette affrontare una fatica ancora più dura con il priore di San Marco di Firenze, il domenicano Girolamo Savonarola. Questi poneva ogni suo sforzo per prevenire Firenze dal cadere nel paganesimo umanista. Sotto tale visione accusava nelle sue prediche, molto ascoltate dalla Firenze del tempo,un pò tutti, in particolare i principi di Firenze e i principi della Chiesa, non escluso il papa. La città di Firenze era allora divisa da una lotta quotidiana tra i partiti dei Piagnoni (quello del Savonarola), dei Palleschi (il partito dei Medici) e degli Arrabbiati o dei Gaudenti. Alessandro VI, il 21 luglio del 1495, impose al Savonarola di recarsi a Roma per rendere ragione della sua predicazione. Il priore di San Marco addusse motivi di salute per non recarvisi, ma il papa impose all'allora superiore provinciale dei domenicani il suo trasferimento da Firenze. Un'ordinanza che non venne eseguita. Gli si ingiunse intanto il divieto di predicare. La Signoria di Firenze gli commissionò tuttavia la predicazione del quaresimale del 1496. Savonarola lo iniziò il 17 febbraio apostrofando direttamente la Chiesa romana: "Fatti in qua, ribalda Chiesa, fatti in qua ed ascolta quello che il Signore ti dice: Io ti avevo dato le belle vestimenta, e tu ne hai fatto idolo. I vasi desti alla superbia; i sacramenti alla simonia; nella lussuria sei fatta meretrice sfacciata; tu sei peggio che bestia; tu sei un mostro abominevole. Una volta ti vergognavi dei tuoi peccati, ma ora non più". Il 13 maggio del 1497 il papa comminò al Savonarola la scomunica per rifiuto di obbedienza. Il frate la ritenne invalida perché fondata su false accuse e il 19 giugno rispose con la "Lettera a tutti i cristiani e figli diletti di Dio, contro la scomunica surrettizia". Nel Natale del 1497 Savonarola celebrò le tre Messe di rito, e l'11 febbraio del 1498 ricominciò a predicare contro Alessandro VI: "Il papa -egli tuonava- è ferro rotto (non più strumento nella mano del Signore) e non si è tenuti ad obbedirgli, anatèma a chi comanda contro la carità...Ogni cosa fanno contro la carità". A sostegno della verità di quanto diceva il Savonarola s'invocò, da parte del francescano Francesco di Puglia, la prova del fuoco: "Se il Savonarola non arde con me, credetelo un vero profeta", gridò il frate francescano dal pulpito della Chiesa di Santa Croce. La Signoria di Firenze, che ormai voleva disfarsi del frate, acconsentì, ma il papa Alessandro VI disapprovò quella prova e inoltre il Savonarola la rifiutò. A motivo di un tumulto che era scoppiato il frate domenicano venne condotto in prigione. Incriminato, venne condannato a morte con altri due domenicani come "eretici, scismatici e denigratori della Santa Sede". Il 23 maggio del 1498, alle ore dieci del mattino, vennero bruciati sulla piazza della Signoria. Il Savonarola aveva 45 anni. Nonostante la sua vicenda con il Savonarola, Alessandro VI preparò con grande cura il Giubileo del 1500. Già il giovedi santo del 12 aprile 1498 con la Bolla "Consueverunt romani pontifices" confermò la sospensione di tutte le indulgenze plenarie durante il Giubileo. L'anno dopo il 28 marzo del 1499 (giovedi santo) lo indisse solennemente con la Bolla "Inter multiplices", che venne letta dal protonotario apostolico Vito Gambara, il 20 dicembre fissò le modalità per l'acquisto dell'indulgenza (Bolla "inter curas multiplices"). Ai penitenzieri di San Pietro concesse inoltre in  due bolle ("Pastoris aeterni" del 20\12\1499 e "Cum in princicipio" del 4\3\1500) speciali facoltà. In tali bolle vennero fissate, per l'acquisto dell'indulgenza giubilare, le visite alle quattro basiliche in numero di trenta per i cittadini romani e quindici per i forestieri. Per il Giubileo del 1500 Alessandro VI fece riordinare la strada di accesso a San Pietro. Il "Borgo Vecchio" infatti, sostituito dalla nuova "via recta" (quella che da Castel S.Angelo porta alla Basilica Vaticana), venne denominato "Borgo Nuovo". Egli redigere un cerimoniale contenente riti e preghiere che, nelle sue grandi linee, viene ancora osservato: la contemporanea apertura della Porta Santa in in tutte e quattro le basiliche patriarcali (San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore). Il papa riservò a sé quella di San Pietro in Vaticano deputando a tre cardinali legati l'apertura delle altre tre Basiliche. L'apertura della Porta Santa costituì la novità dell'anno giubilare del 1500, un gesto che verrà ripetuto in tutti i seguenti anni giubilari. Per ricavare la Porta Santa venne abolita in San Pietro una bella cappella medievale ornata di mosaici e venne fatto spostare l'altare su cui vi era il tabernacolo del Sudario della Veronica che veniva mostrato ai pellegrini. La Porta Santa, custodita da quattro religiosi, venne lasciata aperta giorno e notte. Nella Basilica di San Paolo i monaci benedettini, essendo all'oscuro dell'apertura di una Porta Santa, fecero per l'occasione tre aperture sul fianco occidentale della Chiesa. Il cerimoniere pontificio di allora era il tedesco Giovanni Burckard che scrisse un "Diario della Curia romana" o "Liber notarum" (1483-1506). Esso costituisce la principale fonte documentaria del pontificato di Alessandro VI e quindi anche del Giubileo del 1500. L'opera curata dal Celani corriponde al tomo 32, parte I, voll.1-2, di "Rerum Italicarum scriptores". La preghiera del rito di apertura di tale cerimonia è rimasta la medesima: "Aperite mihi portas iustitiae. Introibo in domum tuam, Domine. Aperite mihi portas, quoniam vobiscum Deus" (Apritemi le porte della giustizia. Entrerò, Signore, nella tua casa. Apritemi le porte, perché Dio è con voi").  Alessandro VI, come ogni nobile rinascimentale, amò le arti. Ne fanno fede le splendide sale dipinte da Raffaello dell'appartamento Borgia in Vaticano. La sua politica antifrancese, le vicende della sua famiglia e lo scontro con Girolamo Savonarola gli procurarono tuttavia cattiva fama presso i posteri, in particolare l'insinuazione diffusasi tra la gente che lui avesse comprato dai cardinali anche il seggio di Pietro. Del Giubileo del 1500, da lui indetto e portato a compimento, non si può tuttavia che dirne bene. Alessandro VI morì di febbre il 18 agosto del 1503.

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