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Il Giubileo viaggio nella Storia - 1525 1550 Verso il Concilio di Trento

A cura di Vittorino Grossi

Mentre la città di Roma era dilaniata da disordini non piccoli e continuativi per l'elezione del nuovo Papa il conclave, che si trascinava da ben cinquanta giorni, si accordò sulla persona del cardinale Giulio de' Medici che prese il nome di Clemente VII. Il suo pontificato (1523-1534) fu un periodo di crisi per l'intera società tanto che lui stesso venne chiamato "papa malanno". Colossali catastrofi si abbatterono infatti in continuità, durante il suo pontificato, su Roma e sulla cristianità. Egli dovette sostenere l'urto della crisi luterana, del sacco di Roma ad opera dei barbari Lanzichenecchi, lo scisma della Chiesa d'Inghilterra a motivo del non concesso divorzio ad Enrico VIII con Anna Bolena. La crisi del primo ventennio del sec.XVI che attraversò la Chiesa latina di Occidente aveva portato Martin Lutero a pubblicare il 31 ottobre del 1517 le 95 tesi sulle indulgenze. Esse divennero un pubblico cartello di contestazione alla Chiesa di Roma e di conseguenza all'indizione del Giubileo del 1525 fondato, come ogni Anno Santo, sulla possibilità per il pellegrino romeo di lucrare l'indulgenza giubilare. La risposta romana a Lutero si concretizzò nell'intervento di Leone X al cardinale legato Gaetano de Vio con il decreto "Postquam" del 9 novembre del 1518, nel quale si spiegava tra l'altro il sentire cattolico delle indulgenze. Il card. De Vio invitò Lutero alla ritrattazione delle sue tesi sulle indulgenze. Il suo rifiuto portò alla Bolla di Leone X "Exsurge Domine" del 15 giugno 1520 e alla scomunica del frate agostiniano con la Bolla "Decet romanum pontificem" del 3 gennaio 1521. Tra le proposizioni luterane condannate nella Bolla "Exurge Domine" vi erano, tra le altre, le seguenti riguardanti le indulgenze: n.17 (DS 1467): "I tesori della Chiesa dai quali il papa dà le indulgenze non sono meriti di Cristo e dei santi"; 18 (DS 1468): "Le indulgenze sono frodi pie dei fedeli"; 22 (DS 1472): "Le indulgenze non sono né necessarie né utili per sei generi di persone, vale a dire: per i morti o i moribondi, gli infermi, coloro che sono legittimamente impediti, coloro che non hanno commesso crimini o non pubblicamente, per coloro che operano bene". La diffusione delle indulgenze, collegate all'offerta del penitente, si era dilatata di molto nella cristianità del rinascimento, date le necessità di fronteggiare la guerra con i turchi, l'instabilità politica generale, la ricostruzione di nuove chiese, non ultima della Basilica patriarcale di San Pietro. Inoltre l'applicazione, spesso solo interessata delle indulgenze, portò al durissimo scontro tra Lutero e Giovanni Eck che, coagulandosi ad altre cause di malcontento, sfociò nella posteriore divisione della Chiesa occidentale. Data la difficile situazione generale molti ecclesiastici erano contrari alla celebrazione del Giubileo del 1525, sia per ragioni di opportunità nel non provocare ulteriormente i luterani sull'argomento dell'indulgenza, sia anche per l'incombente pericolo di una guerra imminente tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia. L'instabile situazione politica non prometteva naturalmente nessuna rassicurazione per i pellegrini che intendevano mettersi in viaggio per Roma. L'ambiente generale perciò non si aspettava l'indizione del Giubileo del 1525 data l'allora aspra polemica sulle indulgenze. Queste, si diceva, più che promuovere la penitenza dei peccatori, favoriva il commercio delle cose sacre con i connessi scandali. I protestanti le dileggiavano pubblicamente, qualificandole spiritualmente inutili e utili solo per la curia romana come strumento di guadagno. Nonostante le tante obbiettive obiezioni il papa Clemente VII fu tuttavia dell'avviso d'indire il Giubileo del 1525, e lo fece con la Bolla "Inter sollicitudines" che promulgò il 17 dicembre del 1524. Egli intervenne sul dibattuto problema dell'indulgenza giubilare, estendendola a quanti, in un modo o in un altro, si sarebbero messi in viaggio per Roma. E se, per svariate ragioni non sarebbero riusciti ad espletare i richiesti atti di pietà da compiersi nella città di Roma, avrebbero potuto lucrare lo stesso l'indulgenza accostandosi al sacramento della riconciliazione cristiana. Il Papa, per facilitare a tutti l'acquisto della indulgenza giubilare, esentò i pellegrini anche dall'obbligo dell'offerta in moneta. Clemente VII, il 24 dicembre del 1524, munito di un martello di oro aprì solennemente in San Pietro la Porta Santa del nono Giubileo della storia della Chiesa.  Per la verità non vi accorse molta gente. I pellegrini romei non furono molti quell'anno. I luterani dal canto loro, invitati al pellegrinaggio giubilare per una riconciliazione generale, non accolsero l'iniziativa, che anzi profittarono della diffusione dell'invenzione della stampa per scrivere sull'argomento aspri libretti polemici. Crearono anche la distinzione tra il giubileo di Cristo e quello del Papa: quello di Cristo è donato gratuitamente a tutti gli uomini tramite il legame della loro fede; quello del papa, che richiede un viaggio a Roma, è da considerare solo una lucrosa superstizione ideata a vantaggio della curia romana. L'ambiente generale, come dicevamo, non si aspettava l'indizione del Giubileo data l'allora aspra polemica sulle indulgenze. Queste, si diceva, più che promuovere la penitenza dei peccatori, favoriva il commercio delle cose sacre con i connessi scandali. I protestanti le dileggiavano pubblicamente, qualificandole spiritualmente inutili e utili solo per la curia romana come strumento di guadagno. L'Anno Santo del 1525 rimase quasi disatteso sia all'inizio che nei suoi frutti posteriori. I tempi del papato di Clemente VII erano, d'altra parte, molto tristi, in particolare per la città di Roma che, solo due anni dopo il Giubileo, cadde in mano ai Lanzichenecchi. Oltre 13.000 soldati, guidati dall'avventuriero Giorgio Frundsberg, il 6 maggio del 1527 assalirono Roma avendo sulle labbra quale grido di battaglia il nome di Lutero. Nel furioso corpo a corpo, che si ebbe per le strade del Borgo, in particolare tra San Pietro e Santo Spirito, la guardia svizzera, schierata preso l'obelisco, venne tagliata a pezzi. L'intera popolazione del Borgo, non esclusi i malati dell'ospedale Santo Spirito e altri cittadini, si rifugiò nella basilica di San Pietro, ma tutti vi vennero trucidati. Il Papa e altre tremila persone, benché rinchiusi in Castel S.Angelo, vennero fatti prigionieri e dovettero cedere alla richiesta di sborsare trecentomila ducati d'oro per essere risparmiati. Clemente VII dovette ancora subire, durante il suo pontificato, l'urto del re Enrico VIII d'Inghilterra il quale, per questioni matrimoniali, promosse lo scisma della Chiesa d'Inghilterra. Egli venne scomunicato nel consistoro del 23 marzo del 1534. Il Papa aveva negato a Enrico VIII d'Inghilterra il divorzio da Caterina d'Aragoma per poter sposare Anna Bolena. Clemente VII, di fronte ad un insieme di gravi questioni ecclesiali e civili che non riusciva a fronteggiare, iniziò allora a pensare alla convocazione di un concilio ecumenico. Una promessa in tal senso era stata avanzata ai protestanti dall'imperatore Carlo V nella pace di Norimberga del 23 luglio 1532. Egli tuttavia morì il 25 settembre del 1534. Il dissidio tra protestanti e cattolici divenne, dopo il primo venmtennio del sec.XVI, sempre più forte, scavando un solco di tale profondità che ancora sussiste. La storiografia ama parlare del tempo della Riforma, sia cattolica che protestante. In realtà si trattava di come capire la riforma della Chiesa. Tale problematica condusse la cristianità occidentale all'assise del Concilio di Trento (1545-1563).  Il successore di Clemente VII fu Alessandro Farnese che prese il nome di Paolo III. Dpo 103 anni un romano risiedeva di nuovo sulla cattedra di Pietro, che tenne per quindici anni (1534-1549). Egli promosse la convocazione di un Concilio per affrontare le problematiche della Riforma e riuscì a vederne anche l'apertura, il Concilio di Trento si aprì infatti nel 1545, mentre Paolo III morì nel 1549. Paolo III diede, politicamente, molte energie per pacificare i due grandi regnanti del tempo (Carlo V e Francesco I di Francia) e per contrastare l'avanzata turca in Europa. Delle sue energie spese molte di più per la riforma della Chiesa, che gli stava molto a cuore. Egli, nonostante tutte le difficoltà, riuscì a convocare un Concilio ecumenico, il concilio di Trento. Nel concistoro del 2 giugno 1536 Paolo III ne pubblicò la Bolla d'indizione. Per la località si pensò prima a Mantova, poi a Vicenza, infine ci si accordò sulla città di Trento che stava quasi ai confini dell'Italie a e del mondo di lingua tedesca, e ivi venne aperto il 13 dicembre del 1545. L'anno dopo morì anche Lutero nella nativa Eisleben, il 18 febbraio del 1546.  Paolo III fu anche un colto umanista. Nominò lui Michelangelo architetto a vita della Basilica Vaticana, commissionandogli tra l'altro il lavoro per il grandioso affresco del giudizio universale della Cappella Sistina. Si deve anche a lui l'assetto del Campidoglio, con ai lati le statue di Castore e Polluce e, in cima, col porre al centro l'antica statua dell'imperatore filosofo Marco Aurelio. A Paolo III Nicolò Copernico dedicò la sua famosa opera innovativa delle scienze astronmomiche"Sulle rivoluzioni dei corpi celesti.  Quando il 10 novembre del 1549 il papa Paolo III morì, aveva indetto il Giubileo per il 1550 e già fervevano i solenni preparativi. Egli tuttavia, benché non l'abbia potuto godere, negli anni del suo pontificato aveva gettato quei semi di Riforma della Chiesa che maturarono nell'apertura del Concilio di Trento e consentirono al suo successore, Giulio III, d'indire l'Anno Santo della metà del Cinquecento anche se in ritardo e di veder fiorire le nuove congregazioni relgiose degli Oratoriani, Teatini, Somaschi, Scolopi, Camilliani, Orsoline. Il card. Giovanni Maria del Monte venne eletto papa l'8 febbraio del 1550, dopo il travaglio di un lungo conclave (durò dal 29 novembre 1549 all'8 febbraio del 1550). Intronizzato il 22 febbraio, festività della cattedra di San Pietro, due giorni dopo, nel cuore del carnevale romano, aprì la Porta Santa inaugurando il Giubileo di metà secolo del 1500 con la Bolla "Si pastores ovium" (24\2\1550), protraendolo già dall'inizio sino all'Epifania dell'anno seguente. Durante l'Anno Santo del 1550 non accorsero a Roma molti pellegrini, vi giunsero tuttavia diverse legazioni di Stati italiani ed Europei. Quell'Anno Santo si avvalse della presenza romana di Ignazio di Loyola (aveva fondato la Compagnia di Gesù nel 1540) e di Filippo Neri, il fondatore dell'Oratorio. Quest'ultimo aprì a ponte Sisto l'ospizio della SS.Trinità per l'accoglienza dei pellegrini, amministrato dall'omonima Confraternita da lui fondata. Essa ebbe inizio il 16 agosto del 1548 presso San Girolamo della carità con l'aiuto di alcuni giovani guidati dal prete Persiano Rosa, mentre la sede era presso San Salvatore in Campo. La Confraternita si trasferì poi nella chiesa di San Benedetto in Arenula. Essa venne riedificata e dedicata alla SS.Trinità, con la finalità di curare i pellegrini e gli ammalati. Quanto al numero degli assistiti, ricaviamo dal Giubileo del 1575 che la Confraternita si faceva carico di ben 600 pellegrini al giorno (si possiede un "Diario" dell'attività della Confraternita svolta nel 1600, che è conservato nella Biblioteca Vaticana). Un biografo di Filippo Neri ha lasciato scritto in merito alla sua operosità per i pellegrini che si recavano a Roma per il Giubileo: "Fu cosa di molto esempio il veder l'affetto grande col quale Filippo e i compagni servivano a tanta moltitudine, provvedendoli del mangiare, accomodando i letti, lavando loro i piedi, consololandoli con parole e finalmente facendo a tutti compitissima carità. Per la qual cosa questa Confraternita prese in quell'anno così gran nome che si sparse il suo odore per tutta la cristianità; e molti fecero istanza grande d'essere ammessi in detta compagnia, la quale prese poi una casa a posta che dovesse servire per ospizio ai pellegrini" (in Paolo Brezzi, "Storia degli anni santi", ed. Mursia, Milano 1997, pp.89-90). Per proteggere i pellegrini dagli esosi affitti innescati a Roma dai locandieri per l'aumentato afflusso di gente, il card. camerlengo Ascanio Sforza già il 29 aprile del 1549 aveva proclamato il blocco dei fitti per l'intero anno 1550 incluso l'anno precedente. L'azione ecclesiale di Giulio III mirò a risanare lo scisma d'Inghilterra e a continuare il concilio di Trento. La pace della Chiesa inglese con quella di Roma fu vista fattibile quando, alla morte di Edoardo VI (6 luglio 1553), salì sul trono d'Inghilterra Maria la Cattolica. Nel gennaio del 1555 fu anche decretata ufficialmente tale ri-unione. Ma in quello stesso anno il papa morì e, tre anni dopo, morì anche Maria la Cattolica lasciando il trono inglese alla regina Elisabetta. Questa riportò la Chiesa inglese alla divisione da Roma. Miglior fortuna toccò alla riconvocazione del concilio di Trento da lui promossa prima che finisse l'Anno Santo del 1550, con la Bolla del 14 novembre 1550. Ne fissò la riapertura ancora a Trento per il 1 maggio del 1551. Sino al 28 aprile dell'anno seguente si tennero le sessioni XI-XVI che trattarono del sacramento dell'Eucarestia, della confessione, del sacramento degli infermi e della disciplina episcopale. Ripresero i colloqui con i protestanti venuti al Concilio, ma con non molto successo. I lavori conciliari furono così sospesi il 28 aprile del 1552, anche a motivo del rinascere delle lotte tra il re di Francia e Carlo V. Tale situazione rendeva infatti molto precaria la presenza a Trento dei Padri conciliari. Si sarebbe riaperto nel 1562 sotto il papa Pio IV, per concludersi il 4 dicembre del 1563. La pace religiosa di Augusta del 25 settembre del 1555 tra le varie componenti cattoliche e protestanti, se mise in qualche modo fine alle lotte religiose in Europa, rese tuttavia stabile la divisione della Chiesa occidentale tra protestanti e cattolici.

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