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Esigente impegno per il futuro

Emilio Rossi

Parresia: è una parola greca che vuol dire schiettezza. E’ presente in testi neotestamentari e qualche mese fa trovò spazio sui giornali italiani, per essere stata pronunciata, in diverso contesto, da un alto esponente della vita pubblica. Proprio questa parola viene in mente a riguardo della giornata giubilare del perdono, cosi come l’ha concepita, preparata e celebrata Giovanni Paolo II. Senza naturalmente ignorare altri profili, questo di una cristiana parresia è infatti uno degli aspetti della richiesta di perdono. Quante volte nei tempi moderni sui cristiani, sui cattolici ha gravato lo stereotipo negativo della pratica di un doppio peso, dell’incoerenza o della reticenza del giustificazionismo di comodo se non della doppiezza? La richiesta di perdono, per le colpe dei figli della Chiesa, scalza con franchezza questo stereotipo. Essa è rivolta appropriatamente a Dio “misericordioso e compassionevole, lento all’ira, grande nell’amore e nella fedeltà”, acquistando perciò valore di purificazione e di conversione. E’ pronunciata davanti agli uomini - fratelli tutti - compresi quelli che da comportamenti oltranzistici abbiano tratto, oltre che offesa diretta, motivo di turbamento, persino di scandalo. La richiesta di perdono, affermazione di onestà intellettuale e libertà di spirito di stile ispirato al Vangelo senza infingimenti o astuzie, ha dunque anche portata di riconciliazione. E non pretende contropartite; si offre gratuitamente, come dev’essere, nello spirito della carità evangelica. Così non avendo paura di riconoscere le proprie colpe, senz’altra condizione che la fedeltà al vero, i cristiani possono rendere onore al loro Dio e farsi prender sul serio. Non a caso Paolo VI avvertiva che gli uomini di oggi sono più disponibili alla sequela dei testimoni che dei maestri. Le immagini della prima domenica della Quaresima del 2000 - il Papa del coraggio e della straordinarietà abbracciato al Crocifisso, le sette lampade palpitanti a bruciare le colpe del passato e le perplessità del presente - resteranno dunque come emblema di un momento memorabile del grande Giubileo e del pontificato. La valenza di questo momento non si esaurisce nella riflessione sul passato, incide sul presente, nella misura in cui responsabilità dei cristiani concorrono al relativismo e all’ateismo. Impegna per il futuro, come proclamano le invocazioni conclusive di Giovanni Paolo II: “Mai più contraddizioni alla carità nel servizio alla verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi’’. Questa è riconciliazione con Dio e con l’umanità da parte di una Chiesa, santa nel Signore, che ha per bisogno incessante di lavarsi dagli errori e dai peccati dei suoi figli.

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