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Il Patriarca Bartolomeo al Sinodo dei Vescovi

Un momento
di grazia


di Eleuterio F. Fortino
Sotto-segretario del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell'Unità dei Cristiani


Un momento di grazia, vissuto nella gioia comune. Nella straordinaria cornice della Cappella Sistina il Patriarca ecumenico Bartolomeo i ha parlato - per la prima volta nella storia - al Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica. E lo ha fatto inserendosi in medias res, con impegno dottrinale e con sentimenti di comunione fraterna ed ecclesiale.
Lo stesso Benedetto XVI ha definito l'evento come "espressione di una profonda gioia spirituale e di una esperienza viva della nostra comunione". Mettendolo poi in rapporto diretto con il significato del termine greco syn-odòs ("cammino insieme"):  "In questo momento - ha sottolineato - abbiamo realmente vissuto il "sinodo", siamo stati insieme nel cammino nella terra della Parola divina". Il lungo e caloroso applauso dei padri sinodali presenti è stato un segno non formale di apprezzamento per la presenza del Patriarca - personalmente invitato dal Pontefice - e per la sua parola robusta e fervente, espressa nel contesto della preghiera vespertina.
La circostanza ha dato modo a Bartolomeo di sottolineare la fondamentale importanza ecclesiologica che la Chiesa ortodossa attribuisce al sistema sinodale. Tema cruciale sul quale è in corso un positivo lavoro nell'ambito del dialogo teologico cattolico-ortodosso. "Insieme con il primato - ha riconosciuto - la sinodalità costituisce la spina dorsale del governo e dell'organizzazione della Chiesa". E ha aggiunto:  "Tale interdipendenza fra sinodalità e primato percorre tutti i livelli della vita della Chiesa:  locale, regionale e universale. Avendo, pertanto, oggi il privilegio di rivolgerci al vostro Sinodo, aumentano le nostre speranze che arriverà il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della sinodalità nella vita della Chiesa".
Riferendosi poi espressamente al Sinodo dei vescovi in corso, il Patriarca si è inserito in esso come direttamente coinvolto. Perché - ha spiegato - il tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa" è valido e impellente "per tutti quelli che sono chiamati a dare testimonianza di Cristo nel nostro tempo". Ciò significa che esso coinvolge ogni singola persona e tutte le comunità cristiane:  "La missione e l'evangelizzazione restano un obbligo permanente della Chiesa in tutti i tempi e in ogni luogo".
Deriva da ciò l'esigenza imprescindibile della ricomposizione della piena comunione tra i cristiani per una evangelizzazione feconda e coerente. A essa ha fatto riferimento Bartolomeo, ricordando che Gesù Cristo stesso (Giovanni, 17, 21) ha messo in chiaro "che l'unità della Chiesa è inscindibilmente correlata con la missione". Il Patriarca ha perciò giudicato "quanto mai appropriata" l'iniziativa della Chiesa cattolica di invitare al Sinodo delegati fraterni delle altre Chiese e comunità ecclesiali, perché così - ha spiegato - "tutti diventiamo coscienti del nostro comune dovere dell'evangelizzazione, come pure delle difficoltà e dei problemi della sua realizzazione nel mondo odierno".
L'ampia e argomentata riflessione del Patriarca ha offerto un excursus sui modi in cui la tradizione ortodossa accoglie, commenta, vive e divulga la Parola di Dio. Lo ha fatto attraverso incisivi riferimenti patristici e con puntuali applicazioni alla odierna realtà sociale, culturale e religiosa. Evidenziando soprattutto il ruolo della Parola di Dio nel culto, nella teologia, nella vita spirituale, nella pastorale.
L'intervento di Bartolomeo, svolto sulla base di una solida impostazione che ha collegato dottrina e vita, si è articolato in particolare su tre verbi - udire, vedere, toccare - applicati alla Parola.
Poiché la comunicazione di Dio agli uomini avviene per mezzo della Parola - ha ricordato il Patriarca - il primo atteggiamento dell'uomo dev'essere l'ascolto. Per favorire l'accoglienza del dono e la possibilità stessa di riceverlo, è Dio stesso che si abbassa per farsi sentire, ascoltare, comprendere, accettare. Lo spiega san Giovanni Crisostomo, al quale Bartolomeo ha fatto riferimento per evidenziare che "la Parola divina manifesta profonda condiscendenza (synkatàbasis) per la diversità personale e per i contesti culturali di quanti l'ascoltano e la ricevono. L'adattamento della Parola divina alla specifica disponibilità personale e al contesto culturale particolare definisce la dimensione missionaria della Chiesa, chiamata a trasformare il mondo attraverso la Parola".
D'altronde, la Parola di Dio non si trova soltanto scritta, ma anche incarnata nella creazione. Tanto che il salmo canta:  "I cieli narrano la gloria di Dio". Specifica evidenza assume, in questa prospettiva, il discorso sul rispetto e la salvaguardia del creato, particolarmente caro al Patriarca. La Parola di Dio è anche presente nella tradizione iconografica, resa possibile dall'evento dell'incarnazione, come ha proclamato il concilio ecumenico Niceno ii (787). Poiché la Parola si è fatta carne, è possibile rappresentare il volto di Cristo.
Luogo del tutto particolare della presenza della Parola di Dio sono poi i sacramenti, specialmente l'Eucaristia. Alla quale l'intervento del Patriarca ha dedicato parole dense di significato. "Nella santa Eucaristia - ha detto - la Parola ascoltata è al tempo stesso veduta e condivisa (koinonìa)". Ne consegue un autentico processo di assimilazione a Cristo e di divinizzazione dell'uomo:  "L'indicibile svuotamento di sé (kènosis) e la generosa condivisione (koinonìa) del Logos divino sono riflessi nelle vite dei santi quale esperienza tangibile ed espressione umana della Parola di Dio nella nostra comunità".
Del resto, la Parola di Dio non è collocabile in luoghi circoscritti. Essa coinvolge tutto l'uomo e il kòsmos intero. Per questo il Patriarca ha richiamato in conclusione la grande sfida che oggi attende tutti i cristiani. Quella, cioè, del "discernimento della Parola di Dio nei confronti del male, la trasfigurazione di ogni più piccolo dettaglio e frammento di questo mondo alla luce della resurrezione".

 

(© L'Osservatore Romano 22 ottobre 2008)