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Il Giubileo viaggio nella storia - 1400 il pellegrinaggio dei "Bianchi"

a cura di Mario Sensi

Bonifacio IX, pur non avendo emanato alla vigilia dell’anno 1400 la tradizionale bolla di indizione, celebrò ugualmente il Giubileo. Nel 1398 il comune di Firenze gli aveva scritto una lettera esortandolo a indire il Giubileo se non altro “per contentamento de’ Romani”, ma il pontefice fino all’ultimo esitò, forse a motivo di quanto si era verificato lungo le strade dove era passato il pellegrinaggio di penitenti biancovestiti  -in abito cioè di penitenza-  detti Bianchi i quali, poco prima che iniziasse il Giubileo, attraversarono la penisola, dirigendosi dal nord alla volta di Roma. Fu questo il fenomeno religioso più caratteristico di fine secolo XIV. Vestiti di sacchi bianchi, a dorso nudo, incedevano pro­cessionalmente, recitando le litanie e sferzando i propri corpi con appositi flagelli. Si muovevano di città in città, ovunque or­ganizzando processioni penitenziali della durata di nove  giorni. Le ragioni di questo movimento vengono così riassunte dal luc­chese Giovanni Sercambi, nella prima parte delle sue Croniche, terminata, per dichiarazione dell'autore,  il 6 aprile 1400: "essendo tucto il mondo mal disposto e di molti peccati ripieno e acto a disfare l'uno paeze l'altro, e l'uno uomo l'altro, e non ponendosi freno a neuna cosa (...) à voluto la divina bontà dimostrare certo sengno per lo quale il mondo si coregha e reducasi a vero cognoscimento di Dio, acciò che ungnuno s'a­stenga de' peccati et virtudiosamente vivano. E poiché le signo­rie né i prelati né i savi non si muoveno, vuole la divina miseri­cordia che in nelli huomini grossi et materiali si dimostri la sua potentia" (Sercambi, Croniche, II, 290-1). Il moto -venuto in Italia secondo alcune voci dalla Spagna, o dall'Inghiterra, o dalla Francia- fu una risposta di fede alla crisi politica e religiosa allora in atto. In una società dilaniata dalle contese dei grandi e dalle violenze delle fazioni, aposto­lato dei Bianchi fu quello di conseguire pacificazioni. Per otte­nerle occorreva un'autentica conversione del cuore. All'origine ci furono apparizioni assai simili, ma avvenute in aree di­verse. Sercambi ne ricorda due, uno in Inghilterra e l'altro a Marsiglia. Nel 1398 in Inghilterra, Gesù, sotto le sembianze di un pellegrino, apparve a un agricoltore che stava lavorando la terra, chiedendogli del pane: e come quegli ebbe risposto di aver fi­nito quello che aveva portato con sé, il pellegrino insistette per­ché tornasse sul luogo dove aveva  appena consumato il pasto. Quivi giunto rinvenne tre pani bianchi; Gesù Cristo, sotto le sembianze del pellegrino, gli ordinò allora -deciso a "disfare il mondo"- di andarli a gettare in una vicina fonte, che però il con­tadino, pur essendo del posto, non conosceva. Quel gesto, se compiuto secondo il co­mando, avrebbe avuto come conseguenza la distruzione dell'u­manità. Giunto alla fonte, apparve all'ignaro agricoltore, una donna lacrimosa, biancovestita : la Vergine Maria che,  fattasi avvocata dei peccatori,  gli permise di gettare in acqua solo uno dei tre pani: "se io avessi lassato mectere tucto il pane in nella fonte [...] il mondo tucto si sare' disfacto, come fu aitra volta per li peccati delli homini. E per questa terza parte del pane ti dico che la terza parte del mondo perirà di diverse morti". Gli ordinò pertanto di andare in città,  invitando tutti a cambiar vita "facendo penitenza con digiuni et orationi et vestiti di bianco. Si era allora in tempo di feroce peste -ritenuta castigo divino- e avrebbe ottenuto pietà solo chi si fosse avviato, biancovestito, in processione, per nove giorni, col crocefisso innanzi, battendosi  e gridando misericordia e pace, parole che si dovevano ripetere tre volte. Dovevano inoltre incedere scalzi, visitando ogni giorno almeno tre chiese, in una delle quali dovevavno ascol­tare una messa solenne con predica; per nove giorni non mangiassero carne e un sabato digiunassero a pane e acqua. Protagonista dell'altra  apparizione,  un bifolco che, men­tre stava lavorando la terra con due buoi, sentì quello che aveva  appena percosso acquistare voce umana. Quindi, dopo essere stato incornato e scaraventato  in un luogo solitario, il contadino ebbe una visione simile a quella di s. Eustachio: fra le corna di questo bue apparve un angelo, con un libro in mano, dicendogli, "va, predica che ciascuno faccia penitenza, et ve­stasi di bianco, però che Dio è irato contra l'umana  genera­tione". Mostrandogli poi il libro -dove era scritto "quello che Dio vorrà fare del papa e dell'altro populo"-  gli disse che "non fu persona che questo libro possa aprire fine a tanto che non sarà portato a Roma in su l'altare di Sampiero e quine aparirà uno angelo, il quale aperrà questo libro ed allora si saprà quello che Dio comanderà  e questo si’ segno di questo libro che serai creduto. Et dirai che ogni persona faccia penitenza e digiuni con orationi, pregando Dio che si humili verso l'umana generatione" (Sercambi, Croniche, II, 293-4). Principiò così "la reverenza de' Bianchi", dove "tucti vanno con sua schiera, / portan Christo per bandiera / ciascun fa miracolo (...) tucti gridano, aiuto, Dio, / pacie, pacie Signor pio (...) fanno paci subite. / Bacton petti e le lor reni, scalzi, nudi e fanno  freni / al loro corpo misero" (Ivi, 301-2). E' questa una delle laudi che i biancovestiti  cantavano du­rante le processioni penitenziali, da loro organizzate di città in città, dove si percorrevano, in forma circolare, le terre vicine al grido litanico di "Misericordia; Pace". Questo pellegrinaggio penitenziale, al quale partecipavano  uomini, donne e bambini con bianchi cappucci e una croce rossa sul capo, durava nove giorni, durante i quali, ciascuna categoria muoveva da santuari diversi per convergere processionalmente in un santuario cen­trale, dove ci si accostava ai sacramenti  e si ascoltava la messa con la predica e la processione. Modello di questa paraliturgia penitenziale -durante la quale i pellegrini invocavano miseri­cordia in forma litanica- fu probabilmente la Litania septiformis indetta da papa Gregorio Magno nel 590, appena eletto papa, per far cessare la peste che continuava a devastare Roma, e al termine della quale cessò la moria. Mentre ad animarlo fu un desiderio escatologico, sorto con l’avvicinarsi del Giubileo: il che spiega gli abiti bianchi (colore che rimanda alla penitenza,  alla veste del battesimo,  al bianco vestito ricordato nell’apoca­lisse, all’abito della Madonna) e la stessa forma del pellegri­naggio (un passaggio verso la Gerusalemme celeste). Prosegue Sercambi che partirono dalla Provenza in dician­novemila e, a maggio del 1399, giunsero a Genova dove avven­nero  molti (un fanciullo di Voltri, ritenuto morto, risuscitò; uno zoppo fu sanato; un'immagine della Vergine lagrimò san­gue; il vino offerto ai devoti per ristoro non si esauriva), ma soprattutto, "per devotione de' Bianchi" furono fatte molte paci. Nel frattempo il movimento si diffuse nelle regioni limi­trofe, non senza trovare ostacoli: repubbliche diffidenti, come Venezia, impedirono l’ingresso in città della processione. Venticinquemila ne giunsero a Bologna, provenienti da Modena: “el popolo de Modena venne a Bologna infino al ponte da Reno a dì .II. del mese de setembre, et erano tuti vestiti de pa­nolino biancho, huomeni, donne e puti con confaloni bianchi zaschuno con la insegna del sancto  de la capella sua, e za­schuna capella menava charra coperte de biancho con vitualia che a loro boxognava per manzare, et andavano a dui a dui chantando lore tanie [...] El popolo de Bologna se vestì de bian­cooo come fece gli Modenesi” (Bologna, Cronaca B). Attraversando la riviera di Levante,  altri Bianchi tocca­rono Recco, Chiavari, Rapallo e quindi giunsero in Toscana. Di città in città ci si rendeva visita cantando; dovunque i Bianchi si recavano, le autorità civili non solo autorizzavano tutte le manife­stazioni, ma provvedevano  anche a distribuire il necessario ai pellegrini spesso venuti dal comune rivale. Il Sercambi si fa attento allo svolgimento delle processioni di tutta la Toscana. Nelle figure -quasi certamente di mano dello stesso autore, figure che si trovano nel manoscritto delle Croniche, dove si narra l’evento-  illustra il passaggio di città in città delle turbe ponendo sullo sfondo, un paesaggio di colline, di mura urbane, di palazzi e di torri su cui si alzano gonfaloni; talvolta  i penitenti sono inginocchiati, mentre agitano la di­sciplina, o in atto di preghiera e di implorazione; i loro occhi sono volti verso il Padre o la Vergine in cielo, oppure verso il Salvatore crocefisso; mentre la Vergine è effigiata o con le braccia aperte, come Madre di Misericordia, o mentre pronun­cia parole di monito. Bonifacio IX vide dapprima con sospetto l'avvicinarsi  a Roma di tremila Bianchi, provenienti da Siena e da Orvieto. Riversandosi i biancovestiti a Roma, che era stata appena sottomessa all’autorità del papa, avrebbero chiesto la liberazione dei prigionieri e il richiamo di coloro che erano stati banditi e compromettendo così la delicata situazione politica. Di fatto i Bianchi giunsero alla città eterna; ma già a Sutri, quando il crocefisso sanguinante venne riconosciuto come opera di uno pseudopropheta, il movi­mento  aveva  cominciato a perdere tutta la sua carica emotiva: "A Roma,  a dì 7 di questo mese [di settembre]  infine per tutto il dì di questo mese, sono entrati de' Bianchi più di du­gento milia di diversi luoghi e paesi e specialmente  tutta la Campagna, i fedeli del Conte Dolcie infine dall'Aquila e del Ducato e Patrimonio, infine di Romagna numeri infiniti, se­condo dicono certi di veduta che vengono di lì e mossensi a dì 16" (Cronache di ser Luca Dominici, I, 175-6).  Lo stesso pontefice, sull'onda dell'entusiasmo popolare, a ben 120.000 persone -tante ne calcola il Sercambi- mostrò il Sudario della Veronica e proclamò il perdono "di colpa e di pena" a chi avesse compiuto opere di penitenza per nove giorni. Poco dopo però, improvvisa e terribile, scoppiò la peste  che disperse i pellegrini, ma anche vanificò i benefici effetti che il moto dei Bianchi, con le pacificazioni, era andato producendo sulla società contemporanea. Il successo, ancorché limitato nel tempo, del moto dei Bianchi va ricercato nella viva speranza di riuscire a dilazionare la morte incombente, come anche, nella promessa della salvezza  e nella serenità di un santo trapasso. Loro eredità,  le laudi, tutte  incentrate sulla passione reden­trice, sulla missione di Maria, come avvocata  dei peccatori, sulla vanità dei beni terreni, sul pensiero della morte:  temi che, per più generazioni, nell’intimità degli oratori, come pure lungo le strade delle città,  furono oggetto di meditazione e di sincero trasporto. Nel frat­tempo sin dal 1399, francesi, che obbedivano al papa avignonese, si stavano preparando a questo Giubileo e stavano per affluire a Roma, in massa pellegrini d’oltralpe. Il governo francese, principale sostenitore del papato avignonese, aveva tentato di proibire questi pellegrinaggi a Roma, dando ordine ai funzionari di usare, se fosse necessario, anche la forza. Anche il governo aragonese si mosse in tal senso. Fu tutto inutile: il ri­chiamo del 'Centesimo' e l'anelito della 'perdonanza'  spisero moltitudini di pellegrini ad affrontare i disagi del lungo viaggio per lucrare il Giubileo centesimo e godere dell'indulgenza ple­naria, ancorché non  fosse stata ancora proclamata ufficialmente. Sin dall'inizio dell'anno le strade erano quotidianamente piene di nobili, ecclesiastici, borghesi e contadini che andavano verso Roma. Ben 500  lettere, scritte tra il 1399 e il 1401 e conservate nell’archivio della compagnia del noto mercante di Prato, Francesco Datini, hanno attinenza con questo Giubileo, dandoci informazioni sulle previsioni degli utili e sugli investimenti ritenuti migliori; mentre, sotto la data 28 marzo 1400, ci forniscono una notizia, peraltro sconosciuta, l’apertura di una porta santa: “A questo perdono de l’Anno Santo viene gente infinita. E de’ 10, i 9 sono franceschi: ch’è un piacere a vederli e udirli [...] Se tu sarai sì g[i]udeo o chupido del ghuadangnare, che tu non ci venghi, t’arai il danno. E’ questo perdono una volta a la vita de l’uomo e vuolsi sapere chonosciere  [...] Èssi aperta una porta, qui, a Santo Giovanni Laterano, che è anni 50 più no’ ssi aperesse: che chi passa per essa tre volte, a lat’a lato, dicie à perdonanza di pena e di cholpa. Ed è un miracholo la gente passa per essa. Nel Giubileo che fu or fa 10 anni detta porta non ssi apersse: ché non volle il papa. Sì che, se vuoi andarne in paradiso, vienci. Christo chon techo”. Mentre due giorni dopo, 30 marzo, un corrispondente da Viterbo lo informa che “tutta Francia,  Spagna, Brettagna passa di qui [cioè a Viterbo] al perdono di Roma,  con tanta gente che enpino le strade ”. Il flusso dei pellegrini si intensificò nei due mesi successivi, ma con l’arrivo della stagione calda scoppiò una terribile epidemia che fece fino a 800 morti al giorno: un computo ufficiale, voluto dal vescovo di Viterbo, fissa in 6663 il numero dei morti per peste. E a Siena, attraversata  allora dalla Francigena, la strada percorsa dai pellegrini del nord diretti a Roma, nella cura degli appestati  si distinse il giovane Bernardino da Siena, poi frate minore: in vita una delle quattro colonne dell’osservanza e, dopo morte, uno dei santi terapeuti più invocati contro la peste, tanto che il pellegrinaggio alla sua tomba  (Città dell’Aquila) oscurò, per qualche tempo, quello al vicino santuario di S. Maria di Collemaggio, dove si lucrava la perdonanza, indulgenza plenaria che era stata istituita da s. Celestino V (1294). Merito di Bonifacio IX fu quello di migliorare le infra­strutture per l'accoglienza dei pellegrini, con la manutenzione delle strade esterne e di quelle interne, che versava  in pessime condizione, come del resto tutte le altre strade che collegavano le chiese della città, meta della "cerca", cioè le stazioni del pellegrinaggio per l'acquisto delle indulgenze. Importante l’intervennto sulla via Maggiore la cui manutenzione nel 1381 era stata affidata alla Società dei Raccomandati del San Salvatore ad Sancta Sanctorum de Urbe insieme con tutta la zona lateranense, ma il cui stato ancora nel 1395 era quasi di dissolvimento per cui Bonifacio IX chiese di provvedere  “celeriter”. Fu anche l'occasione per ampliare il circuito indulgenziale esteso -come si evince da una serie di bolle emanate nel 1400- anche alle basiliche di S. Lorenzo fuori le mura, S. Maria in Trastevere, S. Maria Rotonda (Pantheon). Lasciarono tuttavia un segno solo due opere: le fortificazioni del Castello e del Palazzo senatorio. 

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