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La Tomba vuota, pienezza di speranza

Angelo Scelzo

Giovanni Paolo II che ritorna alla Chiesa del Santo Sepolcro, dopo la celebrazione del mattino. E’ questo il segno di tutto il pellegrinaggio e, per molti versi, di tutto il Pontificato. L’inesausta ricerca di Cristo non poteva che condurre qui, lungo l’itinerario della salvezza. E non poteva che ripercorrere, come a farne sigillo del viaggio, il drammatico ed esaltante passaggio dal Golgota alla Tomba vuota, dalla morte al definitivo trionfo della vita. Gerusalemme ha accolto il Papa come solo una città santa è in grado di accogliere, quando il cuore è in pace o quando riconosce i cuori che portano pace. Sulla difficile strada della concordia tra i popoli e del dialogo tra le religioni, la Terra Santa aveva bisogno di Giovanni Paolo II. Dall’alto della sua storia di fede, Gerusalemme ha riconosciuto nel Papa, non semplicemente un ospite illustre ma un  pellegrino che veniva a richiamare la santità della città santa, a rivelare ancor più a se stessa la sua eterna grandezza. Spiritualmente è stato un pellegrinaggio vissuto tutto in ginocchio, con i silenzi della preghiera più eloquenti di qualsiasi parola. C’è stata folla intorno al Papa, e nelle strade della città vecchia, dai balconi, dai piccoli slarghi che interrompono i vicoli, era possibile aggiornare la complessa varietà di riti e di tradizioni delle tre grandi religioni  che hanno per padre Abramo. Più di ogni documento, pur significativo o solenne, la stessa presenza di Giovanni Paolo II è stata segno di dialogo e di riconciliazione per la Terra Santa e per tutta la vasta area del Medioriente. Il pensiero corre subito a un gesto: il Papa davanti al Muro del Pianto. Un’immagine che ha fatto presto a diventare simbolo, accostandosi alle più significative del Pontificato. Nella sostanza un nuovo grande passo verso l’ebraismo, verso i “fratelli maggiori della fede” Giovanni Paolo II li chiamò durante la storica visita alla Sinagoga di Roma. La sosta al Muro del Pianto ha prolungato, e reso ancora più solenne, quel grande passo sulla stessa riva del Tevere. A Gerusalemme la già importante storia di nuovi rapporti si è arricchita del capitolo più significativo. Il Papa è arrivato al luogo più sacro all’ebraismo dalla porta del dolore di Yad Vashem, visitata tre giorni prima in uno dei momenti più significativi del pellegrinaggio. Nel sacrario che ricorda l’olocausto di 6 milioni di ebrei, ha trovato posto il messaggio che Giovanni Paolo II ha lasciato come memoria al Muro del Pianto. In lungo e in largo, il pellegrinaggio ha percorso, con grande generosità, tutte le strade in grado di allungare il passo al dialogo interreligioso. E sul versante dell’ecumenismo è risuonato con forza anche in Terra Santa quell’appello all’urgenza per l’unità dei cristiani. Di questa visita appena conclusa non si può certo tracciare un bilancio. E’ una storia in cammino, che già fa intravedere, all’alba del terzo millennio, nuovi e più promettenti orizzonti di speranza. Ma tutto riporta a quel ritorno al Santo Sepolcro; a quel breve e grandioso tratto di un pellegrinaggio nel pellegrinaggio compiuto dal Papa per perdersi, ancora una volta, nello stupore di una tomba vuota, e per gioire, ancora una volta, della gioia della Risurrezione. Il Santo Sepolcro «luogo di nascita di un’umanità nuova e risorta», la tomba vuota punto di partenza di un rinnovato annuncio del  Redentore.  Solenne è il luogo, solenne è l’appello del Papa: «Da questo luogo, dove per primi alla donne e agli Apostoli fu fatta conoscere la Risurrezione, esorto tutti i membri della Chiesa a rinnovare la loro obbedienza al comandamento del Signore di portare il Vangelo fino ai confini della terra». Col sigillo della Terra Santa una consegna esigente per tutti i cristiani.

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