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11 febbraio

 

Ottant'anni:  uno spazio di tempo non breve, la vita di una generazione. Eppure, quello decorso dall'11 febbraio 1929, è un arco di tempo che si percepisce assai più lungo rispetto al metro della storia. E ciò in ragione dei rivolgimenti e delle profonde trasformazioni che hanno condotto all'odierna realtà di un pianeta globalizzato.
A guardare con gli occhi di poi si deve riconoscere che la situazione apertasi il 20 settembre 1870, con la presa di Roma da parte italiana e la fine dello Stato Pontificio, non era di facile soluzione. E ciò non solo per l'incombere della storia, che sempre pesa sull'agire degli uomini, ma anche per l'intrinseca complessità del nodo che si veniva ponendo e che avrebbe dovuto essere sciolto. Da un lato le legittime aspirazioni della nazione italiana a raggiungere finalmente la propria unità statale, ponendo tra l'altro a capitale quella Roma che da millenni è riferimento nel mondo; dall'altro le altrettanto legittime esigenze della Santa Sede di vedere formalmente e sostanzialmente garantite, nella nuova situazione creatasi, quell'indipendenza e quella libertà che sono assolutamente necessarie al Pontefice per lo svolgimento, a livello universale, della sua missione spirituale.
Si trattava di un nodo complesso anche per l'intrinseca connessione di due dimensioni, che a prima vista parrebbero inconciliabili:  quella nazionale e quella internazionale. Giacché se la garanzia del libero esercizio del munus Petrinum è problema eminentemente italiano, trovandosi a Roma la sede del successore di Pietro; d'altra parte l'effettiva fruizione di quella libertà è, per intuibili ragioni, interesse dell'intera comunità internazionale. Quella comunità internazionale nella quale la Santa Sede è autorità morale riconosciuta ed ascoltata.
Ad ogni modo, il periodo trascorso dall'ormai lontano giorno in cui furono firmati i Patti lateranensi è più che significativo per attestare la bontà della soluzione allora adottata, come pure per evidenziare la vitalità dei contenuti degli Accordi nel divenire della storia. È un collaudo passato positivamente attraverso vagli diversi:  gli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II, i mutamenti istituzionali e politici verificatisi in Italia, lo stesso progressivo divenire del mondo un villaggio globale. È un collaudo che riguarda l'uno e l'altro degli atti che integrano i Patti lateranensi:  il Trattato, destinato appunto a garantire l'indipendenza della Santa Sede anche attraverso la ricostituzione di una sia pur esigua sovranità territoriale, lo Stato della Città del Vaticano; il Concordato, considerato dagli Accordi quale un "necessario completamento" del Trattato, diretto a disciplinare la vita della Chiesa che è in Italia.
Dunque dal punto di vista politico-giuridico va riconosciuto all'Italia di aver avuto la capacità di sciogliere quel nodo positivamente, con uno strumento internazionale ma per volontà nazionale; una volontà confermata e consacrata poi dal richiamo dei Patti lateranensi nella Costituzione repubblicana, deliberato a larghissima maggioranza. Da parte sua la Santa Sede aveva continuato ad auspicare una soluzione tutta italiana della "Questione romana", rifiutando sempre ogni diversa possibilità.
Dal punto di vista sostanziale, poi, gli Accordi, non solo così come scritti ma anche come viventi nelle relazioni sviluppatesi col tempo tra le due rive del Tevere, hanno dato vita ad un modello di laicità positiva:  una laicità che non confonde ma distingue, che non combatte ma apprezza, che non ignora ma collabora.
In effetti nelle varie stagioni che l'Italia ha conosciuto si è sviluppata, con un crescendo nel tempo, una fattiva collaborazione nel rispetto dei diversi ordini. Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica italiana on. Giorgio Napolitano rivolgendosi a Benedetto XVI nel corso della visita in Quirinale il 4 ottobre 2008 quando, dopo aver affermato che "un'operosa convergenza di sforzi per il bene comune" non offusca la distinzione tra religione e politica, si è riferito proprio al concreto dell'esperienza italiana. Sicché, come ha rilevato, "conforta la convinzione - da tempo affermatasi in Italia - che il senso della laicità dello Stato, quale si coglie anche nel dettato della nostra Costituzione, abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, implica non solo rispetto della ricerca che muove l'universo dei credenti e ciascuno di essi, ma dialogo".
Nella medesima occasione il Papa ha potuto dare atto che "il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale".
Dunque una laicità, quella maturata in Italia, che supera le polisemie e le ambiguità di cui il termine "laico" s'è caricato nel divenire della storia, e che si sostanzia in un'esperienza fattiva, quotidiana, a diversi livelli, di collaborazione leale, senza sovrapposizione o confusione di ruoli e nel rispetto delle differenti spettanze. Un'esperienza di collaborazione "per la promozione dell'uomo e il bene del Paese", che è sottesa ai Patti del 1929 ed all'articolo 7 della Costituzione italiana, ed esplicitamente menzionata nel primo articolo del Concordato revisionato, ormai venticinque anni or sono, con l'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984.
La collaborazione non è un obbiettivo che si raggiunge una volta per tutte; è un programma chiamato a svolgersi nel tempo, con continuità ma pure con quella mutevolezza di contenuti concreti che è, necessariamente, determinata dal volgere delle stagioni e dal mutare delle esigenze. Ed in effetti, rispetto al passato, alcune questioni richiamano oggi particolarmente l'attenzione:  l'emergenza educativa, la condizione degli anziani, le immigrazioni, la disoccupazione, le nuove povertà, la caduta dell'etica nell'economia e nella vita pubblica. In questi ambiti si avverte l'urgenza di una sana cooperatio secondo gli insegnamenti del Vaticano II, nel rispetto della diversità di titolo, di responsabilità e di compiti.
Gli strumenti giuridici che regolano le relazioni tra Stato e Chiesa in Italia possono, ancora e di nuovo, contribuire fruttuosamente a tal fine.

 

(© L'Osservatore Romano 11 febbraio 2009)