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Nessuna condanna, nessuna sanzione

 

L'Unione africana
si astiene su Mugabe

 
 
di Antonio Chilà

 

L'Unione africana ha deciso di non decidere all'undicesimo vertice svoltosi a Sharm el Sheikh. Sull'argomento più importante per il futuro dell'Africa australe, il caso Zimbabwe, è stata adottata una risoluzione, a dir poco, sorprendente. Nessuna condanna, nessuna sanzione contro Robert Mugabe, primo uomo politico africano ad autoeleggersi presidente con un ballottaggio farsa. Il vecchio "compagno Bob" - così lo chiamavano i suoi amici che oggi, invece, lo definiscono magaba che, in lingua shona, significa "uomo crudele" - non solo non ha ceduto il potere ma ha usato tutti i mezzi per disfarsi degli oppositori.

L'Unione ha proposto la formazione di un Governo di unità nazionale per risolvere la crisi dello Zimbabwe. Il leader dell'opposizione, Morgan Tsvangirai, ha respinto la proposta e si detto disponibile a un negoziato che garantisca un periodo di transizione prima d'indire nuove elezioni. Nel primo turno elettorale, tenutosi il 29 marzo, il partito di Tsvangirai, il Movimento per il cambiamento democratico, aveva ottenuto la maggioranza e il cinquanta per cento dei voti che gli avrebbe  permesso  di  essere  eletto subito.
In seno all'Unione africana si evidenzia sempre più una divisione, soprattutto tra i membri della Southern Africa development community. Da un lato vi sono gli amici di Mugabe, come i presidenti del Sud Africa e del Gabon; dall'altro, vi sono i fautori di una linea dura, come il Botswana e lo Zambia.
A complicare la crisi nell'area geopolitica australe interviene il Botswana che ha deciso di schierare le truppe lungo la frontiera per fermare un eventuale attacco militare causato dai disordini politici e dalle tensioni che scuotono lo Zimbabwe.
Sembra che al vertice dei capi di Stato e di Governo sia mancata la visione esatta della situazione politica in Africa australe. L'Angola, un tempo alleata di Mugabe, sembra ora guardare con interesse all'opposizione. Il Mozambico si mantiene neutrale:  ha usufruito, in campo economico, dell'arrivo dei coloni bianchi, scacciati dai provvidenti di Mugabe. La Tanzania non condivide per nulla le ultime decisioni di Harare. La Namibia, pur non rinnegando la vecchia amicizia con l'anziano presidente al suo sesto mandato consecutivo, sembra favorevole a un cambiamento di Governo. Ma al vertice di Sharm el Sheikh è anche mancata, o forse è stata volutamente ignorata, la tragica situazione economica della popolazione. L'inflazione, secondo stime ufficiali, ha raggiunto cifre impensabili:  il centosessantacinquemila per cento all'anno; mentre le agenzie delle Nazioni Unite sostengono che da anni lo Zimbabwe vive una crisi umanitaria mai prima riscontrata. La speranza di vita per i maschi - nel 1990 toccava i sessanta anni - è scesa a trentasette anni e a trentaquattro per le donne, la più bassa del mondo. La mortalità infantile è assestata all'ottantuno per mille e circa due milioni di persone hanno l'aids.
Non sorprendono più le risoluzioni dell'Unione africana. Tutto è possibile quando si pensa che ancora oggi un popolo, quello del Sahara Occidentale, che, pur avendo un seggio in seno all'Unione, vive sotto la dominazione del Marocco; e che milioni di persone sono costrette ad abbandonare la loro terra per guerre, guerriglie, fame, carestia, siccità e persecuzioni religiose.

 

(© L'Osservatore Romano 6 luglio 2008)