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Il Giubileo interpella il mondo della giustizia

Mario Cicala

Il Santo Padre ha accordato per il giorno 31 marzo 2000 una speciale udienza ai magistrati italiani ed ai loro familiari. L’udienza si inserirà nel corso del XXV congresso della Associazione Nazionale Magistrati, dedicato allo studio ed all’approfondimento dei problemi della giustizia ed in particolare all’esigenza di assicurare una efficace tutela ai diritti dell’uomo. I magistrati riconoscono nel Sommo Pontefice la più alta Autorità Spirituale impegnata nell’affermazione dei diritti della persona, e dei corrispondenti doveri che gravano su tutti, ed in particolar modo su coloro che ricoprono uffici pubblici; ed hanno dato incarico ad Agnese Borsellino, consorte di Paolo, di consegnare al Santo Padre, nel corso della udienza, il bozzetto originale del manifesto (opera del Maestro Antonio Romano) con cui hanno ricordato ed onorato i ventidue giudici che in questi ultimi anni sono stati assassinati a causa della loro dedizione alla giustizia. L’adesione ai valori morali che il Santo Padre impersona crea infatti un terreno comune tra credenti e non credenti nella ricerca della verità e della giustizia. L’Apostolo Paolo riconosce e quasi codifica questa comunione fra chi crede nel valore trascendente dei testi evangelici e tutti gli uomini di buona volontà, che sono “circoncisi nel cuore” (Ger. 9, 24, Ez. 44,7), circoncisi di una circoncisione non fatta da mano di uomo (Col. 2,11). A fianco di quelli che osservano la legge perché la conoscono attraverso la Rivelazione si collocano coloro che “sono stati legge a se stessi; hanno dimostrato che quanto la legge divina esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza” (Rm. 2,15). Questa comunione nella rettitudine, nella ricerca di una giustizia che ha radici più profonde della Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ha unito tutti gli uomini della legge – è doveroso ricordare gli avvocati Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli – che, in questi anni, hanno affrontato la morte nell’adempimento del loro dovere. Non tocca a noi stabilire quando una morte assuma i caratteri del martirio, ma ci piace pensare che ai nostri caduti si attaglino le parole della Veritas Splendor “nel martirio come affermazione dell’inviolabilità dell’ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l’intangibilità della dignità personale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio”. Chi li ha uccisi forse non era animato da odio verso la verità cattolica, ma era certamente animato da odio verso le virtù umane e cristiane; e San Tommaso d’Aquino ebbe ad affermare che è martire “non solo chi patisce a causa della fede, ma anche chiunque patisce nel compiere una qualunque buona opera per amore di Cristo”. A sua volta il documento sull’impegno sociale e politico elaborato nel III convegno ecclesiale di Palermo (20-24 novembre 1995) sottolinea il sacrificio dei cristiani che in Italia hanno dato “numerose testimonianze di carità politica, alcune giunte fino al martirio”. Taluni dei caduti per la legalità sappiamo che nutrivano una fede religiosa; altri forse non avevano questa fede. Tutti senza distinzione hanno però testimoniato quella legge universale che si impone ad ogni essere dotato di ragione e vivente nella storia. “Per perfezionarsi nel suo ordine specifico – afferma la Veritatis Splendor – la persona deve compiere il bene ed evitare il male, vegliare alla trasmissione e alla conservazione della vita, affinare e sviluppare le ricchezze del mondo sensibile, coltivare la vita sociale, cercare il vero, praticare il bene, contemplare la bellezza”.

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