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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE 

LITURGIA E BELLEZZA

Esperienze di rinnovamento in alcune celebrazioni pontificie

  

Sommario – 1. Il cambiamento portato dal Concilio. 2. Il fondamento della bellezza della liturgia: 2.1. La liturgia atto di Cristo e della Chiesa; 2.2. La nobile semplicità dell’amore; 2.3. Gesto, parola, spazio, tempo e ordine. 3. Le celebrazioni liturgiche presiedute dal Santo Padre: 3.1. L’adeguamento alle disposizioni conciliari; 3.2. Riti propri della liturgia papale; 3.3. Le celebrazioni dell’anno liturgico; 3.4. Lo spazio celebrativo; 3.5. L’attenzione alle esigenze della comunità; 3.6. Icone ed elementi decorativi; 3.7. Le insegne pontificali; 3.8. La preparazione delle celebrazioni; 3.9. Lo studio e la ricerca scientifica. 4. Conclusione

   

Ricorre il quarantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Un po’ ovunque nella Chiesa cattolica sono stati organizzati incontri, convegni e pubblicazioni per commemorare l’avvenimento. Non si tratta tuttavia di moltiplicare eventi celebrativo-formali, quanto piuttosto di richiamare i principi direttivi della Costituzione e di verificarne la recezione e l’attuazione nelle diverse chiese locali. In questo contesto collochiamo il discorso sulla bellezza nella liturgia. Da un lato dunque è necessario il riferimento al Vaticano II, ma, dall’altro, un discorso sulla bellezza della liturgia non si può fare se non in riferimento alla celebrazione concreta. Per tale motivo prenderò in considerazione le celebrazioni del Sommo Pontefice di cui, da quasi 17 anni ho la responsabilità della direzione.

 

1. Il cambiamento portato dal Concilio

Tutti coloro che come me hanno una certa età hanno potuto vivere il cambiamento portato dal Concilio attraverso la riforma liturgica post conciliare. Sono stati rinnovati i libri liturgici, con una grande ricchezza di testi biblici ed eucologici, mai avuta in precedenza; sono state semplificate le rubriche, i gesti e i movimenti, meglio determinati gli spazi celebrativi, rinnovate le vesti sacre, la suppellettile, la iconografia, la musica e i canti. Da una liturgia romana caratterizzata dall’uniformità (unicità della lingua, fissità delle rubriche), si è passati ad una liturgia più vicina alla sensibilità dell’uomo moderno, aperta all’adattamento e alle culture, espressione di una chiesa comunionale che considera la diversità non come elemento in sé negativo, ma come possibile arricchimento dell’unità.

Il cambiamento ha interessato evidentemente anche la liturgia papale. Il progetto di riforma della liturgia della Cappella papale voluto da Papa Paolo VI risale al febbraio 1965.

Fin da allora si vedeva la necessità di rivedere l’apparato di coloro che stavano accanto al Papa (Cardinali, Vescovi ed altri ecclesiastici che fungevano da ministri secondari) per rendere autentica la verità della ministerialità di ciascuno.

Si faceva, inoltre, appello alla psicologia dell’uomo moderno che non concepisce un miscuglio tra etichetta cortigiana e rito religioso e si proponeva l’abolizione di quella specie di corte che attorniava il Pontefice nelle celebrazioni liturgiche.

Infine, si faceva riferimento all’influsso delle trasmissioni televisive: «La televisione trasmette sempre più frequentemente le celebrazioni papali. Certi usi medievali, portati fuori dell’ambiente romano a gente di altre religioni o non credente, danno luogo a interpretazioni diverse e non sempre positive. Il Papa deve apparire a tutti come successore di Pietro, servo dei servi di Dio e non come un principe del medioevo. La televisione esige un comportamento esemplare da quanti partecipano alla liturgia papale, specialmente dai cerimonieri; i primi piani rivelano spietatamente ogni gesto che si compie».[1]

Fra i principi direttivi della futura riforma della liturgia papale, gli esperti si riferivano alla soppressione di usi di origine “secolare”, all’adattamento alla nuova legislazione liturgica delle celebrazioni papali rimaste legate ai principi e alle realizzazioni del secolo XV. Era necessario inoltre che la liturgia papale fosse di esempio nell’attuare il rinnovamento, secondo lo Spirito e la lettera del Vaticano II. Si chiedeva di sgomberare l’altare papale riportandolo alla sua sobrietà. Si notava, già allora, che mancava un ambone degno per la proclamazione della Parola di Dio. Si chiedeva una semplicità per i paramenti sacri onde evitare che alcuni ecclesiastici apparissero come “comparse teatrali”. Si davano suggerimenti riguardanti il repertorio del canto sacro, l’opportunità di mantenere momenti avvolti nel sacro silenzio, sgombro da altri suoni, fossero quelli delle trombe di argento che soffocavano le parole della consacrazione dette già allora a voce alta… Si parlava della necessità di restituire nelle Messe papali l’uso di dare la Comunione ai fedeli, di introdurre la concelebrazione del Papa con altri Vescovi ecc.

Occorreva mettere in pratica con prudenza ed equilibrio queste indicazioni che pian piano avrebbero fatto delle celebrazioni papali un modello esemplare della bellezza e della ricchezza cattolica della riforma liturgica. Era un invito a riportare le celebrazioni papali allo splendore della bellezza che nel corso dei secoli ne aveva fatto punto di riferimento e di imitazione per tutta la Chiesa d’Occidente.

Per comprendere il cambiamento fin da allora iniziato è sufficiente fare un esempio: l’ingresso del Sommo Pontefice nelle celebrazioni papali. Fino al Concilio, il Papa, per le grandi solennità, entrava nella Basilica di San Pietro al suono delle trombe d’argento, indossando la tiara, i guanti, le scarpe del colore della liturgia, portato a spalle dal gruppo dei sediari, attorniato dai flabelli e da un nugolo variopinto di persone, laici e prelati, ciascuno con il proprio abito ufficiale, in rappresentanza della nobiltà, del patriziato romano, dei vari corpi di guardia e di altri dignitari della corte pontificia. Si trattava di un ingresso solenne che dava del Papa l’idea di un principe di questo mondo circondato dalla propria corte. A partire dal Concilio siamo abituati a vedere il Papa che partecipa alla processione di ingresso nella Basilica Vaticana, vestito come i Vescovi della Chiesa cattolica, senza l’apparato di elementi non strettamente religiosi e senza i segni della signoria temporale, circondato non dalle persone della corte papale ma dai concelebranti e dai ministri che svolgono un ruolo nella celebrazione. Tutto ciò permette ai fedeli presenti – e anche a coloro che seguono la celebrazione attraverso la televisione – di riconoscere più facilmente la sua funzione di pastore della Chiesa, di Successore dell’apostolo Pietro, di servo dei servi di Dio, e anche di poter fissare l’attenzione su altri segni importanti della celebrazione come il Libro dei Vangeli e la Croce processionale.

Che cosa è cambiato nella liturgia dopo il Concilio? È solo questione di diversità di cultura, di gusti, di sensibilità, di colori, di maggiore libertà nello svolgimento dei riti, nell’applicazione delle rubriche? È solo cambiato l’apparato esteriore a seguito del cambiamento del gusto del bello? Oggi riscontriamo varie tendenze nella Chiesa: coloro che vogliono una liturgia più orizzontale, comunitaria e partecipata, e altri che preferiscono una liturgia più verticale e distaccata. Da una parte c’è la liturgia parrocchiale, dall’altra quella espressa dai movimenti, da coloro che hanno tendenze tridentine, che rimpiangono il canto gregoriano.

   

2. Il fondamento della bellezza della liturgia

C’è un confine tra l’emozione estetica e il vero senso spirituale? Che cosa significa avere una bella liturgia, andare incontro al gusto dei consumatori? Ma la liturgia non è un genere di consumo, non è il supermercato della Chiesa! Sappiamo che essa è soprattutto opera di Dio, adorazione, accoglienza, gratuità. Dobbiamo domandarci allora quali sono i criteri fondamentali della bellezza della liturgia al di là dei gusti e delle mode. Sarebbe, infatti, un grande errore applicare semplicemente alla liturgia i gusti profani del bello.

  

2.1. La liturgia atto di Cristo e della Chiesa

Per comprendere la bellezza della liturgia è necessario partire dalla concezione della Chiesa. Essa «è in Cristo come sacramento cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). La Chiesa, dunque, attraverso il suo essere “segno” rende possibile in qualche modo percepire il Cristo sacramento di salvezza. Proprio a partire da questa sacramentalità si articolano i Sacramenti propriamente detti. Il sacramento atto della Chiesa è anche atto di Cristo perché la Chiesa non fa nulla che Cristo non le abbia detto e insegnato di fare: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19). I sacramenti sono le modalità con cui Cristo comunica a noi la sua salvezza: «Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza» (SC 7). Dice San Leone Magno: «Ciò che era visibile in Cristo è passato nei sacramenti della Chiesa».[2] La liturgia è atto di Cristo e della Chiesa. Essa non dipende essenzialmente dalla sfera intellettuale, ma si basa sul principio dell’incarnazione e quindi comporta evidentemente una dimensione estetica. I nostri gesti nella liturgia, allora, sono importanti perché sono i gesti di Gesù. Nella celebrazione liturgica e nei gesti concreti che essa richiede, la Chiesa non fa nient’altro che prolungare e attualizzare i gesti del Signore Gesù. I gesti della liturgia hanno, dunque, una loro bellezza ed estetica in sé, in quanto gesti di Cristo, prima ancora della bellezza accessoria e secondaria che noi possiamo aggiungere.

    

2.2. La nobile semplicità dell’amore

I Vangeli ci presentano la gestualità concreta ed umana di Gesù: egli cammina, benedice, tocca, guarisce, impasta il fango, eleva gli occhi al cielo, spezza il pane, prende il calice. Sono i gesti che la liturgia riprende nella celebrazione dei sacramenti. Ma è soprattutto la vigilia della sua passione che Gesù ha insegnato i gesti che noi dobbiamo compiere a nostra volta. Egli è il maestro della nostra educazione liturgica. La sua arte consiste nel mettere l’essenziale in poche cose. Il significato della liturgia diventa trasparente solo nella semplicità e nella sobrietà. «Egli, venuta l’ora d’essere glorificato da te, Padre santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine; e mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse […]. Allo stesso modo, prese il calice del vino e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, […]».[3] Che cosa rende bello il gesto del Signore? La decorazione della sala? Il modo con cui la tavola è stata preparata? La ricchezza della tovaglia? Certo tutto questo serve a sottolineare la bellezza, come una cornice mette in evidenza la bellezza del quadro. La vera bellezza è il gesto dell’amore salvifico: «li amò sino alla fine…, prese il pane». Per questo il gesto è bello. La Chiesa, nel ripetere il gesto di Cristo, lo trova bello perché riconosce nel gesto l’amore del suo Signore. Il senso estetico, il senso del bello della liturgia non dipende in primo luogo dall’arte, ma dall’amore del mistero pasquale. Per collaborare con la liturgia, l’arte ha bisogno di essere evangelizzata dall’amore. La bellezza di una celebrazione eucaristica non dipende essenzialmente dalla bellezza architettonica, dalle icone, dalle decorazioni, dai canti, dalle vesti sacre, dalla coreografia e dai colori, ma in primo luogo dalla sua capacità di lasciar trasparire il gesto d’amore compiuto da Gesù. Attraverso i gesti, le parole e le preghiere della liturgia noi dobbiamo riprodurre e far trasparire i gesti, la preghiera e la parola del Signore Gesù. È questo il comandamento ricevuto dal Signore: «Fate questo in memoria di me».

Lo stile liturgico, come quello di Gesù, deve essere semplice ed austero. Nelle celebrazioni dobbiamo diventare, secondo i Padri del Concilio, maestri dell’arte della «nobile semplicità» (SC 34).

   

2.3. Gesto, parola, spazio, tempo e ordine

Nella liturgia il gesto è sempre accompagnato dalla parola. Tutto si svolge, come dice il Concilio, per ritus et preces, riti e preghiere illuminati e vivificati dalla parola (SC 48; 21; 59; 7; 24). La parola e il gesto insieme hanno bisogno, tuttavia, di tempo e di spazio. Il Verbo fatto carne ha avuto bisogno di tempo e di spazio per i suoi gesti di salvezza. La liturgia è lo spazio di cui Cristo ha bisogno per esprimersi e il tempo che gli serve per raccontare se stesso.

Ma nella liturgia lo spazio e il tempo sono soggetti alla regola dell’ordine. La liturgia per sua natura esige ordine. Non esiste, infatti, liturgia senza indicazioni rubricali, senza cioè le indicazioni della Chiesa. Ciò è testimoniato fin dai più antichi testi liturgici. La bellezza della liturgia è anche frutto dell’ordine. La quasi totalità dei libri della riforma liturgica riportano come prima parola del titolo il termine ordo. L’ordine richiesto dalla liturgia riguarda varie realtà: il tempo, lo spazio, le relazioni con gli altri; anzi, la liturgia esige ordine anche dentro noi stessi.  

A quarant’anni dalla Sacrosanctum Concilium siamo invitati ad interrogarci: i riti e i gesti che noi compiamo sono veramente i gesti di Cristo? La liturgia che noi celebriamo è spazio dato a Cristo oppure riservato a noi stessi? Il tempo dedicato alla liturgia è tempo in cui Cristo si racconta o tempo in cui raccontiamo noi stessi, o semplicemente tempo vuoto? La liturgia che celebriamo oltre ad un ordine, ad una sequenza rituale è anche fonte di ordine nei nostri rapporti con gli altri? È fonte di ordine dentro noi stessi?

Queste domande servono non solo a comprendere l’essenza della liturgia ma anche a chiarire il senso della partecipazione attiva su cui tanto ha insistito il Concilio.

     

3. Le Celebrazioni liturgiche presiedute dal Santo Padre 

Dopo le indicazioni generali di cui sopra, sembra opportuno qualche riferimento concreto ad alcune celebrazioni. Per me è più facile farlo alla luce dell’esperienza delle celebrazioni presiedute dal Santo Padre. Non intendo proporre qui esempi da imitare, ma ricordare semplicemente alcuni tentativi fatti nelle celebrazioni pontificie per esprimere la bellezza propria della liturgia voluta dal Vaticano II.

   

3.1. L’adeguamento alle disposizioni conciliari

A partire dal Concilio le celebrazioni pontificie si sono sempre più sviluppate, cambiando radicalmente nello stile, nel contenuto e nel numero. Da pochi riti celebrati all’interno del Vaticano, secondo un cerimoniale e uno stile fisso, si è passati ad un numero sempre più grande di celebrazioni di natura diversa l’una dall’altra: celebrazioni con grandi moltitudini di fedeli e con gruppi particolari; nelle grandi Basiliche e nelle parrocchie romane; nelle varie diocesi e regioni d’Italia e all’estero, nei vari Paesi del mondo diversi per origine e cultura.

Prima del Concilio, era preminente il lavoro di esecuzione rubricale delle cerimonie e, quindi il lavoro dei cerimonieri. Dopo il Concilio, è stato giustamente privilegiato l’aspetto pastorale delle celebrazioni e il lavoro di preparazione delle medesime: incontri con esperti, preparazione di testi e sussidi, dei canti, formazione delle persone, attenzione alla disposizione del luogo, … Tutto accuratamente visto nel suo aspetto dottrinale.

   

3.2. Riti propri della liturgia papale

Nello spirito del Concilio sono stati aggiornati i riti specifici della liturgia papale: il Concistoro per i Santi, il Concistoro per la creazione dei nuovi Cardinali, i riti di Beatificazione e di Canonizzazione, il rito di consegna del Pallio, ecc. Qualche miglioramento è ancora auspicabile, ma nell’insieme, tali riti rispondono ora al principio della nobile semplicità. Basta pensare che il rito del Concistoro per la creazione dei nuovi Cardinali prevedeva fino all’inizio degli anni Novanta tre momenti: il Concistoro segreto nell’Aula del Concistoro in cui, a seguito dell’extra omnes del Maestro delle Celebrazioni, il Papa doveva dire ufficialmente il nome dei nuovi Cardinali, già noti un mese prima; successivamente, nella stessa sala si aveva il Concistoro semipubblico; infine nell’Aula Paolo VI, il Concistoro pubblico. Dopo l’aggiornamento le varie sequenze rituali si svolgono in un’unica celebrazione incentrata sulla Parola di Dio.

   

3.3. Le celebrazioni dell’Anno liturgico

Nei testi liturgici ricorre spesso l’espressione per anni circulum, a indicare che l’opera di salvezza del Cristo è celebrata dalla Chiesa nel corso dell’anno. Sia il ciclo annuale che quello diurno sono caratterizzati dal movimento circolare chiamato più propriamente “a spirale”, per indicare il progresso nel passare del tempo. Il tempo della Chiesa, infatti, dà a noi la possibilità della conversione.

Si fa riferimento solo a quattro celebrazioni della liturgia papale che sono state aggiornate. Nella celebrazione del Natale sono stati inseriti due elementi caratteristici: l’annuncio della nascita storica del Salvatore, detto Kalenda (il testo è stato ripreso nel nuovo Martirologio romano); l’omaggio floreale all’immagine di Gesù Bambino, durante l’inno del Gloria, da parte di alcuni bambini provenienti dai vari Continenti.

Il Giovedì Santo, nella Messa del Crisma, gli oli sono accompagnati rispettivamente da alcuni catecumeni, da alcuni malati, da alcuni candidati alla Confermazione e da alcuni diaconi in attesa del Presbiterato. Inoltre, è stata riordinata la sequenza di benedizione per ciascuno dei tre oli: presentazione dell’olio, breve monizione, orazione di benedizione. 

Nella Messa in Cena Domini, durante il mandato, è stato inserito l’invito rivolto a tutti i presenti a compiere un gesto per esprimere la carità fraterna del discepolo del Signore.

Nella celebrazione del giorno di Pasqua è stato ripreso l’antico rito del Resurrexit, denominato oggi Pietro testimone della Risurrezione. All’inizio della celebrazione, i diaconi aprono gli sportelli dell’Icona di Cristo Salvatore, detta Acheropita, e il diacono annuncia la Risurrezione del Signore prima all’assemblea, cantando Surrexit Dominus de sepulcro, qui pro nobis pependit in ligno, e successivamente al Santo Padre, cantando Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni. L’antico rito della testimonianza del Papa di fronte all’Icona del Salvatore, opportunamente valorizzato e adattato secondo lo spirito della riforma liturgica conciliare, fa ormai parte, a partire dall’anno 2000, dei riti propri della liturgia papale.

Nella Veglia di Pentecoste è stata inserita, dopo l’omelia, la Memoria del Sacramento della Confermazione. La memoria ha inizio con la diffusione della luce attinta da sette grandi bracieri e portata a tutti nel ricordo dello Spirito Santo ricevuto nella Confermazione, continua con le invocazioni allo Spirito Santo e si conclude con la professione della fede: il Simbolo degli apostoli. Anche questo rito fa parte ormai della liturgia papale.

Nelle celebrazioni indicate è stato sempre sottolineato il legame tra gesto, icona e parola in relazione al mistero celebrato e avendo presente l’attiva partecipazione dei fedeli.

   

3.4. Lo spazio celebrativo

La liturgia ha bisogno di uno spazio. Anche l’ultima Cena è stata accuratamente preparata: «Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?» (Mc 14,14) Di tale esigenza esistono testimonianze a partire dall’antichità fino ai nostri giorni: le prime sinagoghe diventate chiese (come quella di Dura Europos), le chiese siriane, le basiliche costantiniane, le basiliche romane, le chiese gotiche, le chiese barocche, ecc. La liturgia, infatti, ha bisogno di un luogo dove si raduna la comunità, la domus ecclesiæ; prevede movimenti processionali e soste; ha bisogno di luoghi per la celebrazione all’interno della stessa domus ecclesiæ: il fonte battesimale, l’ambone, l’altare, la sede del celebrante.[4]

Lo spazio celebrativo nella liturgia papale è costituito dalle basiliche romane, e in particolare, dalla Basilica di San Pietro e dalle Cappelle del Palazzo Apostolico. Negli ultimi decenni, molte celebrazioni si sono svolte anche in Piazza San Pietro. Tali luoghi presentano non poche difficoltà per la collocazione degli elementi fissi previsti dalla liturgia. Basta pensare che, nelle basiliche di San Giovanni in Laterano e di San Paolo manca l’ambone e che, a Santa Maria Maggiore e a San Pietro, oltre all’ambone manca anche la cattedra.

Per la Basilica di San Pietro, l’Ufficio delle Celebrazioni ha studiato un progetto di soluzione fin dagli anni Ottanta. Esso prevedeva la collocazione della cattedra del Papa a sinistra guardando l’altare, di fronte alla statua di San Pietro, e l’ambone davanti ai cancelli della Confessione. Il progetto è stato sperimentato in una celebrazione, ma poi è stato abbandonato. È rimasta solo la soluzione prevista per l’ambone, collocato non davanti ma all’interno dei cancelli della Confessione. Il problema, tuttavia, rimane aperto, sia per esigenze di dinamica della celebrazione che per il significato teologico e pastorale che esprime la cattedra fissa del Papa collocata davanti alla statua dell’Apostolo Pietro.

In Piazza San Pietro è stato più facile individuare i tre luoghi della celebrazione: la cattedra fissa posta sulla parte alta, vicino all’ingresso della Basilica, l’altare al centro del sagrato; l’ambone, realizzato in occasione del Giubileo, vicino all’assemblea. Più recentemente tuttavia per vari motivi viene utilizzata una cattedra mobile posta davanti all’altare.

Una buona soluzione è stata realizzata alcuni anni fa nella cappella Redemptoris Mater: la cattedra è stata collocata vicino alla porta d’ingresso, l’ambone al centro dell’assemblea, i banchi dei fedeli sono stati rivolti verso l’ambone e l’altare è stato posto vicino alla parete di fondo. La cappella è anche un esempio di armonia tra la decorazione iconografica e i luoghi della celebrazione.[5]

   

3.5. L’attenzione alle esigenze della comunità

La liturgia è l’espressione più completa del mistero della Chiesa. Per questo è indispensabile, in ogni celebrazione, fissare l’attenzione anzitutto sull’assemblea e promuoverne, attraverso la formazione, la qualità. L’assemblea, infatti, è l’immagine della Chiesa che dona in qualche modo ospitalità a Cristo e agli uomini che egli ama.

Nelle celebrazioni presiedute dal Santo Padre si ha quasi sempre un’assemblea composta da persone diverse per lingua, per cultura e per provenienza. È necessario, dunque, ogni volta tener conto di tale situazione. Ciò determina la scelta delle lingue, dei canti (canto gregoriano) e di altri elementi.

Il cammino delle celebrazioni pontificie è stato segnato da una sana creatività, data la novità di alcuni momenti ecclesiali per i quali è stato necessario pensare e programmare celebrazioni in qualche modo inedite, comporre testi e musiche a partire dalla tradizione, dai principi dell’adattamento e dalla capacità della liturgia romana di accogliere altre tradizioni antiche e moderne. Si ricorda ad esempio: le giornate mondiali della gioventù; le grandi celebrazioni ecumeniche con i Rappresentanti delle Chiese e anche delle Comunità ecclesiali, in modo speciale con i Patriarchi Orientali, come è accaduto per le visite dei Patriarchi di Constantinopoli Dimitrios I (1987) e Bartolomeo I (1995); le giornate di preghiera per la pace ad Assisi; le celebrazioni specifiche del Grande Giubileo del 2000, come la Commemorazione di Abramo, come la Giornata del Perdono, la Commemorazione dei Testimoni della fede.

Alcune celebrazioni sono state caratterizzate dall’adattamento. In occasione dell’apertura e della chiusura dei Sinodi continentali dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania, le celebrazioni dell’Eucaristia vennero arricchite con alcuni elementi propri di quei popoli. Il Papa stesso ha sottolineato l’importanza dell’inserimento in tali celebrazioni degli elementi culturali: «Sono profondamente riconoscente, inoltre, al gruppo di lavoro che ha così ben curato le liturgie eucaristiche per l’apertura e la chiusura del Sinodo. Il gruppo, che contava tra i suoi membri teologi, liturgisti ed esperti in canti e strumenti africani d’espressione liturgica, ha voluto far sì, secondo il mio desiderio, che esse fossero segnate da un chiaro carattere africano».[6]

Nel rito di apertura della Porta Santa nell’Anno 2000 si è avuta la presenza di alcuni fedeli provenienti dai vari continenti e di espressioni culturali di diversi popoli per rendere evidente l’universalità della salvezza e della missione della Chiesa che celebrava, nell’Urbe e nell’Orbe, il Giubileo. Si voleva inoltre ricordare, in modo visivo, anche i suddetti Sinodi continentali celebrati in preparazione del Giubileo del 2000. Si ricordano i seguenti elementi: un brano di musica orientale suonato su uno strumento proprio della cultura giapponese; la presenza di alcuni fedeli provenienti dall’Asia; dall’Australia e dall’Oceania, che ornavano con fiori la porta e spandevano profumi; la presenza di alcuni fedeli, provenienti dall’Africa, che suonavano il corno per esprimere la gioia dell’inizio del Giubileo; alcuni fedeli provenienti dall’America e dall’Europa che accompagnavano il Libro dei Vangeli con fiori e lumi. Ultimamente, nella celebrazione eucaristica del 5 ottobre 2003, in occasione della Beatificazione di tre grandi missionari, sono stati inseriti i seguenti elementi culturali: alcuni fedeli, provenienti dalle varie parti del mondo, hanno accompagnato il Libro dei Vangeli recando fiori e incenso; in segno di venerazione per il Vangelo, è stato usato un tipico ombrello, secondo la cultura di vari Paesi dell’Asia e di alcune regioni dell’Africa; dopo la lettura del Vangelo alcuni gruppi di fedeli, rappresentanti delle diverse regioni del mondo, hanno compiuto un atto di venerazione del Libro dei Vangeli secondo le modalità della propria cultura; al momento della presentazione dei doni, le offerte per il sacrificio sono state portate al Santo Padre secondo le modalità della cultura africana; al canto dell’Amen della dossologia, a conclusione della Preghiera Eucaristica, ha avuto luogo il rito liturgico detto “Arati” espressione della cultura indiana. 

    

3.6. Icone ed elementi decorativi

           La liturgia richiede la collaborazione dei nostri sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto. Essa ricorre al contributo delle icone, della musica, del canto, della luce, dei fiori, dei colori, della coreografia. La liturgia ha bisogno degli elementi del creato: il vino, l’acqua, il pane, il sale, il fuoco, la cenere, ecc. La liturgia sembra perciò voler raccogliere tutta la creazione e far propria la bellezza sparsa nel mondo. La lode che si innalza nella liturgia, quindi, non è un atto riservato solo all’uomo: tutta la creazione viene invitata ad unirsi a noi nel rendere gloria al Padre, per Cristo, nello Spirito Santo. Non solo, ma la liturgia è invito rivolto anche a noi ad avere una relazione armonica con la creazione.

           Mi riferisco ora ad alcune esperienze concrete vissute nelle celebrazioni liturgiche del Santo Padre. Si è già accennato ai luoghi della celebrazione: il fonte battesimale, l’ambone, la cattedra e l’altare nella loro relazione con lo spazio dell’aula della celebrazione. Tali luoghi, a mio giudizio, non sono solo elementi richiesti dalla celebrazione comunitaria della liturgia, ma manifestazione della Chiesa e icone primarie della identità cristiana. La liturgia, infatti, presuppone sia il sacerdozio comune dei fedeli, che la struttura ministeriale voluta da Cristo nella sua Chiesa. Il fonte battesimale, l’ambone, la cattedra e l’altare esprimono il grembo in cui il cristiano è generato dallo Spirito Santo, l’ambiente in cui egli diventa maturo, il luogo in cui vive la comunione con Cristo e con i fratelli. Questi elementi, a mio parere, sono già di per se stessi una icona. Pertanto, si deve vigilare affinché il contributo artistico non finisca per oscurare il segno originario, come è avvenuto, ad esempio, in alcuni altari rinnovati a seguito della riforma liturgica.

Nella liturgia papale è stato realizzato: un nuovo ambone-leggio, opera di Lello Scorzelli, per l’uso nella Basilica di San Pietro; un nuovo ambone, opera dei tecnici del Vaticano, per la Piazza San Pietro. Sono di nuova realizzazione anche la cattedra, l’ambone e l’altare della Cappella Redemptoris Mater, già ricordata.

           In alcune celebrazioni pontificie si fa uso delle icone propriamente dette. Nel periodo del Natale, ad esempio, vengono esposte, alle due logge interne della Basilica Vaticana arazzi raffiguranti, a seconda del mistero che si celebra: l’Annunciazione, la Natività, la Circoncisione, l’Adorazione dei magi. Nelle celebrazioni a carattere ecumenico, soprattutto quando si celebra con i Patriarchi delle Chiese Orientali, si espongono alle colonne anteriori del baldacchino del Bernini, le icone del Salvatore e della Madre di Dio. Ciò si è verificato con frequenza durante le celebrazioni dell’Anno Mariano 1987-1988. In Piazza San Pietro viene spesso esposto, come in occasione delle recenti celebrazioni del XXV di pontificato di Giovanni Paolo II, l’arazzo raffigurante l’invio degli Apostoli. Alcune icone hanno una importanza e un significato tutto particolare. L’antichissima icona di Cristo Salvatore, detta Acheropita, esposta durante l’Eucaristia del mattino di Pasqua per il rito del Resurrexit e la Salus Populi Romani, venerata in Piazza San Pietro in alcune Veglie di Pentecoste e a Santa Maria Maggiore per alcuni riti orientali.

           Altro elemento importante da ricordare è l’uso del Crocifisso: quello di San Marcello al Corso, abbracciato dal Papa nella celebrazione della Giornata del Perdono; della Cappella Sistina, venerato in Piazza San Pietro in alcune delle solenni celebrazioni dell’Anno Santo; il nuovo, scolpito sul modello di quello che si trova nella Cappella Paolina, usato per la prima volta in Piazza San Pietro in occasione del XXV di pontificato.

           Non va dimenticata la bella e varia ornamentazione floreale, più discreta nella Basilica e più ricca in Piazza San Pietro, soprattutto nel giorno di Pasqua, quando sul sagrato è allestito un vero e proprio “giardino della risurrezione”. Si ricordano inoltre:

-        gli evangeliari, che nella loro preziosità sottolineano l’importanza che la liturgia ha sempre dato al Libro dei Vangeli (presso l’Ufficio ne esistono almeno una ventina di esemplari);

-        la vasca battesimale in bronzo, usata abitualmente per i battesimi nella Veglia pasquale;

-        le tre anfore in argento e di grandi dimensioni, che vengono usate nella Messa del Crisma il Giovedì santo mattina (le anfore vengono portate processionalmente su tre carrelli appositamente predisposti e ornati);

-        le vesti sacre per il Papa, i Concelebranti e i ministri sacri, adeguate allo spirito della riforma liturgica. Alcuni anni fa sono state abbassate le mitre dei Cardinali, e l’Ufficio ha fornito a tutti un unico modello.

   

3.7. Le insegne pontificali

           Un accenno a parte merita la proposta di riformare le insegne pontificali. Con la rinuncia della tiara da parte del Papa Paolo VI, il Vescovo di Roma usa nelle celebrazioni lo stesso copricapo degli altri Vescovi. Ciò esprime meglio il rapporto di comunione e di unità che lega il Successore di Pietro con il Collegio episcopale. La forma del Pallio, invece, non è stata modificata a seguito della riforma liturgica; essa è rimasta come si era fissata nei secoli XIV-XV. L’Ufficio intende promuovere la modifica del Pallio, tenendo presente sia la forma più antica che il simbolismo medioevale, al fine di esprimere meglio il significato ecclesiologico e cristologico dell’insegna che era così importante nell’antichità. L’anello del Vescovo di Roma, infine, dovrebbe tornare ad essere l’anulum piscatoris ed essere consegnato, insieme con il Pallio al nuovo Papa in occasione del solenne inizio del Suo servizio pastorale.

 

3.8. La preparazione delle celebrazioni

           Una “bella” celebrazione dipende in gran parte dal modo con cui è stata preparata. Per questo, tutti i libri liturgici della riforma sono introdotti dal testo delle Premesse teologico-liturgiche al rito.

           Per comprendere i riferimenti appena fatti sulle celebrazioni del Santo Padre è pertanto necessario tenere presenti alcuni altri aspetti che fanno parte della preparazione delle celebrazioni medesime. Chi partecipa ad una celebrazione liturgica del Papa si domanda spesso come è possibile che tutto si svolga con grande ordine e armonia. La risposta si ha nella cura con cui la celebrazione viene preparata.

           

1. La preparazione nel suo insieme. Spesso, in occasioni straordinarie, come l’apertura di un Sinodo, ad esempio quello dell’Africa, una celebrazione ecumenica, le varie celebrazioni dell’Anno santo, un viaggio apostolico, tutto deve partire da un progetto preciso, preparato con l’aiuto di persone qualificate. Segue il sopralluogo nei posti dove avverrà la celebrazione, la scelta dello spazio, degli elementi fissi della celebrazione, dei luoghi destinati ai ministri sacri, la scelta delle persone che svolgono i vari uffici e ministeri, ecc. Si deve, inoltre, pensare alla composizione del libretto ad uso dei fedeli o del messale per il Papa e i concelebranti, quando si tratta di un viaggio apostolico; con una convergenza di elementi: parola, preghiere, monizioni, canti, gesti rituali. Senza lasciare, per quanto possibile, nulla alla improvvisazione. Per ogni celebrazione, l’Ufficio prepara anche un opuscolo di servizio chiamato Præparanda, dove vengono segnalate le cose da preparare, i nomi delle persone coinvolte nella celebrazione, il compito affidato ai vari cerimonieri, la piantina con l’indicazione degli elementi, dei luoghi e dei posti previsti. Le prove della celebrazione, eseguite abitualmente il giorno prima, sono necessarie per precisare ogni cosa e risolvere eventuali problemi.

           Spesso, come ad esempio nelle Canonizzazioni e Beatificazioni, l’Ufficio organizza la “Preparazione” immediata alla celebrazione con canti, testi e monizioni appropriate. In questo settore molto si è fatto, ma forse molto rimane ancora da fare. In alcune occasioni e circostanze particolari un’adeguata animazione dell’assemblea tramite una persona incaricata ad hoc può favorire la piena partecipazione dei fedeli. 

           

2. Il libretto della celebrazione. Un sussidio di grande valore è il libretto che viene preparato dall’Ufficio per ogni celebrazione. Il libretto descrive il complesso dei riti e contiene: la Parola di Dio, le preghiere, i canti, le monizioni. Il suo valore è accresciuto dalla varietà delle immagini che portano davanti agli occhi quello che la Parola porge all’orecchio. Sono riportate anche le lingue e le musiche delle diverse culture nei testi originali. In occasione di alcune celebrazioni particolari, il libretto riporta anche una Presentazione, con la spiegazione delle sequenze rituale in cui si articola la celebrazione e, quando è il caso, il testo della biografia dei Beati o dei Santi. Alcuni libretti della Via Crucis sono diventati edizione di grande pregio artistico.

 

3.9. Lo studio e la ricerca scientifica

           È necessario, infine, fare un accenno ad un aspetto importante dell’attività dell’Ufficio in questi ultimi anni: la promozione dello studio e della ricerca scientifica. L’Ufficio ha un prezioso archivio, che raccoglie la memoria delle celebrazioni pontificie dal secolo XIII ai nostri giorni. L’archivio è ricco soprattutto a partire dal secolo XV, quando i grandi Magistri Cæremoniarum Apostolicarum, come Giovanni Burckard e Paride De Grassis, scrissero i loro famosi diari sulle celebrazioni del Papa.

           A partire dal 1987 sono stati organizzati nella Città del Vaticano vari Seminari di studio: Le celebrazioni eucaristiche presiedute dal Santo Padre (28-30 dicembre 1987); Le Beatificazioni e Canonizzazioni, il Concistoro, la consegna del Pallio e le altre celebrazioni proprie della liturgia papale (25-27 settembre 1991); Le celebrazioni del Giubileo, orientamenti e proposte (1-3 febbraio 1996); Testi e musica nelle celebrazioni presiedute dal Santo Padre (5-7 ottobre 1998); La televisione e le celebrazioni presiedute dal Santo Padre (11-13 febbraio 1999).

           Con la collaborazione dei consultori dell’Ufficio, sono state realizzate anche alcune pubblicazioni sulla liturgia papale, il volume: Liturgie dell’Oriente cristiano a Roma nell’Anno mariano, 1987-88 (Libreria Editrice Vaticana 1990); Ordo exsequiarum Romani Pontificis e l’Ordo Rituum Conclavis (Libreria Editrice Vaticana 2000); l’Ordo per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma, in fase di redazione definitiva; il volume Magnum Iubilæum sulle celebrazioni caratteristiche del Giubileo del 2000, e il volume sulla Sede vacante, attualmente in bozze di stampa.

   

4. Conclusione 

           Siamo partiti dalla sacramentalità della Chiesa, per sottolineare l’importanza del gesto nella liturgia e in particolare del gesto di Dio: Cristo stesso che diventa, proprio nella liturgia, gesto della Chiesa. Tale gesto ha in sé una sua bellezza, fatta di semplicità e di amore, che deve sempre essere rispettata. La Chiesa, nella sua liturgia, si serve anche della bellezza di altri segni, come le icone e gli elementi del creato. La bellezza della liturgia, dunque, è anzitutto la bellezza della semplicità e dell’amore del gesto di Cristo, ma è anche la bellezza dei nostri gesti e la bellezza propria dei segni e degli elementi del creato che la liturgia mette in ordine e in armonia nel tempo e nello spazio. La bellezza della liturgia è l’ordine che essa riesce a creare in noi, nei nostri rapporti con i fratelli, è l’ordine che essa riesce a creare nel nostro rapporto personale con Dio. La bellezza della liturgia è qualcosa che ci supera. Non è quella che si impone subito all’attenzione, che si fa vedere attraverso i gesti, i segni e gli elementi materiali, ma soprattutto quella che essi lasciano trasparire. Essa, infatti, è più una bellezza che traspare che una bellezza che si vede. Se vogliamo avere una bella liturgia dobbiamo lasciarci guidare da essa, dal suo spirito e dalle sue norme.

La bellezza della liturgia esige sempre qualche rinuncia da parte nostra: rinuncia alla banalità, alla fantasia, al capriccio. Alla liturgia, inoltre, bisogna dare il tempo e lo spazio di cui ha bisogno. Non bisogna avere fretta. Più che alla nostra iniziativa bisogna lasciare a Dio la libertà di parlarci e di raggiungerci attraverso la Parola, la preghiera, i gesti, la musica, il canto, la luce, l’incenso, i profumi. La liturgia, come una composizione musicale, ha bisogno di spazio, di tempo e di silenzio, del distacco da noi stessi, perché le parole, i gesti e i segni possano parlarci di Dio.

           Nel quarantesimo anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium, se vogliamo una liturgia più “bella”, è necessario riflettere su alcuni problemi legati all’attuazione della riforma liturgica.

a) La partecipazione attiva. Nella prima fase di attuazione della riforma la partecipazione ha assunto un aspetto prevalentemente esteriore e didattico, degenerando poi, spesso, in una sorta di partecipazionismo ad ogni costo e in tutte le forme. La liturgia non è la somma delle emozioni di un gruppo, né tanto meno il ricettacolo di sentimenti personali. È soprattutto tempo e spazio per interiorizzare le parole che in essa si ascoltano e i suoni che si odono, per appropriarsi dei gesti che si compiono, per assimilare i testi che si recitano e si cantano, per lasciarsi penetrare dalle immagini che si osservano e dai profumi che si odorano.

b) La presidenza liturgica. La qualità dei segni esige soprattutto la qualità nella presidenza della celebrazione. Colui che presiede di fronte all’assemblea non è solo guardato, ma anche approvato e giudicato nello svolgimento del suo ruolo che si svolge in Persona Christi, o, se vogliamo, come “Icona di Cristo” nello Spirito Santo. Tuttavia, tale presidenza non può essere esercitata senza tener conto della qualità dell’assemblea e senza essere capace di rispondere alle attese del popolo di Dio. Colui che presiede, infatti, in qualche modo, presiede anche in Persona Ecclesiæ.

Rifuggendo ogni forma di protagonismo, il presbitero, plasmato dall’autentico spirito della liturgia, presiederà la sinassi «come colui che serve» (Lc 22,27), ad immagine di Colui di cui egli è povero segno. Per questo, la qualità della presidenza liturgica, nella sua forma più alta e feconda, andrà ben al di là di una semplice arte del presiedere, di un mero savoir faire, per divenire principio di comunione, nell’intima consapevolezza che l’insieme dei doni dello Spirito Santo si trova unicamente nell’insieme della Chiesa.

c) La bellezza e la dignità del culto. All’inizio del terzo millennio è necessario dare l’immagine di una Chiesa che celebra, prega e vive il Mistero di Cristo nella bellezza e nella dignità della celebrazione. Bellezza che non è solo formalismo estetico, ma fondata sulla “nobile semplicità”, capace di manifestare il rapporto tra l’umano e il divino della liturgia. Si tratta della dinamica dell’incarnazione: ciò che l’Unigenito, pieno di grazia e di verità, ha fatto visibilmente, è passato nei sacramenti della Chiesa. La bellezza deve lasciare trasparire la presenza di Cristo al centro della liturgia: il quale potrà essere più evidente quanto più nelle celebrazioni si potrà percepire contemplazione, adorazione, gratuità e rendimento di grazie.

«Maestà e bellezza sono davanti a lui, potenza e splendore nel suo santuario» (Sal 96,6). Il salmista non solo canta la bellezza di cui la dimora del Signore risplende, ma confessa anche: «Le sue opere sono splendore di bellezza» (Sal 111,3). Quale altra realtà della Chiesa è chiamata a coniugare ed esprimere la bellezza come lo spazio liturgico e l’azione liturgica? Non solo il luogo ma anche l’azione, ovvero il gesto, la postura, il movimento, gli abiti devono manifestare armonia e bellezza. Il gesto liturgico è chiamato ad esprimere bellezza in quanto è gesto di Cristo stesso.

La liturgia continuerà così, anche grazie alla sua bellezza, ad essere fonte e culmine, scuola e norma di vita cristiana.

    

+ PIERO MARINI
Arcivescovo Titolare di Martirano
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
 



[1] A. Bugnini , La riforma liturgica ( 1948-1975), Edizioni Liturgiche, Roma 1997, pp. 779-780.
[2] Sermo 74, due: PL 54,358.
[3] Messale Romano, Preghiera Eucaristica IV.
[4] Il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1181-1186) presenta bene ciascuno di questi spazi celebrativi e sottolinea anche la necessità di promuovere la bellezza dell’arte sacra (nn. 2502-2503).
[5] Cf. il prezioso volume La Cappella Redemptoris Mater del Papa Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, 1999.
[6] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in Africa (14-9-1995), n. 25: 14,3040.

  

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