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Appunti di viaggio

Vittorio Citterich

Il pellegrino

I sei giorni di pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa sono una grande traccia per tutti noi che siamo coinvolti, in modo o nell’altro, nel peregrinare lungo gli itinerari del Grande Giubileo del Duemila. Restano nella nostra commozione, resteranno nella nostra riflessione e nei pensieri delle generazioni che verranno. Traccia indelebile del Papa pellegrino destinato a portare la Chiesa nel Terzo Millennio, secondo l’esortazione del venerato Cardinale Wyszynski che, nel conclave del 1978, invitò il giovane confratello Karol Wojtyla ad accettare il peso del pontificato, superando ogni pur comprensibile titubanza.

Infine Gerusalemme

Un pellegrinaggio esclusivamente religioso alle fonti della fede, camminando sui luoghi segnati dal Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, dell’avvento e della irradiante presenza storica di Gesù Cristo, della nascita della Chiesa a Pentecoste. Ai cronisti curiosi che lo hanno accompagnato sino agli estremi limiti della geografia e della storia contemporanea, e spesso nel mezzo delle più acute contraddizioni del nostro tempo, Giovanni Paolo II, più di una volta ha confidato: “Vedrete che, alla fine, andrò anche a Gerusalemme…”

Religioso o politico?

C’è sempre stata una disputa giornalistica prima di ogni viaggio del Papa. E’ un viaggio religioso oppure è un viaggio politico? E Così, di conseguenza, anche le cronache pagavano un tributo, talvolta deformante, alla risposta che ciascun cronista dava all’interrogativo preliminare. Da questo punto di vista è stato naturale che anche il pellegrinaggio in Terra Santa, necessariamente distribuito fra Stato di Israele, futuro Stato Palestinese, Stati Arabi, abbia Pagato qualche tributo alla “politica prima di tutto” dei simpatizzanti esclusivi dell’uno o dell’altro campo. Ma poi la verità sincera delle parole e dei gesti di Giovanni Paolo II hanno messo le cose a posto per tutti. Nessuno ha avuto da ridire. Non i cristiani ancora separati, non gli ebrei, non i musulmani. La pace, da tutti desiderata, ha alcuni aspetti di tecnica politica e diplomatica che, specialmente nell’auspicato approssimarsi di un accordo, coinvolgono anche gli inevitabili contrasti dell’ultima ora. Fra tattiche e furbizie è meglio non mettere il dito.

Capolavoro spirituale

Al di là degli aspetti di tecnica politica e diplomatica, però, la pace, specialmente in una regione di secolari e terribili lacerazioni che hanno coinvolto le grandi fedi religiose, non può non essere opera, specialmente, di un mutamento di mentalità, di un rinnovamento di coscienze. La riconciliazione della famiglia di Abramo, ebrei, cristiani e musulmani che il pellegrinaggio “esclusivamente religioso” di Giovanni Paolo II ha fortemente rilanciato avrà, speriamo, le sue positive ricadute politiche. Qualcuno ha detto che il Papa ha fatto un capolavoro diplomatico. Meglio parlare di un capolavoro spirituale che deriva da una pazienza della verità. Da quella preghiera silenziosa a tu per tu con il Risorto.

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