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BERNARDO DA CORLEONE 
(1605 - 1667)
  
religioso dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini

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È rimasta nell'immaginario comune, diffusa da una vecchia biografia di maniera, la figura deformata di Bernardo da Corleone come di un attaccabrighe di piazza, simile allo spadaccino Lodovico del romanzo manzoniano. Ma Filippo Latino, come si chiamava prima di farsi frate, non era così.

Nato il 6 febbraio 1605 a Corleone, la sua casa era, a detta di popolo,"casa di santi", poiché il padre, Leonardo, un bravo calzolaio e artigiano in pelletteria, era misericordioso coi miserabili fino a portarseli a casa, lavarli, rivestirli e rifocillarli con squisita carità. Molto virtuosi erano anche i fratelli e le sorelle. Su questo terreno così fertile il giovane Filippo imparò presto ad esercitare la carità e ad essere devoto del Crocifisso e della Vergine. Gestendo una bottega di calzolaio, sapeva trattare bene i suoi dipendenti e non si vergognava di cercare elemosina "per la città in tempo d'inverno per li poveri carcerati".

Un solo difetto, al dire di due testimoni durante i processi, lo caratterizzava: "la caldizza ch'avia in mettiri manu a la spata quandu era provocatu". Questa "caldizza" metteva in ansia i suoi genitori, specie dopo che Filippo aveva ferito alla mano un superbo provocatore. Il fatto era avvenuto sotto gli occhi di molti nel 1624, quando Filippo aveva 19 anni, e fece grande rumore. Quel sicario prezzolato ci lasciò un braccio e Filippo, considerato la "prima spada di Sicilia", ne restò scosso nel profondo, chiese perdono al ferito, col quale diventerà in seguito amico, e maturò la sua vocazione religiosa finché, a circa 27 anni, il 13 dicembre 1631, vestì nel noviziato di Caltanissetta la tonaca dei cappuccini, i frati più inseriti nelle classi popolari, e volle chiamarsi frate Bernardo.

La sua vita è semplice. Egli passa nei diversi conventi della provincia, a Bisacquino, Bivona, Castelvetrano, Burgio, Partinico Agrigento, Chiusa, Caltabellotta, Polizzi e forse a Salemi e Monreale, ma è difficile delineare un quadro cronologicamente esatto. Si sa che trascorse gli ultimi quindici anni di vita a Palermo, dove incontrò sorella morte il 12 gennaio 1667. Il suo ufficio quasi esclusivo fu quello di cuciniere o di aiutante cuciniere. Ma egli sapeva aggiungere la cura degli ammalati e una quantità di lavori supplementari per essere utile a tutti, ai confratelli sovraccarichi di lavoro e ai sacerdoti lavando loro i panni. Era diventato il lavandaio di quasi tutti i suoi confratelli. Un intarsio di fatti e di detti, profumato da eroiche, per non dire incredibili, penitenze e mortificazioni formano la trama oggettiva e rilevante della sua fisionomia spirituale.

Le testimonianze dei processi diventano un racconto splendido di caratterizzazioni particolari della sua personalità dolce e forte come la sua patria: "Sempre ci esortava ad amare Dio e a fare penitenza dei nostri peccati" ."Sempre stava intento nell'orazione... Quando andava alla chiesa, banchettava lautamente nell'orazione e unione divina". Allora il tempo spariva e spesso rimaneva astratto ed estatico. Si fermava volentieri di notte in chiesa perché - come egli spiegava - "non era bene lasciare il Santissimo Sacramento solo; egli li teneva compagnia finché fossero venuti altri frati". Trovava tempo per aiutare il sacrestano, per restare piú vicino possibile al tabernacolo. Contro il costume del tempo egli usava fare la comunione quotidiana. Tanto che i superiori negli ultimi anni di vita, prostrato per le continue penitenze, gli affidarono il compito di stare solo a servizio dell'altare.

La solidarietà con i suoi confratelli si apriva ad assumere una dimensione sociale. A Palermo, in circostanze di calamità naturali, come terremoti e uragani, si fece mediatore davanti al tabernacolo, lottando come Mosè: "Piano, Signore, piano! Usateci misericordia! Signore, la voglio questa grazia, la voglio!". Il flagello cessò, la catastrofe fu alleviata.

Sul letto di morte, ricevuta l'ultima benedizione, con gioia ripetè: "Andiamo, andiamo", e spirò. Erano le ore 14 di mercoledí 12 gennaio 1667. Un suo intimo confratello, fra Antonino da Partanna, lo vide in spirito tutto luminoso che ripeteva con ineffabile gioia: "Paradiso! Paradiso! Paradiso! Benedette le discipline! Benedette le veglie! Benedette le penitenze! Benedette le rinnegazioni della volontà! Benedetti gli atti di ubbidienza! Benedetti i digiuni! Benedetto l'esercizio di tutte le perfezioni religiose!".

 

   

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