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Il Giubileo nelle carceri

Quella dignità che non conosce sbarre

Massimo Aquili

“Che si faccia voce della loro voce”. Questo hanno chiesto al Papa i detenuti delle carceri di 30 Stati, come risulta da un’inchiesta del Comitato organizzatore del Giubileo nelle carceri, in preparazione alla giornata del 9 luglio. Le istanze di cui i detenuti invocano il Papa di farsi portavoce presso i governi di tutto il mondo sono ben 96, ma al primo posto vi è la richiesta di un gesto di clemenza. E il Papa ha accolto questo invito lanciando l’appello “a vantaggio di tutti detenuti per una riduzione, pur modesta, della pena”, continuando una tradizione dei suoi predecessori nei giubilei, ma per la prima volta con la forma solenne del “Messaggio” reso noto una decina di giorni prima della celebrazione. Ma i detenuti chiedono anche pene alternative al carcere e abolizione della pena di morte, di risolvere il sovraffolamento nelle carceri, di garantire la loro dignità di persone in strutture adeguate. Alcuni chiedono soltanto una preghiera per sé e per la loro famiglia, altri di poter trovare un lavoro, di poter studiare, di essere reinseriti nella società, che i loro bambini non crescano in prigione. Come si vede molte delle richieste “aperte sul futuro” contenute nel Messaggio del Santo Padre trovano riscontro nell’inchiesta del Comitato, cominciata nel novembre del 1998 con l’invio di un questionario ai cappellani di 118 Conferenze episcopali  per conoscere accanto alle domande di speranza e dignità dei detenuti anche le norme giuridiche e le situazioni di fatto nel mondo della giustizia. Le risposte sono giunte complessivamente da 30 nazioni e riguardano una popolazione carceraria di 680mila persone. Alcune sono state redatte dai cappellani capo (come in Brasile e Spagna), altre risposte sono pervenute dalle Diocesi presso le quali sono situate delle carceri. Dagli Usa, sono arrivate le sintesi formulate dai Cappellani capo di molti Stati della Federazione come New York, California, Missouri, Texas ecc. I dati pervenuti sono stati raccolti e catalogati, come a formare un quadro della situazione carceraria nel mondo. Così alla voce “diritti umani” nel 48 per cento dei casi si segnalano leggi contrarie alla dignità ed ai diritti dell'uomo, talvolta per ignoranza. In primo piano: la legge che consente la pena di morte; l'inadeguatezza della tutela legale dei poveri; quella che costringe alla detenzione i malati terminali ed i paraplegici e tetraplegici; quella che condanna alla reclusione per il 75% della pena senza alcun tipo di trattamento per i cosiddetti "crimini laidi" (ladrocinio, traffico di droga, sequestro, stupro); reclusione dei tossicodipendenti anziché recupero fisico e morale in luoghi di cura. Per quanto riguarda invece le “discriminazioni di diversi tipi nella qualità di espiazione della pena”, la maggior parte sono di tipo razziale e economiche; ma anche politiche e religiose. Altro tema: la violenza eccessiva nelle carceri. Nel 29 per cento dei casi su cento si tratta di situazioni segnalate anche dai media e di abusi prontamente puniti; i Tribunali di giustizia hanno agito decisamente per l'applicazione della legge. In 28 carceri su cento si riscontra un eccessivo uso della violenza all'interno delle strutture senza che lo Stato si assicuri che i diritti dei prigionieri siano rispettati. Ad esempio si segnalano casi di segregazione di malati mentali nonché la strumentalizzazione dei detenuti da parte degli ufficiali, che incolpano di molestie (o diffondono informazioni circa le cause della detenzione) quei detenuti di cui vogliono che gli altri “abbiano cura”. Al fondo di tutto, come risulta da un altro aspetto affrontato nell’inchiesta, quello delle ingiustizie lamentate dai detenuti, vi è il carcere inteso soltanto come castigo, cioè come spesso mettono in evidenza i cappelani il fallimento di ogni progetto di recupero. A questa logica perversa dice no anche il messaggio del Papa. Il Giubileo “significa adoperarsi per creare occasioni sempre nuove di riscatto per ogni situazione personale e sociale”. Soprattutto in carcere, dove “astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”. Il Giubileo è “l’occasione da non perdere”, per “non lasciare le cose come stanno”.

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