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Il valore perenne della testimonianza

Card. Roger Etchegary

“Nel nostro secolo, sono ritornati i martiri”. E’ così, quasi sotto forma di slogan, che Papa Giovanni Paolo II lanciava nella “Tertio millennio adveniente” (n. 37) l’idea di una giornata commemorativa dei Testimoni della Fede nel corso del XX secolo: “spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio”. Già, Paolo VI aveva detto nel 1969: “il martirologio dovrebbe diventare un libro alla moda nella Chiesa che rinasce”. Domenica 7 maggio del calendario giubilare sarà la data che permetterà alla Chiesa di prendere meglio coscienza della sua vera identità: Chiesa di testimoni, Chiesa di martiri, ha lo stesso significato. Abbiamo talvolta del martirio un’idea troppo romantica e ridotta a racconti straordinari che aprono il cammino della canonizzazione, mentre deve essere l’orizzonte abituale di ogni vita cristiana. Senza dubbio mai come ai giorni nostri, dopo i tempi primitivi, la Chiesa è stata la Chiesa dei martiri. Ma dove sono dunque? Non sempre sappiamo reperirli. Vi sono quelli che sono perseguitati da un odio palese contro Cristo e la sua Chiesa. Vi sono quelli che sono vittime di nuovi Cesari sotto copertura di una politica da difendere o di una sicurezza da assumere. Oggi il seme di martire si trova spesso nell’alleanza della Chiesa con i poveri, gli esclusi, gli oppressi. Una Commissione giubilare, presieduta da un vescovo ucraino, Monsignor Michel Hrynshyshyn, ha effettuato ricerche attraverso tutti i continenti: così migliaia di testimonianze, molto diverse ma tutte marcate dal sigillo della croce redentrice, verranno consegnate al Santo Padre, al di fuori di ogni elencazione pubblica. Sarà compito soprattutto di ogni Chiesa locale di non perdere la memoria di questi testimoni esemplari di una fede professata fino al sacrificio supremo della vita. D’altronde, il Comitato Centrale del Grande Giubileo ha chiesto al Professor Andrea Riccardi di presentarne, sotto la sua propria responsabilità, una sorta di tipologia che ci dia un’immagine palpitante della Chiesa del XX secolo. Il 7 maggio rappresenta l’occasione di approfondire e manifestare maggiore solidarietà verso quanti hanno patito e patiscono in questo momento, nella loro carne, la fede invincibile in Dio. Tale solidarietà, Giovanni Paolo II ci chiede di elargirla fin alle altre confessioni cristiane, come lo fece Paolo VI quando commemorò in Uganda dei martiri, tra cui degli anglicani. Rappresentanti di tutte le Chiese sono stati invitati domenica al Colosseo. “L’ecumenismo dei santi, dei martiri, non cessa di dire Giovanni Paolo II, è quello che convince di più.” Dobbiamo avanzare ancora nella solidarietà fino a raggiungere tutte le vittime dell’ingiustizia umana che apparenta gli esseri umani, quali essi siano, al Cristo sofferente, il Testimone per eccellenza secondo l’espressione dell’Apocalisse. (cfr. Ap. 2,2). Una Chiesa che non conserva la memoria dei suoi testimoni, dei suoi martiri di ieri o non riscopre i suoi testimoni, i suoi martiri di oggi, non può rivendicare l’onore di essere la Chiesa di Cristo. Ben più, il martirio non è solo una grazia suprema offerta da Dio ad alcuni suoi membri, esso appartiene essenzialmente alla natura stessa della Chiesa: tutta la Chiesa, per tutta la sua vita, deve testimoniare di essere come il suo Martire un segno di contraddizione. Così, il 7 maggio, la Chiesa rinnoverà la sua capacità di parlare al mondo in nome della verità.
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