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Il Giubileo viaggio nella storia

1300 e i fedeli invocano un Anno Santo

a cura di Mario Sensi

Con la scandenza dell'anno secolare, una scadenza simbolica -tredici secoli dalla nascita del Redentore, il Dio fatto uomo- Bonifacio VIII (1294-1303)  ebbe l'occasione di dimostrare che egli teneva  le chiavi del regno dei cieli proclamando il Centesimo: fu la più grande manifestazione di massa di fine Medioevo,  un avvenimento  veramente  glorioso. Non si trattò però di una decisione nata dalla curia papale, per far denaro,  come una certa storiografia di parte ha continuato -contro l’evidenza dei documenti- a ripetere. Narra Iacopo Stefaneschi, cardinale diacono di S. Giorgio in Velabro, nel suo De Centesimo seu Iubileo anno liber  -splendido il codice G. 3, dell'Archivio di S. Pietro, ora alla Biblioteca Apostolica Vaticana: nella miniatura, del primo foglio, il cardinale appare inginocchiato, ai piedi di Maria, per offrirle la sua opera devota-  che, dal giorno di Natale (1300, che  secondo gli odierni computi corrisponde al Natale del 1299) al successivo primo gennaio, "rimase come oc­culto il mistero di quel nuovo perdono".  Il 1° gennaio 1300 Bonifacio si trovava  al Laterano, e la giornata passò senza che nulla si notasse di straordinario. Solo che al mattino di quel primo gennaio, nella basilica Vaticana, durante la celebrazione liturgica (venerdì dell’ottava di Natale, festa della Circoncisione), il celebrante  (forse il priore del capitolo di S. Pietro, o un canonico, ma possibile anche un mendicante, atteso il fatto che il Capitolo aveva  appena concluso un accordo con tre ordini mendicanti per organizzare la predicazione in basilica; di certo non Bonifacio VIII che risiedeva nel Patriarchio lateranense ), tenne l’omelia sull’anno centesimo, detto anche “giubilare”, con parole foriere di novità  che colpirono l’attenzione dei presenti. Sul far della sera, "come se quel mistero si fosse a poco a poco aperto e svelato ai romani", corse immediatamente voce che qualunque romano avesse visitato in quel giorno la tomba del Principe degli apostoli, avrebbe ottenuto la piena e totale indulgenza dei suoi pec­cati, e nei giorni successivi l'indulgenza di cento anni. Così, quasi te­mendo che col finire della giornata finisse anche la grazia, una folla immensa si accalcò dinanzi alla basilica di S. Pietro. Il racconto dello Stefaneschi trova conferma nella testimonianza di Silvestro, scrittore della Cancelleria papale,  autore di una circolare spedita lo stesso giorno in cui Bonifacio VIII promulgò il Giubileo. Dopo que­sto principio crebbe ogni dì più il concorso dei cittadini e dei fore­stieri. C'era  la convinzione che l'anno secolare avrebbe portato, come tredici secoli prima, una nuova riconciliazione, la dilutio peccaminum: alcuni erano persuasi di lucrare l'indulgenza plenaria, altri un'indulgenza di cento anni; era comunque opinione corrente che Roma avrebbe concesso un grande perdono. Ciò durò sino al 4 febbraio, "giorno che a tutto il mondo viene mostrata la venerabile immagine che si suol chiamare Sudario o Veronica",  quando pellegrini, specie stranieri,  assai più del solito e in turbe fitte, continuarono ad attestare al papa la convinzione che s'era dif­fusa sull'acquisto dell'indulgenza. Così molti cronisti del tempo, come Giovanni Villani di Firenze, Guglielmo Ventura di Asti ecc. Da parte sua lo Stefaneschi attesta che sarebbe venuto, tra  gli altri, a Roma anche un vecchio più che centenario che, chiamato alla presenza del pontefice, testimoniò come cento anni prima, suo pa­dre si fosse recato alla Città Santa per l'indulgenza e gli avesse consi­gliato di fare altrettanto se gli fosse toccata la ventura di giungere al nuovo anno secolare. Personalmente allo Stefaneschi aggiunse "che in ciascun giorno di quell'anno centesimo si poteva lucrare l'indulgenza di cento anni per la quale era venuto appunto pellegrino". E poiché giorno dopo giorno la folla, che faceva ressa per recarsi a pregare sulla tomba dell'Apostolo, aumentava sem­pre di più, il papa fece esaminate le antiche memorie, ma nulla ritrovò in propo­sito. La cosa -annota lo Stefaneschi- era più opinione che verità e frattanto, mentre il pontefice dimorava nel Patriarchio Lateranense,  nacque il Centesimo, termine che sta per Giubileo. Riferisce Guglielmo di Ventura,  cronista astigiano, venuto  a Roma in quell’anno, che folle di pellegrini andavano ripetendo al papa: “Dacci, o Padre Santo, la tua benedizione prima che ci colga la morte. Sappiamo noi dai nostri avi che chiunque l’anno centesimo visiti i corpi dei santi Apostoli, va libero di colpa e di pena”. Si chiedeva al papa un’indulgenza che non aveva precedenti.  Bonifacio VIII fece indagare se nell’Archivio Papale si trovassero tracce di indulgenze secolari concesse dai suoi predecessoti. Nulla però fu trovato; gli bastò tuttavia il sensus fidelium e, dopo aver  chiesto consiglio ai cardinali convocati  in un solenne concistoro, il 22 febbraio 1300, giorno della festività della cattedra di S. Pietro, Bonifacio VIII, in forza della pienezza del potere apostolico (apostolicae plenitudine potestatis),  pubblicò la bolla ‘Antiquorum habet’. Come chiaramente emerge dal dettato della lettera,  il Giubileo indetto da Bonifacio VIII non si aggancia al mondo biblico, ma è una conseguenza della pietà popolare della cattolicità occidentale del tardo Medioevo. Il referente  è “una relazione degna di fede degli antichi che, a coloro che si recano [nel Centesimo] nella venerabile basilica del primo degli apostoli in Roma, sono state concesse ampie remissioni e indulgenze dei peccati"; e poiché ciò rispondeva alla comune opinione dei fedeli  il pontefice decise per l'indulgenza plenaria. La elargì a tutti coloro che durante l'anno -a cominciare dal Natale precedente, dando così alla bolla anche un valore retroattivo- avessero pregato alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo per trenta  giorni se erano romani, per quindici se erano forestieri, purchè confessi e pentiti delle loro colpe. La bolla istituiva così il Giubileo concedendo l'indulgenza plenaria a quanti, ad ogni scadere del centesimo anno, dopo essersi confessati, avessero visitato le basiliche degli apostoli Pietro e Paolo. Vi fissava il numero delle visite: un minimo di trenta per i romani; e di quindici per i forestieri; e l'arco di tempo: un anno che, secondo lo stile dell'Incarnazione,  andava dal 25 dicembre alla vigilia del Natale successivo. Si dava pertanto valore retroattivo al docu­mento, facendo coincidere l'inizio dell'anno giubilare con il 25 dicem­bre del 1299 e il termine con il 24 dicembre 1300. L’anno giubilare fu  pertanto inteso come celebrazione del centesimo anniversario della nascita di Cristo; di conseguenza si sarebbe acquistato “in ogni anno centesimo che seguirà”. L'annuncio avvenne dall'ambone della basilica Vaticana, "velato di drappi di seta e d'oro",  così come lo vediamo nell'affresco della basilica Lateranense,  lacerto di una complessa storia, riprodotta nei dettagli da Giotto, nella basilica di S. Giovanni in Laterano sulla loggia delle benedizioni (facciata settentrionale del Patriarchio, distrutta alla fine del Cinquecento).  L’affresco, trasferito all’interno della basilica (navata destra),  raffigura Bonifacio VIII con due personaggi ai suoi fianchi; quello alla sua sinistra tiene in mano un cartiglio, dove si legge l’incipit  di una bolla, non però dell’‘Antiquorum habet’, con la quale Bonifacio VIII  indisse il Giubileo, ma della ‘Nuper per alias’, datata  con lo stesso giorno e luogo, con la quale escluse dal beneficio delle indulgenze del Giubileo i ribelli della Chiesa: vi si legge infatti, “Bonifa/tius / episcopus/ ser/vus ser/vorum Dei / ad perpe/tuam  rei/ memoriam”. Il contesto di questo affresco è noto, grazie al disegno acquarellato,  inserito negli Instrumenta traslationum  di Giacomo Grimaldi (fine sec. XVI), codice alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Autori materiali dell' ‘Antiquorum habet’ furono il cardinal Stefaneschi e maestro Silvestro di Adria, scrittore della cancelleria; mentre il card. Giovanni Le Moine, illustre canonista, ne fece un commento. La bolla, di cui furono fatte varie copie spedite a quanti erano in comunione con la Chiesa insieme a una circolare esplicativa dello scrittore della Cancelleria papale Silvestro, dove,  a differenza della bolla di Bonifacio, si fa riferimento al Giubileo ebraico. In questa circolare furono aggiunti tre versi leonini, cioè a rima baciata, quasi un ritornello per i predicatori e per i pellegrini in marcia verso Roma:

"Annus centenus  Romae semper est jubilenus.

Crimina laxantur  cui poenitet ista donantur.

Hoc declaravit  Bonifacius et roboravit".

che tradotto significa: il centesimo anno a Roma è sempre giubilare. Si cancellano le colpe e a chi si pente viene dato il perdono. Così ha stabilito papa Bonifacio e di sua autorità lo ha confermato. Copie di questo ritornello furono incise su pietra e poste lungo le strade del pellegrinaggio romeo. Tra le molte,  due almeno vanno citate: quella ritrovata lungo la strada che sale sull'Appennino parmense (epigrafe di Casara) e l'altra scolpita sull'architrave del portale di destra della facciata del duomo di Siena. La bolla, per l'indirizzo generale, per la formula di perpetuità  -la concessione non ha un valore circoscritto nel tempo-  e per altre sue parti, rientra nella tipologia delle bolle di indulgenza, nel passato elargite alla basilica di S. Pietro: un'indulgenza giubilare cioè "plenaria" data secondo la forma consueta e relative sanzioni, allo scopo di garantire l'osservanza della disposizione. E tuttavia nell'arenga  o preambolo, dove si esprime la motivazione ideale, la ragione  di carattere universale della promulgazione del Giubileo, il pontefice ricorda il suo "dovere di ufficio" e la missione salvifica della Chiesa nello spazio e nel tempo. Quasi a rimarcarne la perpetuità  fu disposto che il documento fosse inciso su una lastra marmorea e apposto nell'atrio della basilica di S. Pietro in Vaticano, dove tuttora si trova  (presso la Porta Santa, a sinistra, in alto, incorniciata da marmi preziosi), una delle poche memorie superstiti dell'antica basilica costantiniana dove  il marmo era stato posto tra la porta bronzea e quella argentea. Quanto allo spirito del documento, di fronte alla visione scatologica dominante di fine secolo e che aveva spinto tanti fedeli a venire a Roma prima ancora che fosse stato indetto il Giubileo, il pontefice risponde con un invito ad incrementare la devozione verso il Principe degli apostoli cui tradizionalmente era legato il pellegrinaggio a Roma. E' l'atteggiamento penitente dei fedeli che muove il papa a concedere "non solo una piena e più ampia, bensì una pienissima perdonanza di tutti i loro peccati". Quanto alle modalità: due erano le condizioni per l'acquisto dell'indulgenza: 1 - il pentimento e la confessione, perché la grazia possa operare; 2 - la visita alle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo. La prima condizione ricorre in tutte le elargizioni di indulgenze. La seconda era una novità suggerita forse della liturgia che da tempo aveva associato i due fondatori della Chiesa di Roma nell'unica solenne commemorazione del 29 giugno, da qui la disposizione che i romei, per lucrare il Giubileo, oltre la basilica di S. Pietro, visitino anche quella di  San Paolo con queste modalità: "se si tratta di Romani per trenta giorni continui o saltuari e almeno una volta al giorno, se invece si tratta di pellegrini o di stranieri nello stesso modo per quindici giorni". A quanti si erano sottoposti a detta disciplina il pontefice, in forza "del potere delle chiavi", cioè dell'autorità che gli viene da Cristo in quanto successore di Pietro  concedeva, alle solite condizioni -cioè se pentiti e confessati- il perdono della pena dovuta ai peccati, non riguarda pertanto i peccati i quali si rimettono con il sacramento della confessione. Nello stesso giorno in cui fu letta, in S. Pietro, la bolla giubilare, fu promulgata anche la bolla "Nuper per alios", con la quale venivano esclusi dal beneficio dell'indulgenza plenaria chi avesse avuto rapporti commerciali con i saraceni -i quali nel 1291 avevano conquistato Acri, inibendo così l'accesso dei cristiani ai Luoghi Santi- accomunati agli scomunicati Colonnesi, a Federico d'Aragona e ai suoi fautori siciliani.

«Antiquorum habet»

Istituzione del Giubileo e della piena remissione dei peccati

Bonifacio vescovo, servo dei servi di Dio. A certezza dei presenti e a memoria dei posteri C'è una relazione degna di fede degli antichi che a coloro che si recano nella venerabile basilica del primo degli apostoli in Roma sono state concesse ampie remissioni e indulgenze dei peccati. Noi perciò che, secondo il dovere del nostro ufficio, ricerchiamo e curiamo più di buon grado la salvezza dei singoli, ritenendo valevoli e gradite l'insieme e le singole remissioni e indulgenze di tal genere, con l'autorità apostolica le confermiamo e approviamo, e le rinnoviamo anche, e le rafforziamo con l'appoggio del presente scritto. Affinché poi i beatissimi apostoli Pietro e Paolo vengano tanto più ampiamente onorati, quanto più devotamente le loro basiliche della città verranno frequentate dai fedeli, e gli stessi fedeli si sentano maggiormente ricolmi dell'elargizione di doni spirituali da visite di tal genere, Noi, confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nei meriti e nell'autorità degli stessi suoi apostoli, su consiglio dei nostri fratelli e nella pienezza del potere apostolico concederemo e concediamo a tutti coloro che nel presente anno 1300 iniziato dalla vicina passata festa della Natività del Signore nostro Gesù Cristo, e in ogni anno centesimo che seguirà, si recano con riverenza nelle medesime basiliche veramente pentiti ed essendosi confessati, oppure che nel presente anno centesimo di tal genere e in qualunque anno centesimo che seguirà veramente si pentiranno e si confesseranno, non solo una piena e più ampia, bensì una pienissima perdonanza di tutti i loro peccati. [Per questo] stabiliamo che coloro che vorranno divenire partecipi dell'indulgenza di tal genere da Noi concessa, si rechino nelle medesime basiliche, se si tratta di romani per trenta giorni continui o saltuari e almeno una volta al giorno, se invece si tratta di pellegrini o di stranieri nello stesso modo per quindici giorni. Ognuno, tuttavia, meriterà di più e conseguirà l'indulgenza più efficacemente se frequenterà più ampiamente e più devotamente le medesime basiliche. Assolutamente a nessuna persona sia lecito togliere valore a questo scritto di nostra conferma, approvazione, rinnovamento, concessione e istituzione o ad esso opporsi con temerario ardimento. Se qualcuno però ardirà provarvi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei beati Pietro e Paolo suoi apostoli.

Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio nell'anno sesto del nostro pontificato.

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