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Appunti di viaggio

Vittorio Citterich

Mea culpa

Siamo stati abituati, da quando eravamo bambini, a batterci il petto, mea culpa si diceva in latino, prima di accostarci al ricevimento della grazia di Gesù Cristo. Semplici, quasi rudimentali, e pur tanti efficaci, i catechisti di quel tempo antico, nell’insegnarci i precetti aggiungevano una raccomandazione sorridente. Si batte il proprio petto bambini, non quello degli altri. Mea culpa, prima di tua colpa. Non si deve badare alla pagliuzza nell’occhio del vicino prima che alla trave che sta nell’occhio proprio. Remote narrazioni dei modi nei quali la Madre Chiesa ci ha educato a capire il senso della vita e della storia, il Vangelo dell’amore e il male che s’incontra lungo il percorso. Ci ha fatto capire che il male, come la morte, non è invincibile. C’è un rapporto fra pentimento e salvezza. Memoria purificata e riconciliazione possibile. Si deve risalire allo sguardo limpido dell’infanzia  per capire bene anche lo studio della commissione teologica internazionale su “La Chiesa e le colpe del passato”? Perché no.

La terza guerra

Quando frequentavo l’Unione Sovietica per ragioni di lavoro, quasi asfissiato dalle squallide reiterazioni della propaganda comunista, come tutti del resto, a cominciare dalla povera gente russa, avvertito che quella violenta impalcatura marxista-leninista nella quale tutto ciò che non era collettivizzato dal partito unico era un’inutile “sovrastruttura” da eliminare doveva inevitabilmente cadere. Ma non riuscivo a capire come e quando. Credetti di cogliere un segnale, nel 1968, quando ascoltai un cantautore, vietato dalle autorità e prediletto dalla giovane generazione “sovietica”, Bulat Okudjava. Cantava: la prima guerra è stata colpa loro, la seconda guerra è stata colpa di non si sa chi, la terza guerra sarà colpa mia, soltanto colpa mia. Majà vinà. Mea culpa in russo. Le grande svolte cominciano spesso così. Quando, fra gli stereotipi, qualcuno introduce, magari cantando lievemente, un piccolo e nuovo pensiero antico.

Tempi forti

Due tempi forti del Grande Giubileo del 2000. Prima il rito penitenziale della richiesta e concessione del perdono in San Pietro, che i giornali hanno descritto come i sette mea culpa del papa, per i peccati dei cattolici nel passato, e i cinque mai più per il futuro. Mai più contraddizioni alla carità, gesti contro la comunione della Chiesa, offese verso qualsiasi popolo, ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi. E, subito dopo, il viaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa, come un compendio centrale del suo servizio di Pietro peregrinante che conferma e sospinge verso l’unità. A Betlemme lo accoglie l’autorità palestinese, a Gerusalemme l’autorità israeliana. Tempi forti anche per la famiglia di Abramo.

Il Cardinale Gong

In un tale contesto il Cardinale Ignatius Gong Pin Mei, Arcivescovo di Shanghai, è morto in esilio all’età di 98 anni. Ricordiamo la commozione quando, a piccoli passi, andò a ricevere la porpora in San Pietro nel 1991. Trent’anni di carcere, dal 1955, poi domicilio coatto. Anche grazie alla sua sofferenza, alla sua fedeltà, abbiamo attraversato la soglia della speranza nel Duemila.
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