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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE

INTERVENTO DI S.E. MONS. PIERO MARINI
AL CONGRESSO DI STUDI STORICI NEL 50° ANNIVERSARIO
DELLA MORTE DEL BEATO ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER
PRESSO L'ABBAZIA DI FARFA

6 novembre 2004

  

ALCUNI SGUARDI
AL MONACO-ARCIVESCOVO ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER

 

Il 30 agosto 1954

            Il 30 agosto 1954, giorno in cui morì il Beato Schuster, avevo appena dodici anni e  non era ancora trascorso un anno da quando ero entrato nel seminario di Bobbio. Ricordo la notizia piuttosto come un fatto di cronaca che come emozione legata ad un avvenimento vissuto. Il ricordo di Schuster tuttavia negli anni del seminario rimase sempre vivo in me grazie ad un compagno di studi, Mons. Elia Volpi attualmente Parroco nella Chiesa della Candelaria a Rio de Janeiro, innamorato del monaco-arcivescovo di Milano. Egli spesso mi mostrava qualche ricordino e qualche foto dello Schuster che conservava gelosamente. Mi è pertanto rimasto sempre impresso nella memoria il suo volto esile, delicato, sereno e trasparente che comunicava profonda serenità e invitava alla interiorità e allo spirituale. In quegli anni la mia conoscenza di Schuster era tutta racchiusa nell’immagine di quel volto: di lui sapevo solo che era stato Arcivescovo di Milano e monaco benedettino.

Il 12 maggio 1996

            In occasione della Beatificazione del Servo di Dio, domenica 12 maggio 1996, ho avuto modo di soffermarmi di nuovo sul suo volto. Dai vari incontri preparatori e dalla  biografia del nuovo Beato mi sono reso conto che il volto conosciuto da bambino non era solo quello di un Arcivescovo e di un monaco, ma anche di un liturgo, di un pastore d’anime, di uno studioso di liturgia, di storia, di catechesi, di spiritualità, di archeologia e di arte. La conoscenza tuttavia venne contenuta entro i limiti imposti dall’occupazione per i vari servizi inerenti la preparazione del Rito, e dalla dispersione della attenzione che doveva essere rivolta anche ad altri cinque Servi di Dio beatificati insieme con lo Schuster.

Il 6 novembre 2004

            L’invito a partecipare al Convegno di Farfa, 6-7 novembre 2004, è stata per me una ulteriore provvidenziale occasione per approfondire la conoscenza della ricchezza umana e spirituale della personalità di Schuster.

Predilezione per la Badia benedettina di Farfa

            Anzitutto, dalla lettura di alcuni suoi scritti ho potuto conoscere la predilezione che Schuster aveva per il monastero di Farfa, ed ho compreso il motivo della scelta della sede del convegno. La predilezione per Farfa era motivata non solo dalla pace e dalla solitudine che Schuster amava tanto e che caratterizzava il monastero, ma anche e soprattutto dai rapporti umani e spirituali che erano nati tra lui e alcune realtà del monastero. Qui viveva il suo confratello il Beato Placido Riccardi, custode del Santuario di Maria; qui il caro amico morì assistito con tanto amore e con tanta fede dall’abate Schuster. Il secondo amore che legava Schuster a Farfa era quello tenero e filiale verso l’immagine bizantina della Vergine venerata nel Santuario; per questo egli amava chiamare i monaci di Farfa  “i monaci di Maria”.

            L’amore di Schuster per Farfa si manifestò anche con atti e gesti concreti. Basta ricordare la pubblicazione: L’Imperiale abbazia di Farfa: contributo alla storia del Ducato romano nel Medioevo,  Roma 1921, e l’invio a Farfa, nello stesso anno, di un gruppo di 9 monaci da parte di Schuster, allora abate di San Paolo, per ridare vita al monastero.

Problematiche liturgico-ecclesiali

Più interessanti sono alcune problematiche e alcuni interrogativi di Schuster sulla Liturgia e sulla Chiesa. Si tratta infatti di interrogativi e di problematiche che, a quaranta anni dal Concilio, sono tornate di attualità e si impongono a tutti noi e alla vita odierna della Chiesa.                 

Indico alcune tematiche e riporto alcuni testi dello Schuster di particolare attualità (1).

- Liturgia e devozioni

            “La Sacra Liturgia non solo rappresenta ed esprime l’ineffabile e il divino, ma per mezzo dei sacramenti e delle sue formule eucologiche lo produce, a dir così, e lo compie nelle anime dei fedeli…” (p. 15-16).

            “C’è… una preghiera speciale che è per eccellenza la preghiera della Chiesa, ed ha quindi anche un nome particolare: essa si chiama Liturgia…” (p. 36).

            “Prima di ogni altra cosa, anzi sopra ogni altra cosa, o Venerabili Confratelli, noi siamo essenzialmente degli adoratori: Sic nos existimet homo ut ministros Christi (1 Cor 4,1)… appresso dobbiamo essere parimenti i ministri del popolo, il sale della terra, i pescatori d’uomini, ecc.; ma prima fa d’uopo assolutamente che siamo dei veri servi di Dio: Ministros Christi… in iis quae sunt ad Deum (Eb 5, 1).

            Questo divinum servitium, ovvero Opus Dei… comprende tutto quel complesso di sacrifici, di salmodie, di sacramenti e di preghiere che fanno parte della S. Liturgia e che rappresentano ciò che propriamente si potrebbe chiamare la pietà o la devozione della chiesa” (p. 36, 37, 38).

            “Discrezione colle devozioni! Le devozioni non sono sinonimo di pietà, la quale invece si identifica colla Devozione. Le devozioni stanno alla devozione come i frutti stanno all’albero”  (p. 118).

            “E’ inutile e pericoloso sfruttare il cuore, quando la fede manca dei suoi preamboli razionali…Pur troppo, noi ci prestiamo a tale svuotamento della Religione, e ci accontentiamo facilmente delle folle oceaniche, dei nostri Congressi, delle processioni, delle Feste Centenarie” (p. 140).           

- Chiesa e Santità

“Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione; ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega…Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi: ha paura invece della nostra santità” (2).

“Perché la bufera non travolga la barca, non giovano né la diplomazia, né le ricchezze, né la potenza secolare, ma solo la santità apostolica, tacita come il lievito, umile, povera” (pag. 138).

 “Gli Ordini religiosi vivono dei loro ricordi storici. I Seminari di molta parte d’Italia mancano di veri educatori. Si sente il bisogno di vaste riforme, ma bisogna pregare perché Dio ne faccia sentire la necessità ai Supremi Piloti della Nave”  (p. 136).

“L’atmosfera di Dio è quella della Fede, della grazia, dell’orazione, mentre ora, anche i Religiosi, preferiscono un’atmosfera di razionalità, di attivismo, di accomodamento allo spirito del secolo. [Don Giovanni Calabria] Dica ai suoi di rimanere sempre pusillus grex. Sintanto che i soldati di Gedeone furono troppi, Dio non se ne volle servire” (pag. 145).

Schuster: epifania corporea della Liturgia

            Il Convegno che celebriamo è occasione per fissare di nuovo il nostro sguardo sulla figura esile e delicata del Beato Schuster. Guardare a lui significa riprendere l’interesse e lo studio per la liturgia, e collocarla sempre più al centro della nostra vita, dando il primato alla interiorizzazione, alla contemplazione e alla riscoperta della autentica spiritualità liturgica. Guardare a lui significa dunque amare la Liturgia, amare la Chiesa ed avere il coraggio della verità perché la Liturgia come la Chiesa “sempre est reformanda”.

Guardare a lui rivestito delle vesti sacre della celebrazione significa interrogarci sulla nostra testimonianza come liturghi e adoratori addetti al divinum servitium nella comunità cristiana.

            La grandezza di Schuster infatti più che nei suoi scritti, consiste nella sua testimonianza di maestro della preghiera della Chiesa e nella sua capacità di manifestare attraverso il corpo e di estendere alla vita quotidiana lo spirito attinto nella liturgia celebrata.           

“Si vedeva un santo a colloquio con l’invisibile potenza di Dio. Non si poteva guardalo senza essere scossi da un brivido religioso” (testimonianza di Giovanni Colombo, Scritti del Card. A. Ildefonso Schuster, Hildephonsiana - La Scuola Cattolica, Vengono Inferiore (VA) 1959, 28-29).           

“La gente semplice accorreva… a contemplare quest’uomo esiguo e fragile che, nelle vesti del liturgo, diventava un gigante... la sua testimonianza sacerdotale, diventava per tutti la più autentica e valida delle mistagogie” (testimonianza di Giacomo Biffi, p. 14-15).

«Sono stato “affascinato” dalla sua personalità soprattutto quando celebrava la Liturgia. Tuttora, è come se avessi nella mente e nel cuore un album di fotografie che ritraggono l’Arcivescovo in diversi atteggiamenti: quando sedeva in trono, quando predicava avendo dinnanzi il messale cui si ispirava nell’omelia, quando mi amministrò la Cresima, quando parlò ai chierici, qualche giorno prima di morire» (testimonianza di Luigi Manganini, p. 9-10).

Il Beato Schuster, aiuti tutti noi, sommersi da tanti documenti e distratti da tante parole, a fare del nostro pregare e del nostro celebrare una vera e autentica epifania del primato di Dio nella nostra vita e nella santa Chiesa.

                                                                                                         

                                                                                                    + Piero Marini

 

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(1) I testi qui citati si possono leggere nel volume di Inos Biffi, Pagine vive su la liturgia, la catechesi e la spiritualità, ed.  NED, Milano 2004.      

(2) Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, Beatificazione, piazza S. Pietro, 12 maggio 1996, p. 107.

 

   

 

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