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 Luigi Talamoni (1848-1926)

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Luigi Domenico Filippo Talamoni nacque da una modesta famiglia di Monza, in contrada dei Mulini, il 3 ottobre 1848, secondo dei sei figli di Giuseppe (artigiano cappellaio) e di Maria Sala.

Fu battezzato lo stesso giorno nel Duomo di Monza, dedicato a San Giovanni Battista.

In famiglia trovò l’esempio forte di fede, che è reale fondamento di salde vocazioni sacerdotali: in casa si diceva ogni giorno il rosario e il papà ogni giorno, per quanto possibile, andava a Messa, accompagnato dal piccolo Luigi, che, sull’esempio del padre, servendo all’altare, sentì crescere il desiderio di servire Dio e i fratelli nel ministero sacerdotale.

Il piccolo Luigi Talamoni frequentò gli studi elementari e fece la Prima Comunione e la Cresima (1° luglio 1861) presso l’Oratorio di Monza, detto del Carrobiolo, fondato dal Servo di Dio Padre Fortunato Redolfi, barnabita, e retto da un altro barnabita, il Servo di Dio Padre Luigi Villoresi.

Luigi venne così a contatto con le esperienze più entusiasmanti della pastorale giovanile del tempo. Nella diocesi di Milano, infatti, in quegli anni si assiste a una esplosione degli Oratori, luoghi ove i ragazzi si ritrovavano quotidianamente a fare esperienza di vita fraterna e di impegno, di formazione cristiana e umana, di allegria e di spiritualità, maturando qui la propria vocazione al sacerdozio, alla missione, al coinvolgimento come laici impegnati nella società.

Erano, quelli, anni difficili per la Chiesa di Milano: proprio mentre era in atto la seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, era morto l’Arcivescovo Bartolomeo Carlo Romilli e il beato Papa Pio IX ne aveva nominato il successore nella persona di mons. Paolo Angelo Ballerini, che incontrò la fiera opposizione del Governo Italiano. Così l’Arcivescovo eletto non poté mai prendere possesso della sua Sede e nominò suo Vicario Generale sede impedita, mons. Carlo Caccia Dominioni, Vescovo ausiliare, ma il Governo Italiano lo considerò sempre e solo Vicario Capitolare sede vacante. A mons. Caccia Dominioni toccò di custodire l’unità della diocesi e di barcamenarsi con il Governo, subendone spesso le ire: più volte la polizia lo prelevò, per portarlo a Torino sotto inchiesta. Alle sue sofferenze, però, supplì sempre l’affetto della popolazione e di buona parte del clero.

Proprio in quegli anni l’Oratorio del Carrobiolo divenne un Seminario dei poveri: chi manifestava il desiderio di farsi sacerdote (e non solo diocesano), ma non possedeva i mezzi economici per realizzare questa chiamata, trovava lì la possibilità di studiare (i professori erano di alto livello e tutti volontari), di condurre un’esperienza di vita fraterna (evidentemente austera e povera), con una possibilità di impegno pastorale (i seminaristi nel tempo libero si impegnavano nell’Oratorio, che continuava accanto a loro la sua attività).

Quale fosse lo spirito di quel Seminario, lo dicono alcuni passi delle lettere che Padre Villoresi indirizzò proprio al giovane Talamoni, quando questi passò al Seminario Teologico. Il 1° febbraio 1868 gli scrisse: «Ai piedi di Gesù Sacramentato vorrei sempre, se fosse possibile, trovare alcuno di voi. Quando non potete andarvi colla persona, vedete di volar colà di tempo in tempo col cuore. Ubi thesaurus vester, ibi cor vestrum erit. E il nostro tesoro, il tesoro di tutti e specialmente di chi deve essere Sacerdote è e deve essere solo Gesù. [...] Mai avvilirvi; ricorrete a Dio ed Egli vi aiuterà, perché vada meglio il domani. State sani, allegri e sempre con Dio».

Luigi Talamoni visse al Carrobiolo fino al 1865, quando passò, come era d’uso, al Seminario Teologico Diocesano, di Milano. Qui non tutto fu facile: il rettore, mons. Carlo Cassina, non nutriva stima per l’opera di Padre Villoresi, ma la qualità umana e spirituale degli alunni gli fece cambiare parere. Intanto nuove angherie resero tumultuosa la vita della diocesi, proprio mentre il 6 ottobre 1866 moriva mons. Caccia Dominioni. La Chiesa di Milano era di nuovo senza pastore, poiché il Governo rimase decisamente contrario a mons. Paolo Angelo Ballerini. Passarono alcuni mesi di faticose trattative tra il Papa e il Governo Italiano e finalmente il 27 marzo 1867 venne eletto il nuovo Arcivescovo, Luigi Nazari di Calabiana, che poté garantire, soprattutto all’inizio, la speranza di un nuovo clima di pace.

In questi frangenti il giovane Talamoni concluse i suoi studi teologici e iniziò quelli a cui era destinato: la laurea in Lettere e Filosofia all’Accademia Scientifico-Letteraria, ove seppe guadagnarsi la fiducia e la stima anche dei docenti anticlericali, che dominavano nell’Accademia.

Il 4 marzo 1871 Luigi Talamoni fu ordinato sacerdote da mons. di Calabiana. Fu una giornata memorabile per bellezza, ma anche per tristezza: alla sera di quello stesso giorno il padre di don Luigi fu colpito da una paresi che lo afflisse per i successivi quindici anni.

Don Luigi fu inviato come insegnante nel Collegio San Carlo di Milano, ove ebbe come alunno (anno 1874-1875) anche Achille Ratti, il futuro Pio XI, che di lui scrisse, quando ne celebrò la Messa d’oro da Nunzio in Polonia: «Per santità di vita, luce di scienza, grandezza di cuore, perizia di magistero, ardore di apostolato, per civiche benemerenze, onore di Monza, gemma del clero diocesano, guida e padre di anime senza numero».

Dopo quattro anni, nel 1875, don Luigi fu chiamato nel Seminario di Monza, come insegnante del Ginnasio: «Il suo insegnamento — scrisse poi un suo alunno — era un apostolato continuo, condotto sulla trama delle vicende umane registrate dalla storia: in esso vibrava l’anima dell’apostolo». Era un insegnante convinto che occorre testimoniare il proprio sacerdozio: «Ho imparato dal maestro Talamoni — scrisse un altro suo illustre alunno, il Cardinale di Genova Carlo Dalmazio Minoretti — quello che in ogni occasione del suo insegnamento inculcava e che confermava con l’esempio:

lo zelo di cui il sacerdote deve vivere per la salute delle anime... 
In quella scuola mi si chiariva lo scopo della mia vocazione».

«La sua vita in Seminario, però — scrisse il Cardinale Giovanni Colombo — era quasi un martirio a colpi di spillo». Il clima della Chiesa milanese rimaneva infuocato: il clero era diviso tra liberali ed intransigenti, rosminiani e tradizionalisti; e coinvolgeva lo stesso laicato e il Seminario. Gli stessi alunni lo fecero spesso soffrire, soprattutto perché li fomentava l’Osservatore Cattolico, un giornale intransigente, che spesso sobillava gli stessi seminaristi. Questi un giorno del 1887 fecero un tappeto, che conduceva dalla camera del prof. Talamoni all’aula scolastica, usando pagine del suo quotidiano preferito, La Lega Lombarda, che si contrapponeva per moderazione all’Osservatore Cattolico: il professore avrebbe dovuto calpestare il suo giornale per arrivare a lezione! Non fu l’unica volta, ma don Luigi rispose sempre con il silenzio e il rispetto, con la pazienza e il perdono.

Come tutti gli educatori del Seminario, mons. Talamoni si impegnava anche nell’attività pastorale, per nutrire e sostanziare il suo stesso servizio di insegnamento. Il suo campo di lavoro privilegiato fu il confessionale nel Duomo di Monza, cui era stato destinato dall’arciprete mons. Francesco Zanzi, che fu fine guida spirituale anche per la Serva di Dio Madre Matilde Bucchi, fondatrice delle Suore del Preziosissimo Sangue (dette Preziosine).

Di Talamoni confessore l’Arcivescovo di Siracusa mons. Ettore Baranzini scrisse: «Era ricercatissimo come confessore, perché sapeva essere il vero ministro del perdono, il vero confessore delle anime». A questo delicato ministero fu tenacemente fedele, tanto che mons. Giovanni Rigamonti, arciprete del Duomo di Monza, lo definì «martire del confessionale».

Lo impegnava molto anche la predicazione: «Ebbe una spiccata, affettuosa premura per gli umili — scrisse don Gornati —. Era ricercato da superiori di modesti istituti e da parroci di piccole parrocchie. Accoglieva gli inviti, se appena gli era possibile, senza badare al lungo e disagiato viaggio da compiere o alla esiguità della popolazione che l’avrebbe ascoltato: a lui bastava che vi fossero anime alle quali fare del bene».

Luigi Fossati, a sua volta, disse: «Aveva le doti e le virtù dei sacerdoti aperti e buoni, l’affabilità, la dimestichezza, la capacità e la generosità di essere alla portata di tutti, di sentirsi bene con tutti, di tutti trattare con l’identica cordialità, di immedesimarsi in ogni questione, di avere un opportuno e adeguato consiglio per ogni contingenza. Sì che riusciva, senza debolezze ad essere dolce, senza asprezze ad essere forte, senza imposizione ad essere autorevole, senza puerilità ad essere chiaro, senza involuzione ad essere profondo».

A coronamento di questa attività sacerdotale venne la scelta di impegnarsi anche nel campo politico. Ve lo spinse non solo l’affermarsi del socialismo, ma anche l’acceso spirito anticlericale della fine del secolo XIX e dei primi decenni del XX, acuito dall’avanzare del socialismo. Don Talamoni accettò di far inserire il suo nome nelle liste civiche del Comitato Cattolico di Monza e il 9 luglio 1893 riportò 844 voti, conducendo alla vittoria tutta la sua lista: «Don Luigi vive nella sua città con occhi e cuore aperti: nulla gli sfugge, e i suoi interventi sono numerosi, tempestivi, chiari e forti. Parla di asili, di scuole, di patronato scolastico, di strade impraticabili e malsicure, con scarsa illuminazione. Difende la pubblica moralità offesa in diversi modi. Vuol vedere tutelati, secondo giustizia, gli interessi dei piccoli commercianti; difende la causa della povera gente danneggiata da certe disposizioni, mentre sono agevolati i ricchi. Chiede che il Comune favorisca la costruzione di case per gli operai, raccomanda che si migliorino le condizioni del carcere, che si faciliti la somministrazione delle medicine ai poveri. Interviene a favore dell’insegnamento religioso nelle scuole. [...] Segno del suo zelo fu la grande considerazione che ebbero per lui anche gli avversari».

Questo impegno in Comune si concluse nel 1923: la lista dei Popolari vinse il 21 gennaio 1923, ma le violenze dei fascisti costrinsero alle dimissioni il Consiglio comunale dopo soli sette mesi.

È nell’humus dello zelo pastorale sin qui descritto che poté nascere la Congregazione delle Suore Misericordine, il «tesoro prezioso», la «perla di grande valore» di mons. Luigi Talamoni.

Don Luigi, proprio nel confessionale del Duomo di Monza, aveva incontrato la signora Maria Biffi, una donna devota, che aveva perso un figlio in tenera età, mentre l’altro era entrato tra i Barnabiti, e che aveva accompagnato con dedizione la lunga malattia del marito, il quale morì nel 1879. Da allora ella si dedicò, sotto la guida del suo confessore, all’assistenza degli ammalati poveri, intuendo sempre meglio la volontà di Dio. L’8 marzo 1883, scrisse a don Talamoni: «Mi par proprio che il buon Dio voglia qualche cosa da noi, a vantaggio dei suoi poverelli infermi. Come, quando, in che modo, non so; ma qualche cosa vuole sicuramente». E in occasione della festa di san Luigi nel 1888 di nuovo gli scriveva: «Io la considero come l’inviato del Signore... Forse che il mio Gesù non me l’abbia dato per altro che per compiere l’opera benefica di soccorso ai suoi figli prediletti, i poveri ammalati? Io lo sento sì vivo in cuore, che non ne posso dubitare. Ed ella, che si dedica collo slancio più ardente dell’anima, oh di quanti meriti si fa ricca la sua vita, che bel premio si prepara, pel paradiso! S’arresti davanti a tanto bene la lusinga di una carriera luminosa, di un posto attraente. Gesù, il buon Gesù, l’amico dei poveri, il consolatore degli afflitti, il medico dei malati, la chiama, la vuole al suo seguito, continuatore dell’opera sua. Avanti, mio buon Padre».

Nacque così l’Istituto delle Misericordine: il 25 marzo 1891 due ragazze, Rosa Gerson e Stella Dell’Orto, accolsero l’invito di mons. Talamoni a dedicarsi agli ammalati, andandoli a trovare nelle loro case, assistendoli soprattutto di notte, così da permettere ai loro parenti di riposare e potersi recare durante il giorno al lavoro, per sostentare le loro famiglie. In una società egoista mons. Talamoni insegnò il primato dell’altruismo; in una società del successo insegnò la santità del nascondimento; in una società delle polemiche e dei contrasti insegnò l’importanza della collaborazione e della concordia.

Questo lo spirito proposto dal Fondatore e dalla Fondatrice, Maria Biffi Levati, alle loro figlie Misericordine: «Aiutare carita-tevolmente e materialmente gli ammalati, per curare santamente e spiritualmente le loro anime e procurare la loro salvezza. Ma, cogli ammalati, giovare anche ai sani, portando nelle loro case l’amore di Gesù Cristo. Per arrivare a ciò non bisogna guardare a sacrifici, a bassezza di uffici, a privazioni, a dicerie, a disprezzi, a invidie».

Riassumendo in una frase lo spirito delle Misericordine, mons. Talamoni raccomandava loro: «Siate umili, dolci; bruciate di amore».

Egli stesso dava l’esempio, consumando la sua vita per amore: seguì con affetto e dedizione il nascente Istituto, pur rimanendo scrupolosamente fedele ai suoi doveri di insegnante in Seminario, di confessore nel Duomo e di consigliere comunale, sino alla fine, quando, dopo breve malattia, morì il 31 gennaio 1926 nel compianto generale.

Rimanendo costante la fama della sua santità di vita, anzi consolidandosi ed estendendosi nel tempo, il beato Arcivescovo di Milano, Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, nel 1952 decise di iniziare l’iter per la Causa di Canonizzazione. Toccò di fatto al suo successore, il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, poi divenuto Papa Paolo VI, svolgere il Processo Informativo (1957-1958). L’11 luglio 1992 Papa Giovanni Paolo II lo proclamò Venerabile, riconoscendo che mons. Talamoni aveva esercitato tutte le virtù cristiane in grado eroico.

Nel 2001 si svolse il Processo sul miracolo: la ripresa inspiegabile, dal punto di vista medico, di Pasquale Carenini, colpito da infarto devastante ed ormai prossimo alla morte. Il 12 aprile 2003 il Papa riconobbe il miracolo e decretò che mons. Luigi Talamoni fosse beatificato.

Omelia di Giovanni Paolo II (21 marzo 2004)

  

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