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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
 

MONS. GUIDO MARINI

INTERVISTA PER “INSIDE THE VATICAN”

Włodzimierz Rędzioch

 

Come è impostata la sua collaborazione con il Santo Padre ?

Mi pare importante, anzitutto, ricordare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un autorevolissimo insegnamento liturgico a cui tutti devono fare riferimento.

Alla luce di questo si capisce meglio quale debba essere lo stile della collaborazione del Maestro delle Celebrazioni con il Santo Padre. Si tratta di operare al fine di rendere le liturgie papali espressione autentica dell’orientamento liturgico del Papa. Da questo punto di vista è davvero Maestro colui che si fa servitore  umile e fedele della liturgia della Chiesa. Così ho inteso impostare fin da subito il mio impegno nell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

I fedeli notano dei cambiamenti in campo liturgico introdotti da Benedetto XVI. Come sintetizzerebbe questi cambiamenti?

Ritengo che la sintesi di tali cambiamenti possa essere illustrata così. In primo luogo si tratta di cambiamenti che avvengono secondo una logica di sviluppo nella continuità con il passato. Non vi è, dunque, nessuna contrapposizione o rottura rispetto ai pontificati precedenti. In secondo luogo i cambiamenti introdotti vanno nella direzione della promozione dell’autentico spirito della liturgia, così come auspicato dal Concilio Vaticano II, per il quale “la bellezza intrinseca della liturgia ha come soggetto proprio il Cristo risorto e glorificato nello Spirito Santo, che include la Chiesa nel suo agire”.

La celebrazione verso il crocifisso e con le spalle all’assemblea, la comunione distribuita ai fedeli in ginocchio e sulla lingua, i momenti di silenzio: tante persone percepiscono questi cambiamenti liturgici voluti dal Santo Padre come un ritorno al passato, senza capire il loro grande significato storico e teologico. Potrebbe spiegare in breve in vero significato di tali cambiamenti?

In verità, al nostro Ufficio giungono testimonianze di molte, moltissime persone che accolgono con favore i cambiamenti citati e li percepiscono nella linea di un cammino autentico di rinnovamento della liturgia.

Quanto, poi, al significato di alcuni di questi cambiamenti, in modo molto sintetico si possono fare le seguenti riflessioni. La celebrazione verso la croce mette in risalto l’orientamento corretto della preghiera liturgica, che è verso il Signore; durante la preghiera non ci si guarda a vicenda ma tutti insieme si guarda al Salvatore. La distribuzione della comunione in ginocchio intende rivalutare l’aspetto dell’adorazione, sia come componente essenziale della celebrazione, sia come disposizione necessaria di fronte al mistero della presenza reale del Signore nell’Eucaristia. I momenti di silenzio ricordano che, nella celebrazione liturgica, la preghiera si esprime in molti modi: la parola, il canto, il gesto, la musica…Tra questi modi vi è pure il silenzio che, anzi, ha la capacità di alimentare una partecipazione veramente religiosa all’intero atto di culto e, dunque, di animare dal di dentro ogni altra espressione della preghiera.

Il Santo Padre tiene tanto anche alle vesti liturgiche. Pura estetica?

Al riguardo penso che basti citare un brano dell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, per capire il significato della bellezza, come compente importante delle celebrazioni liturgiche, nel pensiero del Papa: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor… Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina, ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore… La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra… La bellezza pertanto non è un fatto decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione”.

Benedetto XVI ha cambiato il pastorale: adesso è in forma di croce. Come mai questo cambiamento?

Vale la pena ricordare che, fino a Paolo VI, il Papa non usava il pastorale. In alcune occasioni più solenni egli usava la ferula. Sotto il pontificato di Papa Montini, invece, divenne abituale l’uso della croce pastorale con il crocifisso. Benedetto XVI, che ha continuato a usarla fino alla Domenica di Pentecoste del 2008, ha poi pensato di rendere ordinario l’uso della ferula, ovvero alla croce senza crocifisso, più consona alla tradizione della liturgia papale.

Perché è così importante che la Chiesa conservi l’uso della lingua latina nella liturgia?

Anche il Concilio Vaticano II, pur introducendo l’uso delle lingue nazionali, indicava la strada della conservazione della lingua latina nella liturgia. Mi pare di poter affermare che due sono i principali motivi che inducono ad avere cura che una tale conservazione avvenga. Anzitutto il fatto che un inestimabile patrimonio liturgico è in latino: basti pensare al canto gregoriano e alla polifonia, come anche a testi venerandi con i quali hanno pregato generazioni di cristiani. Inoltre, ancora oggi, il latino ha la capacità di manifestare la cattolicità e l’universalità della Chiesa. Come non provare, ad esempio, una straordinaria esperienza di tale universalità quando, nella basilica di San Pietro come in altri luoghi di raduno internazionale, uomini e donne di tutti i continenti, di nazionalità e lingue diverse pregano e cantano insieme nella stessa lingua? Chi non percepisce la calda accoglienza della casa comune quando, entrando in una chiesa di un paese straniero può, almeno in alcune parti, unirsi ai fratelli nella fede in virtù dell’uso della stessa lingua?

E’ vero che la fede del sacerdote si esprime in modo particolare nella liturgia?

Non c’è dubbio. Dal momento che la liturgia è la celebrazione del mistero di Cristo nell’oggi della storia, il sacerdote è chiamato a esprimere la sua fede in una duplice direzione. In primo luogo entrando nella celebrazione con gli occhi di che va al di là del visibile per “toccare” l’invisibile, ovvero la presenza e l’opera del Signore. Da qui deriva quell”ars celebrandi”, nella quale i fedeli possono verificare che per il sacerdote la liturgia non è una rappresentazione o uno spettacolo, ma una relazione viva e coinvolgente con il mistero di Dio. In secondo luogo uscendo dalla celebrazione rinnovato e pronto a imitare ciò che ha vissuto, vale a dire facendo della sua vita una celebrazione del mistero di Cristo.

La cura per le celebrazioni liturgiche di Benedetto XVI può essere d’esempio per gli altri vescovi e sacerdoti?

E’ del tutto auspicabile!

   

 

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