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Diplomazie al lavoro dopo la guerra tra Russia e Georgia

Una via di uscita
dalla crisi nel Caucaso
 

di Giuseppe M. Petrone

I carri armati russi per le strade del territorio georgiano devastato dai bombardamenti ricordano momenti bui e dolorosi del Novecento. A causa della guerra fra Russia e Georgia, la Borsa di Mosca ha fatto segnare indici in ribasso e una battuta d'arresto per le quotazioni del rublo; oltre a una forte tensione internazionale il conflitto rischia di riproporre una superata guerra fredda e di allargarsi in un'area instabile come il Caucaso.
Il crollo del comunismo e l'insorgere di ostilità di natura etnica hanno gettato scompiglio nelle frange meridionali dell'ex Unione Sovietica, soprattutto nel Caucaso - noto come la montagna delle lingue - dove oltre un milione e mezzo di persone è stata costretta a fuggire dalla propria residenza agli inizi degli anni Novanta in Georgia, Armenia e Azerbaigian.
Troviamo oggi nel Caucaso popolazioni che parlano antichissime lingue, affini al basco della Spagna settentrionale:  residui le une e l'altro, forse, di un insieme di lingue parlate su una vasta area prima dell'espansione vittoriosa delle lingue indoeuropee. Parlano lingue caucasiche, fra gli altri, i georgiani, i ceceni, gli ingusci, i circassi, gli abkhazi. Troviamo poi altre popolazioni che parlano lingue indoeuropee del ceppo iranico, come gli armeni o come gli osseti, probabili eredi degli antichi sciti, sarmati, alani. E infine, altre popolazioni parlano lingue del ceppo turco:  tra essi gli azeri, i cumucchi del Daghestan, i caraciai. Il Caucaso, dunque, è un mosaico, un puzzle. Le ragioni principali sono due:  la sua configurazione montuosa che favorisce l'isolamento e il fatto che fin dai tempi più remoti è stato luogo di incontro e di scontro.
Negli ultimi anni il Cremlino ha dovuto subire le pacifiche rivoluzioni colorate - in Georgia, quella delle rose rosse; in Ucraina, quella arancione; e in Kyrgyzstan, quella dei tulipani - che hanno estromesso dal potere i leader filorussi con esponenti filooccidentali poi confermati nelle successive elezioni democratiche. In particolare il presidente georgiano non ha mai tradito la vocazione filoatlantica in politica estera. Saakashvili - che nel 2003 aveva costretto il presidente Eduard Shevardnadze, il vecchio leader di formazione sovietica (era stato ministro degli Esteri all'epoca di Gorbaciov) a gettare la spugna - ha tenuto con Washington un rapporto privilegiato che gli è costato le ire di Mosca, sfidata in quello che considera il suo "giardino di casa" per l'auspicio del giovane presidente di vedere la Georgia nell'Unione europea e soprattutto nella Nato. Ma, nonostante il sostegno degli Stati Uniti, nel vertice di primavera di Bucarest della Nato, gli alleati hanno rinviato la concessione del Map (Membership action plan) a Georgia e Ucraina.
Gli Stati Uniti non escludono sanzioni nei confronti della Russia e, come ha ribadito il vice presidente Dick Cheney a Tbilisi, sostengono "l'integrità, la sovranità e l'indipendenza della Georgia". Noi - ha detto Cheney, alludendo anche alle risorse energetiche del Cacauso - siamo profondamente interessati alla sicurezza della regione". Inoltre, il presidente George W. Bush ha annunciato lo stanziamento di un miliardo di dollari a favore degli interventi di ricostruzione in Georgia. La crisi nel Caucaso potrebbe avere ripercussioni anche sulla campagna elettorale per le presidenziali statunitensi:  il repubblicano John McCain non risparmia accuse alla Russia e vuole la Georgia nella Nato; il candidato democratico Barack Obama preferisce la diplomazia.
L'Europa, invece, nel corso del vertice straordinario di Bruxelles, ha scelto unitariamente una linea moderata. Pur condannando il riconoscimento di Mosca - avvenuto il 26 agosto - delle regioni secessioniste georgiane dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud e rinviando a data da destinarsi il negoziato per il rinnovo del trattato di cooperazione strategica, non ha varato sanzioni o chiuso la porta a Mosca, ribadendo anzi la necessità di non isolarla. Sarà Nicolas Sarkozy, il presidente di turno dell'Ue - accompagnato dal presidente della Commissione Ue, José Manuel Durão Barroso, e dall'Alto responsabile per la politica estera e di sicurezza comune dell'Ue, Javier Solana - a verificare lunedì 8 settembre in una missione a Mosca il rispetto degli impegni del piano di pace in sei punti da parte del premier, Vladimir Putin, e del presidente, Dmitri Medvedev.
Anche il Gruppo di Shanghai - oltre alla Russia, Cina Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tadjikistan e Uzbekistan - pur appoggiando "il ruolo attivo di Mosca nel mantenimento della pace e della cooperazione nella regione" è restato freddo sull'invasione in Georgia. In particolare il ministero degli Esteri cinese ha asupicato che Russia e Georgia possano risolvere il loro conflitto attraverso il dialogo, rifiutandosi così di schierarsi da una delle due parti. Soltanto il Nicaragua - come ha annunciato il presidente Daniel Ortega, già leader sandinista - ha riconosciuto l'indipendenza delle regione separatiste georgiane dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, sostendendo completamente "la posizione del Governo russo".
Il conflitto tra Georgia e Russia può e deve essere risolto attraverso il negoziato. È nell'interesse di Mosca e di Tbilisi, ma anche della Comunità internazionale, trovare una soluzione definitiva alla crisi caucasica e permettere alle popolazioni di queste regioni di ricostruire le proprie vite in un clima di pace e di stabilità.

(© L'Osservatore Romano 6 settembre 2008)