Jubilee 2000 Search
back
riga

L’invito del Giubileo: c’è un’Itaca dove contemplare la verità

Renato Farina

Il Giubileo smuove la dimensione di attesa. Se siamo uomini non si può sfuggire al destino che ci vuole creature in movimento. Chi ha ascoltato l’invito giubilare e si fa pellegrino obbedisce a questo imperativo.

La fatica dei bambini, persino il loro essere gelati accanto al fiato ansioso dei genitori. Anche a me pareva di alitare come l’asino nella grotta di Betlemme. Chi l’avrebbe detto che questa è la prima cartolina che ci arriva dal Giubileo? Sì, tutti noi siamo stati commossi dal Papa, avvolto nel piviale pitturato coi colori africani della festa e con quelli europei della giovinezza, mentre stava in ginocchio sulla Porta Santa. Le sue parole ma anche il suo silenzio hanno annunciato che la salvezza è qui. Ma in fondo questo splendore liturgico ce l’aspettavamo. Ed è stato magnifico sapere che la proclamazione di Gesù Cristo venuto in terra percorreva i continenti per fermarsi accanto a ogni persona. Soltanto i superficiali hanno colto nelle cerimonie d’inaugurazione dell’Anno Santo il pretesto per una critica alla spettacolarizzazione del divino (adesso si dice: mediatizzazione). Logico che tutto ciò che trasmette la tivù è per ciò stesso spettacolo e mediatizzazione. Anche il Vangelo è una forma di mediatizzazione: il trasmettere le notizie è sempre uno spettacolo di prosa o di teatro: questo è connesso alla condizione umana. Lo scegliere una parola piuttosto che un’altra, scandire una frase, anticipare un aggettivo può essere un gioco vacuo, oppure essere la maniera per palesare che la vita è una cosa seria, il nostro io è prezioso e le sue domande di significato hanno una risposta di carne. Le prime cerimonie del Giubileo hanno dimostrato che la chiamata alla conversione non è per le masse: ma per te. In molti hanno cercato di sgualcire la seta, ma il pellegrino sa. Léon Bloy ha intitolato il suo diario “Il pellegrino dell’Assoluto”. Che cosa conta cosa sta in mezzo a questi due elementi decisivi? Il pellegrino ha un nome preciso, il tuo; ed anche l’Assoluto lo ha, quel piccolo nato a Nazareth da Maria. Il Giubileo è la festa di questo incontro, è uno sposalizio a cui l’intera famiglia umana è invitata. Questo hanno colto specialmente i bambini, e questa è la lezione che arriva a tutti gli uomini di buona volontà. I bambini hanno questa forza straordinaria, coincide con la semplicità, e ne parlava Gesù. Sanno che il mondo intero è per loro. Essi si avvicinavano a Gesù, mentre i discepoli cercavano di allontanarli: i bambini sapevano che Lui è buono, a Lui importa di loro, li chiama per nome.  Qualcuno si è scandalizzato per la nostra stupidaggine di genitori che abbiamo sfidato il gelo per stare là tutti insieme in piazza, quel 2 dicembre del 2000, con il cibo che non arrivava, e le bevande calde che mancavano (ma una madre previdente ha sempre con sé un thermos…). Ecco, il mio figlio piccolo ricorderà quello strano camminare in una Roma addormentata, la ressa da caravanserraglio alla stazione. E poi quel punto bianco verso cui tutti abbiamo teso lo sguardo e che ha detto le parole dell’amicizia. Mi ha detto mio figlio: “Anche a Betlemme era così, vero?”. Ma certo che era così. Noi pensiamo che sia una cosa mitica, un racconto di favole: ma no, era proprio il freddo, la paura, la troppa gente e gli animali più importanti degli uomini e persino di quel piccolo che doveva nascere ed era Dio. E’ Dio. La gente, quel 2 dicembre, aveva una meta, voleva vedere il Salvatore. Allo stesso modo si mossero i pastori. Che scandalo! Le masse corrono a Roma. E’ così facile trattarle come conglomerati di molecole intrecciate per rovinare le passeggiate stendhaliane degli intellettuali. I quali non parlano mai di persone, ma di “marea umana”, come se l’accorrere insieme e per date precise fosse un fenomeno chimico-fisico vagamente isterico e non l’espressione più umana che c’è: il movimento verso il luogo dove trovare la pace della verità. Viaggiare è l’attesa del miracolo. Per questo l’uomo viaggia, anche nella storia: perché è inquieto. Il Giubileo smuove questa dimensione di attesa. Non importa se si è laici o no. Se siamo uomini non si può sfuggire al destino che ci vuole creature in movimento. Chi ha ascoltato l’invito giubilare e si fa pellegrino obbedisce a questo imperativo. Persino quando prendiamo un pullman e ci sediamo in un bar a ordinare un cappuccino, o facciamo la coda per vedere la Cappella Sistina, e siamo immersi nella banalità delle quisquilie, in realtà puntiamo alla totalità: ce ne dimentichiamo per ore, per giorni, ma poi c’è un istante in cui tutto si fa chiaro, se siamo appena un poco sinceri. Tutti i Papi che si susseguono dal 1300 ad oggi questo hanno voluto indicarci. Hanno preso sul serio questo fatto: che siamo trascinati dalla stessa energia che spinse l’Ulisse dantesco a non fermarsi a Itaca. Ecco, il Giubileo dice che invece c’è un’Itaca dove si può contemplare la Verità la quale dà pace, e che poi spingerà a camminare per il mondo, inquieti e però senza disperazione. Il Cielo si è rovesciato in terra, inondandola di grazia. Bisogna camminare. Questo è il Giubileo di Papa Wojtyla e di tutti i Papi. E se c’è qualche disagio, pazienza. Persino i bimbi l’hanno capito il 2 gennaio. E con le manine gelate hanno detto: ti offro questa fatica, Gesù, per chi è povero e infelice. Secondo me, ne è venuto un gran bene all’universo.

top