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La notte del pogrom


di Anna Foa

Mentre le sinagoghe di tutto il mondo, nella notte fra il 9 e il 10 novembre, hanno tenuto accese le loro luci in ricordo della "notte dei cristalli" di settant'anni fa, quando si spensero quelle delle sinagoghe tedesche, Benedetto XVI ha pronunciato all'Angelus alte parole di condanna dell'antisemitismo, ricordando quella notte in cui ebbe inizio il cammino che avrebbe portato in linea diretta allo sterminio. "Furono attaccati e distrutti negozi, uffici, abitazioni e sinagoghe, furono anche uccise numerose persone, dando inizio alla sistematica e violenta persecuzione degli ebrei  tedeschi,  che  si  concluse  nella Shoah", ha detto il Pontefice, con parole che sembrano dar voce a immagini conservate dentro il cuore.
E infatti subito dopo il Papa fa un richiamo non al semplice sdegno o alla riprovazione, ma al "dolore", un dolore soggettivo, personalmente provato, che deve servire a impedire che fatti del genere si ripetano, a lottare contro ogni forma di antisemitismo e di discriminazione. Sono parole forti, che cadono in un momento in cui, se riemergono divergenze fra parti del mondo ebraico e la Chiesa sulla questione della beatificazione di Pio xii, nell'incontro ebraico-cattolico di Budapest il dialogo si fa più stretto e vengono proposte strategie comuni di lotta contro l'antisemitismo.
Le parole pronunciate da Benedetto XVI all'Angelus rappresentano un impegno non formale nei confronti dell'antisemitismo e del razzismo. E importante è anche che si sia voluto dare rilievo particolare a questo anniversario della Kristallnacht, la "notte dei cristalli" dai vetri infranti delle vetrine, o Pogromnacht, "notte del pogrom", come giustamente si preferisce ora dire in Germania e come ha detto ieri Angela Merkel. Importante è ricordare le decine di ebrei assassinati, le migliaia spediti nei campi, le persecuzioni aperte, il fatto che, mentre in Italia si promulgavano le leggi razziste del fascismo, quel 9 novembre del 1938 rappresentò la svolta verso l'annientamento degli ebrei d'Europa.
In quei giorni, scarse furono le voci che si levarono in nome della religione a condannare quelle violenze, a riconoscerne la portata. Nella Germania totalitaria, tacquero le Chiese protestanti e in quel momento non levò alta la voce l'episcopato cattolico, che pure più tardi si sarebbe battuto coraggiosamente e non senza successo contro l'assassinio dei disabili. Non tacque invece l'arcivescovo di Milano, il cardinale Schuster, in un'omelia tenuta in duomo il 13 novembre e richiamata con approvazione da Pio xi davanti al Collegio dei cardinali il 24 dicembre dello stesso anno.
Oggi, le parole di Benedetto XVI - con la preghiera "per le vittime di allora" e con la "profonda solidarietà al mondo ebraico" - ripropongono con forza la svolta che la Chiesa ha ormai realizzato da molti decenni con la dichiarazione Nostra aetate e che da allora va diffondendo nell'insegnamento e nella riflessione. Ma il Papa ha detto anche altre importanti parole:  "rispetto" e "accoglienza reciproca". L'educazione che la memoria della Shoah propone ai giovani significa infatti rispetto delle altre fedi e opinioni, e accoglienza del povero e dell'oppresso, chiunque sia. E questo insegnamento, in un momento in cui appare sempre più difficile convincere all'accoglienza e al rispetto, è una parte non marginale dell'alto monito di Benedetto XVI.

 

(© L'Osservatore Romano 10-11 novembre 2008)