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Appunti di viaggio

Vittorio Citterich

L’orizzonte del Duemila

Dopo il primo ritorno di Giovanni Paolo II, da Papa, nella sua patria Polonia, tempo di Pentecoste del 1979, con l’amico di Cracovia, Stanislaw Grygiel mettemmo insieme un libro fotografico intitolato “Un Papa sull’orizzonte dei Duemila”, Orizzonte che allora ci sembrava assai lontano, una linea remota tra cielo e terra. Ecco invece che abbiamo attraversato, grazie a Dio, la soglia del Duemila, ancora collegati all’amicizia di quel tempo, ancora guidati, oltre le porte sante dischiuse del grande Giubileo, dai passi di quel Papa che ci ha chiamati a non avere paura, di aprire anzi di spalancare le porte a, Cristo, Suscitando, allora, fra molti entusiasmi anche qualche perplessità, Non era, forse, un po’ troppo azzardato affidare alla salvatrice potestà di Cristo non soltanto  le anime nostre ma anche i confini degli Stati, le realtà politiche come quelle economiche e i “vasti campi di cultura”? Grygiel, forte della sua consuetudine con il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, nell’introduzione di quel libro, spiegava: “ E parla, questo Papa, con un linguaggio, comprensibile a tutti, con un linguaggio primordiale, adeguato all’uomo, con un linguaggio poetico che rende presenti le cose nominate. Forse per questo quelli che stanno a giocare con i cubetti delle idee, sono rimasti disorientati...Si, questo Papa è troppo razionale per parlare razionalisticamente. E crede troppo in Dio e nell’uomo per cercare la salvezza per il Popolo al di fuori del Dio Uomo”. Da cronista rilevo che proprio attraverso il linguaggio, primordiale e poetico, che, insieme alla preghiera, è la sua grande forza “questo Papa” è riuscito e riesce ad abbattere mura e costruire ponti in modi che hanno provocato lo stupore del mondo.

La lettera di Jakub

Allora, ventidue anni addietro, quando arrivò quel nuovo Vescovo di Roma chiamato da lontano, i nostri figli (di StanisIao e Ludmiiia, di Marilù e miei) erano ancora ragazzi, bambini. Jakub, il più piccolo della compagnia, quando seppe che, a Roma, avevano fatto Papa Padre Karol (i bambini sanno usare d’istinto il linguaggio pimordiale e poetico), gli scrisse una lettera che diceva più o meno così: “Caro Padre, ho saputo che ti hanno fatto Papa, sono molto contento, spero che tu possa tornare lo stesso, ogni tanto, a Cracovia però assicurati in anticipo che ti diano anche il visto d’uscita”.. Con sguardo d’infanzia Jakub, nel 1978, aveva capito il senso dell’oppressione che pesava sui popoli dell’Europa centro-orientale, ai quali i sistemi comunisti negavano il “visto d’uscita” verso la libertà. Aveva intuito, più di quanti giocavano ancora con i cubetti delle idee, che, in qualche modo, Padre Karol, Vicario di Cristo in mezzo a noi, avrebbe cambiato il corso delle cose. Con i mezzi poveri della preghiera e della parola che, a conti fatti, sono stati i più potenti.
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