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La settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

La priorità
della ricerca ecumenica


di Brian Farrell
Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Malgrado alcuni segni di stanchezza e di delusione, nella Chiesa cattolica la ricerca ecumenica continua a essere punto forte di riferimento sia di pensiero che di azione. E, come è facile constatare dai numerosi incontri e discorsi a carattere ecumenico, essa è indubbiamente una priorità per Papa Benedetto XVI, proprio come lo è stata per i Papi che lo hanno preceduto, da Giovanni XXIII e dal concilio Vaticano II in poi.
L'impegno cattolico nel movimento ecumenico ha il suo fondamento nel rinnovamento ecclesiologico del concilio Vaticano II. Il Concilio infatti unisce il suo insegnamento sulla Chiesa cattolica al riconoscimento degli elementi salvifici che si trovano anche "al di fuori" di essa, nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Pertanto, coltivare le buone relazioni e dialogare con esse serve a portare alla luce il grado di comunione già esistente, cioè gli elementi dell'opera salvifica di Cristo che la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali hanno in comune. Ne risulta che il compito dell'ecumenismo è di incoraggiare i cristiani divisi a riscoprire insieme ciò che essi hanno in comune e a scoprire, reciprocamente, gli uni negli altri, i doni della grazia che appartengono alla "pienezza" di tutto ciò che il Salvatore vuole per i suoi discepoli.
Ma come sta andando concretamente la ricerca della piena comunione, infranta da tante divisioni tra i cristiani, eredità anche questa della bimillenaria storia della Chiesa?
Parlando, il 12 dicembre scorso, ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani (Pcpuc), Benedetto XVI ha chiaramente affermato elementi di progresso "nel contesto delle relazioni ecclesiali che, per grazia di Dio, si vanno estendendo e coinvolgono non solo i Pastori, ma tutte le varie componenti ed articolazioni del Popolo di Dio". In particolare, ha segnalato il miglioramento continuo nelle relazioni tra cattolici ed ortodossi:  "Ringraziamo il Signore per i significativi passi in avanti compiuti, ad esempio, nei rapporti con le Chiese ortodosse e con le antiche Chiese dell'Oriente sia per quanto concerne il dialogo teologico, sia per il consolidamento e la crescita della fraternità ecclesiale (...) È consolante poi notare come un sincero spirito di amicizia fra cattolici e ortodossi sia andato crescendo in questi anni, e si sia manifestato anche nei molteplici contatti intercorsi tra Responsabili della Curia Romana e Vescovi della Chiesa cattolica con Responsabili delle diverse Chiese ortodosse, come pure nelle visite di alti esponenti ortodossi a Roma e a Chiese particolari cattoliche".
Proprio questo progresso nel "dialogo della carità" ha permesso al "dialogo teologico" tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa di ottenere risultati notevoli, e persino inattesi, nelle ultime sessioni della sua Commissione internazionale. Altri articoli di questa serie tratteranno dello stato generalmente positivo del dialogo con l'Ortodossia e con le Antiche Chiese dell'Oriente.
Resta tuttavia un interrogativo diffuso, venato di una certa diffidenza, circa i reali risultati dei dialoghi con le Comunità ecclesiali d'Occidente. La recente plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani si è espressamente dedicata a riflettere su tale inquietudine, esaminando un documento di studio preparato da ufficiali e consultori del dicastero sotto la guida personale del cardinale presidente, documento che - nella sua traduzione dall'originale inglese - ha per titolo:  "Progetto di Raccolta:  consenso ecumenico e convergenza ecumenica su alcuni aspetti fondamentali della fede cristiana nei documenti dei primi quattro dialoghi bilaterali internazionali a cui la Chiesa cattolica ha preso parte dal concilio Vaticano II in poi".
Oltre quattro decenni di dialoghi ecumenici ufficiali a livello internazionale tra il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e le principali Comunità ecclesiali mondiali hanno prodotto una quantità imponente di studi e documenti, che testimoniano la comune ricerca della realizzazione della preghiera di Gesù "affinché tutti siano uno" (Giovanni 17, 21). In fedeltà a questa preghiera, i dialoghi hanno inteso superare le dolorose divergenze del passato e, sulla base della comune fede in Gesù Cristo, hanno cercato di appianare la strada verso una futura, "piena comunione visibile" nella verità e nell'amore. Possiamo affermare che sono stati superati molti pregiudizi ed incomprensioni del passato, sono stati gettati ponti per una nuova condivisione e collaborazione concreta e, in molti casi, sono stati raggiunti consensi e convergenze, sono state meglio identificate antiche differenze, che purtroppo perdurano.
Il "Progetto di Raccolta" è ancora uno studio in via di completamento. Nell'anno trascorso a riesaminare i documenti emanati dai dialoghi iniziati a seguito del concilio Vaticano II - con la Federazione luterana mondiale, con il Consiglio metodista mondiale, con la Comunione anglicana e con l'Alleanza mondiale delle Chiese riformate - i redattori sono stati felicemente sorpresi dal constatare la "qualità" dei risultati raggiunti in tali testi. Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani si augura che, una volta ultimato e pubblicato, lo studio potrà contribuire a rinvigorire i dialoghi stessi con l'individuazione di vie nuove per affrontare insieme le divergenze che permangono nei rapporti tra i discepoli di Cristo.
Si può dire che il "Progetto di Raccolta" mostri come, in diverse misure, siano state superate alcune delle polemiche fondamentali della Riforma e Controriforma. Oggi, per esempio, esiste una rinnovata concezione della relazione tra Scrittura e Tradizione, tema che, nel XVI secolo, fu fonte di aspre contrapposizioni tra cattolici e riformatori. Nei dialoghi presi qui in considerazione, non sarebbe più possibile porre Scrittura e Tradizione in antitesi tra loro; la Scrittura stessa è il risultato della prima tradizione apostolica, e la tradizione successiva - nella sua dimensione teologica - può essere concepita anche come storia della ricezione ed interpretazione del Vangelo, testimoniato anche dalla Bibbia. Il fatto di accogliere questo chiarimento, sia nella coscienza cattolica che tra i nostri fratelli della Riforma, è stato fonte di intenso rinnovamento spirituale e, in realtà, ha condotto i singoli e le comunità ad un elevato grado di spiritualità biblica condivisa.
Rimangono, senz'altro, dei seri interrogativi tra cattolici e protestanti, da non trascurare nei dialoghi ecumenici futuri:  cosa significa effettivamente il primato della Scrittura all'interno della Tradizione? Se ed in quale senso interpretazioni vincolanti della Scrittura sono contenute nella Tradizione? A chi spetta l'ultima parola sull'interpretazione vincolante del comune patrimonio apostolico? Sul tema di un "magistero autorevole" esistono differenze irrisolte tra le Chiese, ciò che troppo spesso non le mette in grado di parlare con una sola voce.
Il "Progetto di Raccolta" dimostra che vi è stato un progresso nei dialoghi anche sulla questione che è al centro della rivelazione biblica:  la giustificazione dell'uomo peccatore. Nel periodo della Riforma, l'interpretazione della giustificazione data dai riformatori - cioè, la dottrina sul modo secondo il quale l'uomo è effettivamente salvato dalla sua condizione di peccatore - ha sollevato problemi fondamentali da parte cattolica, e ha dato luogo ad aspre controversie e condanne - ad esempio da parte del Concilio di Trento, in particolare nel suo Decreto sulla Giustificazione.
La "Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione" firmata da luterani e cattolici nel 1999, è uno dei più importanti risultati ecumenici degli ultimi decenni. Al consenso raggiunto hanno successivamente aderito i metodisti, arricchendo l'accordo grazie ad una ancora più accentuata sottolineatura del nesso tra giustificazione e santificazione. Con questo consenso si è giunti nuovamente a vedere che l'affermazione della sola gratia e sola fide non deve essere considerata contraddittoria rispetto all'affermazione che, per mezzo della grazia, siamo resi capaci di portare buoni frutti tramite le opere di giustizia, di misericordia e di carità operativa.
Dalle preoccupazioni dei riformatori circa la giustificazione e la sovranità di Dio nel concedere la salvezza è derivata poi una serie di domande sulla Chiesa stessa, sulla sua natura e il suo compito. Già la disputa di Lutero del 1517 riguardante le indulgenze, comportava una sfida all'autorità del Papa e dei Concili, sfida sfociata nel concetto della Chiesa quale "congregazione di fedeli" (communio sanctorum) esistente là dove la Parola di Dio è correttamente predicata e i sacramenti opportunamente amministrati secondo il Vangelo. La Riforma poneva così le basi per una concezione della Chiesa quale comunità spirituale, non più essenzialmente sacramentaria e gerarchica. Da qui cattolici e protestanti sono profondamente divisi nella loro concezione della realtà della Chiesa, tra una visione allo stesso tempo spirituale e istituzionale, e una visione della Chiesa più "evento spirituale" che organismo. Eppure, trattando queste ed altre controversie, i dialoghi ecumenici sono stati in grado di individuare molteplici elementi di convergenza circa le radici trinitarie della Chiesa e la sua natura di koinonia-communio, ciò che ha portato a delle convergenze anche nella riflessione sui ministeri ecclesiali, e persino a una nuova ed importante apertura a ripensare quella questione da lunga data conflittuale che è il ministero petrino.
Sebbene nessuna di queste questioni sia stata risolta nel senso di un pieno consenso, e persino nuove difficoltà si sono presentate sull'orizzonte, il "Progetto di Raccolta" ci conferma che i dialoghi ecumenici presi in considerazione, pur seguendo ciascuno un proprio cammino, siano tutti giunti a interrogarsi su questi temi in profondità. Le convergenze raggiunte hanno corroborato e approfondito il senso della reale, anche se incompleta, comunione esistente sulla base dell'unico battesimo e di tanti altri elementi di fede e di vita cristiana preservati dall'originaria tradizione. Per concludere, possiamo dire che, sia nel vasto campo delle relazioni interecclesiali, sia in quaranta anni di dialogo ecumenico, qualcosa di prezioso e importante è stato raggiunto. L'ecumenismo è un dono di Dio alla cristianità, una grazia che consente di sperare che i cristiani, anche se ancora divisi, riusciranno meglio ad affrontare insieme le grandi sfide che sono già alle porte e sono uguali per tutti. I dialoghi non possono, di per sé, garantire la realizzazione dell'obiettivo finale del movimento ecumenico, e cioè l'unità nell'eucaristia come segno di comunione totale. Tuttavia, il "Progetto di Raccolta" attesta che quanto acquisito finora costituisce una base solida e un incentivo a realizzare ciò che è la volontà del Signore e la profonda aspirazione di tanti cristiani. Come ebbe a scrivere il cardinale Kasper:  "In tal modo i nostri dialoghi ecumenici, arricchiti da ciò che abbiamo raggiunto con l'aiuto di Dio negli ultimi decenni, entreranno in una nuova e, c'è da sperare, fruttuosa fase futura, forse meno entusiasta, ma sicuramente più sobria, e proprio per questo piena di speranza e colma della dynamis dello Spirito".

 

(© L'Osservatore Romano 18 gennaio 2009)