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Il dovere della memoria e l’esigenza di conversione

Card. Roger Etchegaray

  “Memoria e Riconciliazione”: queste due parole  si interpellano in seno alla Chiesa che scopre una sorta di dimensione storica della coscienza. Se assumiamo sempre di più una solidarietà nello spazio che ci conduce spesso fino ad una responsabilità collettiva, stentiamo a riconoscere una solidarietà nel tempo che ci lega alle generazioni di ieri tanto più che il passato non è mai completamente morto e sopravvive con postumi persistenti che possono renderci eredi di attitudini o di mentalità errate. Il corpo della Chiesa è pieno di cicatrici e di protesi, le sue orecchie sono piene del canto del gallo evocatore di rinnegamento, il suo taccuino è pieno di appuntamenti mancati per negligenza o lassitudine. E Giovanni Paolo II ci dice con un tono raramente così pressante :“Come successore di Pietro, chiedo che, in questo anno di misericordia, la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi davanti a Dio e implori il perdono dei peccati passati e presenti dei suoi figli”(I.M.n.11). Ma un tale passo penitenziale, per quanto pubblico, non può assumere l’aspetto di una autoflagellazione spettacolare, ancora meno essere osservato come da un balcone con una certa malsana curiosità. Solo quelli che amano profondamente la Chiesa sono capaci di portare su di essa uno sguardo lucido e forte. Quelli che sono fuori rischiano di non afferrare il senso  religioso di un gesto di pentimento: sant’Agostino diceva che meno gli uomini sono attenti ai propri peccati, più sono curiosi dei peccati altrui. Ecco perchè la richiesta di perdono affonderà le proprie radici  nel cuore di una celebrazione liturgica: la liturgia è il momento misterioso  in cui la Chiesa vive più intensamente la duplice gioia nata dalla santità del suo Signore e dal perdono dei peccati dei suoi membri, in particolare nel corso della Quaresima. La vera penitenza non ha niente di morboso, di chiassoso, è tutta serenità e  intimità, assapora la fedeltà assoluta e inalterabile di Cristo alla sua Chiesa. Tale convinzione porta ad una riflessione per dare il pieno significato e la vera misura alla celebrazione del 12 marzo. Se la Chiesa si volge umilmente verso il suo passato è per meglio assumere il proprio presente ed entrare risolutamente nel nuovo millennio. Il “dovere di memoria” incalza  il dovere di conversione e di riconciliazione. È tutt’altra cosa che abbeverarsi di processi iconoclasti fatti alla storia. È un richiamo coraggioso ed esigente a costruire il futuro a partire dal tempo presente: nè fuga all’indietro nè fuga in avanti. I “mea culpa” ripiegati sul petto servirebbero a poco se non si prolungassero in mani aperte e riparatrici verso i nostri fratelli, se non ci rendessero più avvertiti sulla Chiesa di oggi, mediante un affinamento della coscienza per non ricadere nelle stesse colpe, negli stessi  errori, come Giovanni Paolo II ha detto espressamente nella T.M.A. (n.33). La nostra solidarietà con la Chiesa di ieri ci fa così scoprire meglio la nostra responsabilità per la Chiesa di domani. Accompagnare Giovanni Paolo II nel suo cammino di pentimento giubilare è anche seguirlo nei suoi sforzi di rinnovamento conciliare. Non possiamo lasciarlo solo nè su una riva nè sull’altra. È uno stesso fiume che ci trascina tutti insieme, tutta la Chiesa, tutta l’umanità sotto il soffio dello Spirito sempre creatore.

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