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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE
 

 

IL QUARANTESIMO DELLA SACROSANCTUM CONCILIUM

 

Memoria di una esperienza

  

            Nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, Patroni di Roma, è uscito, in nitida ed elegante edizione, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana, un volumetto di Sua Eccellenza Mons. Piero Marini, intitolato Il quarantesimo della Sacrosanctum Concilium, recante quale sottotitolo Memoria di una esperienza. Il volumetto si colloca nell’ambito di una serie di pubblicazioni indipendenti tra loro, con cui varie istituzioni, riviste e studiosi hanno inteso commemorare il quarantesimo della prima Costituzione conciliare, la quale,  ebbe un grande influsso sia nella prosecuzione dei lavori del Concilio Vaticano II sia nella vita della Chiesa.

            Lo stesso Santo Padre, Giovanni Paolo II, il 4 dicembre 2003 ha scritto la Lettera apostolica Lo Spirito e la Sposa, che si pone in linea di continuità e di approfondimento con la Vicesimus quintus annus, emanata il 4 dicembre 1988 nella ricorrenza del venticinquesimo della Sacrosanctum Concilium.

 

Una triplice esperienza

            Memoria di una esperienza è il sottotitolo del volume di Mons. Marini. In realtà si tratta di una triplice esperienza; la sua personale, quella dei suoi collaboratori nell’Ufficio per le Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, quella dello stesso Santo Padre Giovanni Paolo II.

            Del suo rapporto con la Costituzione conciliare, Mons. Marini, in apertura dello scritto, confessa con animo grato: «La Sacrosanctum Concilium mi ha ininterrottamente accompagnato nel servizio compiuto alla Sede di Pietro: inizialmente, partecipando per oltre due decenni all’attuazione delle disposizioni conciliari, prima nel Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia e poi nella Congregazione per il Culto Divino; successivamente negli ultimi diciotto anni, nell’Ufficio delle Celebrazioni del Sommo Pontefice» (n. 1). Con la narrazione della propria esperienza, Mons. Marini si inserisce, in un certo senso, nella tradizione dei ‘diari’ nei quali i Cerimonieri Pontifici dei secoli XV e XVI - Pietro Burgense, Agostino Patrizi Piccolomini, Giovanni Burkardo, Paride Dei Grassis … - descrivevano lo svolgimento delle celebrazioni papali, considerate nel loro contesto storico. Mons. Marini, in uno specifico e vivace numero, ha fatto un opportuno riferimento a tale tradizione.

            La seconda esperienza è quella dei suoi collaboratori nell’Ufficio. Esperienza vasta, internazionale, maturata da uomini esperti in vari settori - liturgisti, giuristi, pastoralisti, musicisti … -, suffragata da specifici seminari di studio,  sorretta da generosità ed entusiasmo. Mons. Marini la ricorda con espressioni di sincera gratitudine.

            La terza esperienza è quella del Santo Padre. Esperienza ricchissima e di singolare valore. Ma a nessuno sfugge la difficoltà di narrare l’esperienza di un altro, soprattutto quando l’altro è il Papa, l’oggetto dell’esperienza da trasmettere è la liturgia, e il narratore è spesso tenuto, per la posizione stessa che occupa nella Curia Romana, a un doveroso riserbo.

            Concludendo il cap. II, Mons. Marini sintetizza efficacemente il valore dell’esperienza liturgica del Papa in rapporto alla Costituzione conciliare:  «Giovanni Paolo II non è stato solo un testimone e un prolungamento della Sacrosanctum Concilium, ma anche l’interprete più autorevole, l’esecutore più tenace» (n. 5).

 

L’esperienza liturgica postconciliare di Giovanni Paolo II

            Mons. Marini ovviamente non fa un elenco di tutte le caratteristiche dell’esperienza liturgica di Giovanni Paolo II. Il lettore tuttavia le coglie a mano a mano che procede nella lettura del volumetto.

1. Assoluta coerenza con il dettato conciliare

            Mons. Marini rileva che per Giovanni Paolo II la liturgia romana, di cui Egli è il supremo garante e legislatore, non è altra che quella proposta nei libri liturgici via via promulgata da Paolo VI († 1978) e da Lui stesso: libri rinnovati secondo i principi stabiliti dal Vaticano II  da uomini esperti che dedicarono molto impegno e molti studi a tale rinnovamento e lo compirono in un tempo relativamente breve: una decina di anni. Giovanni Paolo II ha sempre celebrato l’Eucaristia, gli altri sacramenti e la Liturgia delle Ore nella forma e secondo lo spirito dei libri legittimamente promulgati dalla Congregazione per il Culto Divino. Egli si è comportato come i Sommi Pontefici che lungo la storia hanno periodicamente rinnovato la liturgia romana: san Gregorio I († 604), san Gregorio VII († 1085), san Pio V († 1572), san Pio X (1914), il servo di Dio Pio XII († 1958).

            Il costante impegno dei Successori dell’Apostolo Pietro e in particolare del Papa Giovanni Paolo II nel guidare la Chiesa, soprattutto attraverso l’annuncio della Parola e la celebrazione dei sacramenti, è  bene espresso dalle illustrazioni che accompagnano ogni capitolo del volume. Si tratta della figura dell’umile pescatore di Galilea, impegnato nello sforzo di tirare la rete nella barca, riprodotta nel sigillo dell’anello del pescatore di sei Sommi Pontefici dalla metà del sec. XVI alla metà del sec. XVII.

2. Esperienza variegata e universale

            Nell’antichità la liturgia presieduta dal Vescovo di Roma, per l’indole peculiare del suo servizio, non coincideva pienamente con quella celebrata dai presbiteri nei tituli: «Missale Romanæ Curiæ e Pontificale Romanæ Curiæ si intitolavano i due libri liturgici più frequentemente usati dai Romani Pontefici» (n. 5). Questa situazione si è creata di nuovo negli ultimi ponteficati e, in particolare, in quello di Giovanni Paolo II. Nei venticinque anni del suo pontificato, il Santo Padre ha accumulato una quantità immensa di esperienze liturgiche, assai diverse l’una dall’altra: diverse per la varietà degli eventi salvifici commemorati e i sacramenti celebrati; diverse per la varietà di luoghi e la composizione delle assemblee; diverse per le tradizioni, le radici culturali, le lingue, le concezioni antropologiche, la sensibilità nei confronti del mondo dei simboli (cf. n. 5). Con tutta verità, Mons. Marini può concludere: «Nessuna esperienza liturgica del nostro tempo è paragonabile, per varietà di situazioni e di soluzioni, a quella vissuta dal Santo Padre e dall’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie in venticinque anni di servizio alla Cattedra di Pietro» (n. 5).

3. Una liturgia calata nella realtà

            Chiunque ne sia il celebrante, la liturgia deve essere sempre centrata nel Mistero pasquale e proiettata verso la Parusia, ma essa deve nondimeno essere una « liturgia di compassione, piegata sul dolore del mondo contemporaneo e tesa a dare una risposta alle sue legittime aspirazioni » (n. 5). In non poche occasioni i partecipanti alle celebrazioni presiedute dal Santo Padre nei suoi viaggi apostolici, soprattutto in Africa e Asia, sono state masse di poveri, gente senza pane e senza casa, malati, esuli e sfiduciati, uomini e donne che erano prolungamento delle folle che seguivano Gesù e delle quali, quando stavano per venir meno, Egli ebbe compassione (cf. Mc 8, 2-3).

4. Una liturgia nodale

            Soprattutto nei viaggi apostolici le celebrazioni del Santo Padre devono affrontare i grandi nodi della liturgia romana rinnovata: l’inculturazione; il rapporto tra le esigenze della liturgia e le tendenze della pietà popolare; l’equilibrato incontro nella celebrazione tra arte e bellezza, nobile semplicità e indispensabile solennità, prescrizione rituale e manifestazione spontanea;  le eventuali ripercussioni in campo ecumenico; la sana tensione tra la parola cultuale elitaria e la parola popolare.

 

Valori del rinnovamento liturgico

            Il cap. III considera i benefici arrecati dal rinnovamento liturgico alla vita della Chiesa. Passandoli in rassegna, l’Autore non assume toni trionfalistici né atteggiamenti polemici. Egli constata semplicemente che «la riflessione degli studiosi e la prassi liturgica di Giovanni Paolo II hanno consentito di evidenziare tre valori che sono altrettante linee portanti della Costituzione conciliare: il valore sommo della Parola di Dio, la partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione dei divini misteri, una più viva coscienza dell’unità e universalità della Chiesa, pur nella diversità e pluralità dei riti liturgici» (n. 7). 

            La  riflessione su questi tre valori, necessariamente succinta, presenta spunti originali. Riguardo al sommo valore della Parola rivelata, il Maestro delle celebrazioni pontificie ritiene che il «cospicuo inserimento [di testi biblici] nella liturgia […] ha reso le celebrazioni del rito romano maggiormente ispirate alla Parola di Dio; ha permesso altresì una più esatta interpretazione di molti brani scritturistici, inquadrati nel contesto originario, ossia nella liturgia stessa; la comunità riunita in preghiera, costituisce, infatti, il destinatario privilegiato della Parola rivolta da Dio al suo popolo perché la ascolti, la mediti, la preghi, la metta in pratica e l’annunci come “buona notizia” per l’umanità intera» (n. 8). 

            Inattesa, almeno in parte, è la lettura che Mons. Marini dà del valore dell’attiva e ordinata partecipazione dei fedeli, promosso dalla Sacrosanctum Concilium. Un’interpretazione assai lontana da quella che vede nella “partecipazione attiva” una sorta  di “attivismo” puramente esteriore, perché - puntualizza Mons. Marini «la “partecipazione attiva” è frutto di una sincera adesione di fede alla persona e al messaggio del Signore Gesù; è suscitata e sostenuta dallo Spirito Santo […] che viene elargito ad ogni fedele nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione perché venga insignito del “sacerdozio regale” ( 1 Pt 2, 9; cf. Es 19, 5-6); è proiezione dalla sfera cultuale a quella esistenziale, perché ogni discepolo faccia della propria vita un culto a Dio gradito; è partecipazione che si esplica in una pluralità di forme: nel comportamento, nella parola e nel gesto, nel canto, nel silenzio, nella contemplazione» (n. 11). 

            Nei viaggi apostolici, il Santo Padre ha celebrato i divini misteri in altri riti dell’Oriente e dell’Occidente. Ciò ha avuto alcuni benefici effetti. Ha contribuito a dissipare [presso la mente di molti] l’errata identificazione pratica tra liturgia cattolica e rito romano; a far comprendere la radicale pari dignità di tutti i riti; a rivalutare quindi i riti di alcune Chiese, oggi di scarso rilievo numerico e di ridotta incidenza sociale, ma che per secoli hanno alimentato la loro fede e il loro culto; a risvegliare una coscienza più viva della cattolicità della Chiesa (cf. n. 12).

 

Validità perenne dei principi

            Il cap. IV tratta della validità perenne dei principi del rinnovamento conciliare. Una riforma della liturgia di così vaste proporzioni non si fa a cuor leggero. La riforma liturgica è stata fatta perché appariva necessaria; tale la percepirono san Pio X, all’inizio del secolo XX, e verso la metà dello stesso secolo il servo di Dio Pio XII, il quale iniziò l’opera di rinnovamento restaurando il cuore stesso dell’anno liturgico, la Veglia pasquale (1955).

            A Mons. Marini è sembrato opportuno ricordare i cardini di tale riforma. Egli ne individua tre: la liturgia intesa come esercizio del sacerdozio di Cristo, come attualizzazione del Mistero pasquale attraverso l’azione della Chiesa, come fulcro della vita spirituale.

            La Costituzione Sacrosanctum Concilium ha contribuito molto all’approfondimento della natura sacerdotale della presenza di Cristo nell’azione liturgica. Essa è esercizio della missione sacerdotale di Gesù Cristo: di Lui, Capo, e delle membra del suo Corpo mistico. Azione quindi - puntualizza l’Autore - di Dio e dell’uomo, sia pure di natura abissalmente diversa: opus Dei e opus hominis. Opus Dei, in linea discendente: «opera del Padre per Eristo nello Spirito». Opus hominis, in linea ascendente: «azione dell’uomo che, per mezzo di riti, nello Spirito di Cristo, Sommo Sacerdote, rende ogni onore e gloria al Padre e si impegna cooperare al suo disegno salvifico (cf. 2 Cor 5, 20)». 

            Con felice intuizione san Pio X nel Motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903) afferma che «la liturgia è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano». La spiritualità della Chiesa è quindi la spiritualità liturgica.

            Il principio affermato da san Pio X ha conservato inalterato il suo valore e la sua efficacia per tutto il secolo XX. La Sacrosanctum Concilium lo cita quasi alla lettera (cf. n. 14). Mons. Marini, ispirandosi al principio di san Pio X e alla Costituzione conciliare, scrive: «La liturgia è il fulcro della vita spirituale del cristiano, la prima scuola di ascolto della Parola di Dio e il luogo per eccellenza di invocazione del Paraclito. Nella liturgia lo Spirito ricorda e attualizza il mistero di Cristo, rende i credenti docili alla Parola di Dio, li abilita all’annunzio e alla testimonianza della fede, li trasforma a immagine di colui che li ha chiamati a continuare la sua missione di Servo del Padre (cf. Is 42, 1-4; Mt 12, 15-18) e degli uomini (cf. Gv 13, 12-14; Mc 10, 45), annunciando il Vangelo a ogni creatura» (n. 17).

 

Impegni urgenti

            Nel cap. V Mons. Marini, sul filo delle Lettere apostoliche Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988) e Lo Spirito e la Sposa (4 dicembre 2003), passa in rassegna gli Impegni da affrontare con speranza. Con speranza, perché, da una parte, «il cammino di rinnovamento della liturgia compiuto alla luce della Sacrosanctum Concilium è irreversibile » (n. 18), dall’altra si rileva che « dei tanti movimenti suscitati dallo Spirito di Dio nel corso del XX secolo [ … ], quello liturgico forse vive un momento di stasi o di stanchezza» (n. 19). Occorre quindi ricuperare l’entusiasmo, rinnovare « nei Pastori della Chiesa e in tutte le componenti del popolo di Dio loro affidato […] la coscienza dell’importanza primaria della liturgia» (n. 19), per cui la «pastorale liturgica dovrà avere un posto primario nei progetti di conduzione di una diocesi o di una parrocchia» (ibid.). 

            A questo punto Mons. Marini, quale frutto della propria esperienza, ricorda che Giovanni Paolo II, «conscio che la liturgia è un inestimabile dono di Dio  alla  Chiesa,  ha  dato  costante testimonianza  durante tutto il pontificato

[…], di celebrazioni esemplari, fedeli nello spirito e nella lettera alle disposizioni del Concilio Vaticano II» (ibid.).

            Egli poi fa due considerazioni. La prima consiste in un invito e in una esortazione; l’invito «a guardare al futuro con fiducia e senso di responsabilità» (ibid.); l’esortazione «a non perdersi d’animo per qualche fase di stanchezza a quarant’anni dalla promulgazione della magna charta del rinnovamento liturgico» (ibid.). La seconda , proveniente dalla sociologia religiosa, ricorda « che nessun Concilio si esaurisce nella promulgazione dei decreti o nell’attuazione delle prime riforme da esso decise; la piena riuscita pastorale di un’assise ecumenica esige una faticosa e intelligente recezione, che sovente abbraccia l’arco di qualche generazione prima di diventare patrimonio consolidato e vivificante di tutto il popolo di Dio» (ibid.). 

            Mons. Marini ricorda pure la preoccupazione dei padri conciliari per la formazione liturgica del clero: « è assolutamente necessario - scrivevano - dare il primo posto alla formazione liturgica del clero» (SC 14; cf. 17-18). Sarebbe infatti illusorio sperare di ottenere i grandi scopi del rinnovamento liturgico « se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diverrano maestri» (ibid.). Dopo queste premesse, l’Autore passa in rassegna i settori in cui si deve concentrare l’impegno dei responsabili della liturgia. 

            L’anno liturgico (n. 21), nel quale è considerata «la bimillenaria esperienza della Chiesa Sposa che, piena di amore e di gratitudine contempla e celebra l’opera salvifica di Cristo Sposo » (n. 21).    

            Importanza della Domenica  (n. 22). Riguardo ad essa «il Santo Padre ha richiamato l’attenzione dei suoi Fratelli nell’episcopato sulla necessità di guidare i fedeli a riscoprire il significato del “Giorno del Signore” e a rivalutarne l’importanza» (n. 22). Mons. Marini ricorda opportunamente la Lettera apostolica Dies Domini (31 maggio 1998), documento ampio e convincente in cui Giovanni Paolo II illustra i valori della domenica. Dalle riflessioni del Santo Padre, egli trae due convincimenti di natura pastorale: il primo, con reminiscenza di R. Guardini, relativo a un principio di grande rilievo: «la ripresa del valore delle comunità ecclesiali dipende in gran parte dalla ripresa della coscienza del valore dell’importanza primaria del “Giorno del Signore”; il secondo sprona i fedeli a «opporsi alla dilagante e falsa opinione secondo cui per la celebrazione della Pasqua settimanale “un giorno vale l’altro”, opinione che è contraria alla tradizione neotestamentaria (cf. Gv 20, 19.26; Ap 1, 10), distrugge il valore ecclesiale della domenica e la sua straordinaria valenza simbolica» (n. 22).

            Il triduo pasquale (n. 23). Nel numero dedicato al «Triduo pasquale - Cristo immolato, Cristo disceso agli inferi, Cristo risorto - culmine e perno dell’Anno liturgico» (n. 23), il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie spezza una lancia in favore del ripristino nella coscienza popolare della natura e del significato della Cinquantina pasquale. Nella prassi pastorale accade non di rado che il tempo di preparazione al Triduo pasquale - la Quaresima - viene dato un rilievo superiore a quello del suo compimento - la Cinquantina pasquale -, premessa alla celebrazione attualizzante dell’evento pentecostale. 

            Indole escatologica del culto cristiano (n. 24). Fin dall’età subapostolica i Padri erano fortemente consapevoli dell’indole escatologica del culto cristiano, sempre esplicitato nella liturgia, soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia. Ma, con il progressivo calo della tensione escatologica, tale consapevolezza era divenuta semplice ripetizione di formule senza vera incidenza nella vita dei fedeli. Occorreva reagire. I padri conciliari scrissero un bel testo - il n. 104 della Costituzione Sacrosanctum Concilium -, nel quale l’indole escatologica della liturgia e la comunione della liturgia terrena con quella celeste appaiono mirabilmente fuse.

            Mons. Marini esalta la speranza quale «virtù caratteristica dell’attesa escatologica» (n. 24) e fa sua l’osservazione dei liturgisti e dei pastoralisti, secondo cui «non è possibile mantenere viva in noi la speranza ed essere, a nostra volta, testimoni di speranza nel mondo, se non comprenderemo e vivremo la liturgia quale vera celebrazione del “Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, nel quale risiede la nostra speranza della salvezza eterna” [Sant’Agostino, Sermo 331E], e quale pegno delle realtà future preparate per quanti si volgono a lui nella fede (n. 24).

            Pieni di spunti originali e di motivi di riflessione sono i paragrafi La liturgia e il cammino verso la piena unità (n. 25-26), Liturgia e arte (n. 27), camminare insieme nella carità (n. 28-32), inedita testimonianza sul pensiero del Papa su come la liturgia debba essere impregnata in ogni suo momento - preparazione, celebrazione, prolungamento nella vita - dalla carità. Pagine assolutamente da meditare.

 

Guardare avanti con animo fiducioso

            Il cap. VI, l’ultimo del volumetto di Mons. Marini, costituisce un nuovo invito «a non temere e a guardare avanti con animo fiducioso» (n. 33) e a dare all’«azione costante di Dio in favore dell’uomo [ …] una risposta fiduciosa e piena di fede» (n. 34). L’Autore, sul filo della testimonianza di Giovanni Paolo II, osserva che nella Chiesa abbiamo un modello per dare tale risposta: la « Vergine Maria, la quale, all’annuncio delle grandi cose che avrebbe compiuto in lei l’Onnipotente (cf. Lc 1, 31-33. 49), nonostante la coscienza della sua pochezza (cf. Lc 1, 48), accolse, rassicurata dalle parole dell’angelo (cf. Lc 1, 30), la proposta di Dio di cooperare all’incarnazione redentrice del Verbo» (n. 34). E ricorda pure che  «il n. 103 della Sacrosanctum Concilium ha costituito uno stimolo per l’incremento ecclesiale della pietà mariana» (n. 35) e può essere ritenuto un preludio del celebre capitolo VIII della Lumen gentium (ibid.). 

            La conclusione della presentazione del volume di Mons.  Piero Marini, può consistere nella trascrizione del n. 36, in cui egli riassume in termini commossi quale era stato il pensiero dei padri conciliari sulla liturgia e quale è quello di Giovanni Paolo II:         

            «Sorprende la ricchezza e la bellezza della concezione che i padri conciliari avevano della liturgia.

            Per essi la liturgia è glorificazione perenne del Dio tre volte santo, e santificazione dell’uomo ripristinato nella bellezza originaria ad immagine e somiglianza (cf. Gen 1, 26) del suo Creatore.

            È memoria grata dei mirabilia Dei, solerte radicamento nel momento presente, proiezione sul futuro e attesa del Signore che viene (cf. Ap 22, 20).

            È contemporaneo esercizio del sacerdozio di Cristo, del ministero ordinato dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, del sacerdozio universale del popolo di Dio.

            È festosa comunione con la Chiesa già immersa nella gloria del cielo e solidale cammino con la Chiesa ancora pellegrina sulla terra.

            È azione rituale, parola che compie ciò che annuncia, gesto che disvela ciò che nascosto nel simbolo.

            È culto a Dio “in spirito e verità” (Gv 4, 23), mistero e rivelazione, canto, parola, silenzio.

            È prolungamento del fuoco della Pentecoste, del fiume di acqua viva sgorgato dal costato aperto del Salvatore (cf. Gv 19, 34), che continua a scaturire dal trono di Dio e dell’Agnello (cf. Ap 22, 1).

            È luce radiosa del Cristo risorto, che illumina la città sposa, la Gerusalemme celeste, nella quale rifulge la gloria di Dio e splende la lampada dell’Agnello ( cf. Ap 21, 23).

            Tale liturgia vollero i padri conciliari, tale è la liturgia del Santo Padre, tale quella che celebrano tanti Vescovi e presbiteri con fedeltà alla Chiesa, alla Tradizione e  al Concilio».

                                                                                  

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