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Aneddoti del Giubileo

Dario Busolini

Una pace giubilare

Papa Benedetto XIII aveva programmato sin nei minimi particolari il calendario religioso del giubileo del 1725. Che si aprì sotto il confortante segno delle trattative di pace in corso tra l’imperatore Carlo VI e il nuovo re di Spagna Filippo V. Queste giungeranno a buon fine nel mese di aprile, al prezzo del sacrificio dei diritti della Santa Sede sulle città di Parma e Piacenza. Un tempo feudo della Chiesa. E troppo tardi, forse, per incentivare il movimento dei pellegrini, che infatti non fu superiore alla media.

Bando ai divertimenti!

Benedetto XIII ebbe poco tempo per la politica. A lui interessava elevare il livello morale e spirituale di Roma durante l’Anno Santo. E a tale scopo cominciò proprio dal Vaticano: obbligando i prelati della sua corte ad assistere ogni sabato ad una predica ed emanando severi divieti contro certe loro cattive abitudini, consistenti nel frequentare, la sera, alcuni noti salotti mondani dove giravano signore di dubbia reputazione e si giocava d’azzardo. Agli ecclesiastici, poi, impose di non portare più la parrucca, cosa che facevano abitualmente perché nel Settecento tale accessorio era di gran moda e permetteva, all’occorrenza, di nascondere il sacro segno della tonsura, sul capo. Ma i guai arrivarono pure per i laici: dopo il blocco dei fitti, gradito agli inquilini ma non ai proprietari, vennero privati, nell’ordine, dei divertimenti in generale, del carnevale, delle maschere, dei festini e dei giochi in particolare. Con molta attenzione al lotto, contro la cui pratica Benedetto XIII arriverà addirittura ad infliggere una scomunica maggiore. Giacché si indignava particolarmente nel vedere preti e religiosi dare e giocare i numeri. Quindi, toccò agli stessi pellegrini, che dovettero contentarsi di processioni il più semplici possibile, senza il contorno di luminarie e parate di figuranti. Venne vietata persino la tradizionale esposizione di drappi e coperte di seta dai balconi e dalle finestre, giudicata un’esibizione di inutile lusso.

Gli schiavi liberati

In tanta austerità, l’unico spettacolo concesso ai romani fu il giubileo dell’Ordine dei Padri Mercedari, dediti all’assistenza e al riscatto dei cristiani prigionieri dei Turchi. I Mercedari portarono a Roma ben trecentosettanta ex schiavi di varie nazionalità, che avevano riscattato a Tunisi pagando la cospicua somma di 90.122 scudi. Tutti questi arrivarono insieme in città, nel mese di giugno, vennero ospitati nei locali dell’Arciconfraternita della SS. Trinità, e da lì mossero in processione verso San Pietro. Dove furono ricevuti da Benedetto XIII. Il Papa donò a ciascuno di loro una medaglia con l’indulgenza plenaria “in articulo mortis” e un’immaginetta raffigurante l’Agnus Dei. In più, regalò duecento scudi da distribuire ai più poveri e pagò loro di tasca propria le spese del vitto e dell’alloggio nell’Arciconfraternita per tre giorni oltre a quelli previsti per il soggiorno dei pellegrini. Pure la nobiltà romana fu generosa nei confronti di queste persone, molte delle quali, rimaste senza casa, famiglia e lavoro, vennero assunte alle dipendenze delle principali famiglie patrizie.

Una tormentata vicenda coniugale

Tra una cerimonia e l’altra, l’Anno Santo del 1725 si concluse senz’altri eventi di rilievo. Eccettuati i pettegolezzi sulla temporanea separazione coniugale di Maria Clementina Sobieski, nipote di quella Maria Casimira che abbiamo già incontrato nel precedente Giubileo, e Giacomo III Stuart, pretendente cattolico al trono di Inghilterra. I due, comunque, tornarono insieme. Effetto anche questo, forse, del perdono giubilare.
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