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Incognite nella strategia americana in Medio Oriente

Gli Stati Uniti, Teheran
e il rebus israeliano


di Luca M. Possati

Barack Obama guarda verso Teheran. Il presidente degli Stati Uniti sa bene che il rapporto con l'Iran costituisce uno dei più importanti banchi di prova della sua strategia diplomatico-negoziale, perché dalla ridefinizione delle relazioni con la Repubblica islamica dipende, in buona parte, la stabilizzazione dell'area. Ma di questo è ben consapevole anche il premier israeliano incaricato, Benjamin Netanyahu, alle prese con il rebus della coalizione governativa, costretto a scegliere tra l'ipotesi di un accordo con i centristi del Kadima e i laburisti dell'Avoda, o quella di un Esecutivo di estrema destra.
Obama ha già proposto una sostanziale novità di metodo:  l'interruzione del programma iraniano di arricchimento dell'uranio non deve costituire la precondizione del negoziato - come pensava la precedente Amministrazione - ma il suo obiettivo finale. Pur ribadendo la "tolleranza zero" di Bush - l'opzione militare resta sul tavolo - il nuovo inquilino della Casa Bianca ha prospettato chiaramente la possibilità che Washington rompa il tabù dell'incomunicabilità e apra a trattative dirette con Teheran precedute da "meticolosa preparazione", dicendosi più volte disponibile a incontrare personalmente il presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Non è stato certo per un caso fortuito che due delegazioni del Congresso si siano recate la scorsa settimana in Siria, Paese che gode di speciali rapporti di collaborazione con l'Iran. In un incontro con il capo della Commissione Affari esteri del Senato, John Kerry, e con il capo della Commissione Affari esteri della Camera, Howard Berman, il presidente siriano Bachar Al Assad ha esortato Washington a "non dettare le proprie condizioni" ribadendo che "il dialogo è la sola via per risolvere i problemi".
Restano tuttavia incognite pesanti a riguardo. Il nucleare, anzitutto:  in un rapporto che dovrà essere discusso dal Consiglio di sicurezza a marzo - che dunque ancora non è stato presentato ufficialmente - gli ispettori dell'Aiea (l'Agenzia internazionale per l'energia atomica) hanno annunciato il ritrovamento di tracce di uranio e grafite in alcuni campioni di materiale prelevati ad Al Kibar, il sito nella Siria orientale oggetto nel settembre 2007 di un bombardamento da parte dell'aviazione israeliana - mai confermato dallo Stato ebraico - e dove si ritiene che fosse stato allestito un reattore nucleare clandestino. Damasco, inoltre, è la base dell'Ufficio politico di Hamas - da qui manda le sue direttive il leader del movimento Kaled Meshaal - e intrattiene strette relazioni di collaborazione con l'Hezbollah libanese.
Ma la strada di Obama verso Teheran non passa soltanto per la Siria. Possono giocare un ruolo anche fattori di convergenza strategica. Secondo l'Ambasciatore britannico alle Nazioni Unite, John Sawers, l'Iran avrebbe proposto, nel corso di colloqui segreti, un arresto degli attacchi contro le truppe britanniche dislocate in Iraq in cambio del venir meno delle obiezioni occidentali al proseguimento del suo programma nucleare. In sostanza, "gli iraniani volevano fare un accordo in base al quale avrebbero smesso di uccidere i nostri soldati in Iraq per poter continuare indisturbati il loro programma nucleare", ha spiegato Sawers, precisando che l'offerta sarebbe stata respinta dal Governo britannico. Inoltre, fonti diplomatiche statunitensi citate dalla France Presse hanno reso noto nei giorni scorsi che più volte gli iraniani avrebbero aiutato gli Stati Uniti a individuare gli obiettivi da colpire durante il conflitto contro i talebani in Afghanistan.
Come riferisce un recente rapporto promosso da Dennis Ross, uno dei più influenti collaboratori del presidente Obama per il Medio Oriente, lo Stato ebraico vive la prospettiva di un Iran nucleare come "una radicale minaccia esistenziale" e non crede che con la Repubblica islamica "possa funzionare una strategia basata sulla deterrenza nucleare come quella che ci fu tra Stati Uniti e Urss". Inoltre - sottolinea il rapporto Ross - dopo la vicenda irachena è largamente diffusa in Israele la convinzione che l'influenza americana nell'area sia in declino e che dunque - come ha dimostrato l'operazione "Piombo Fuso" a Gaza - l'opzione militare unilaterale sia l'unica strada percorribile.
Secondo il quotidiano britannico "Daily Telegraph", una guerra nascosta è già in atto:  ci sarebbe il Mossad dietro la morte di Ardeshire Hassanbopour, un eminente scienziato nucleare della centrale iraniana di Isfahan deceduto nella sua abitazione nel 2007 per un asserito avvelenamento da gas. Citando come fonti un ex agente della Cia e vari esperti europei di intelligence, il "Daily" afferma che la guerra nascosta imperniata sul sabotaggio sarebbe stata decisa da Israele in alternativa all'intervento militare diretto, "un'opzione giudicata troppo rischiosa in un Medio Oriente sempre più instabile". Con l'avvento della nuova Amministrazione statunitense la situazione è cambiata:  l'approccio conciliante verso Teheran sarebbe motivo di inquietudine tra i dirigenti dello Stato ebraico e gli oo7 del Mossad avrebbero deciso di stringere i tempi con nuove operazioni segrete più incisive volte non solo al sabotaggio, ma anche all'eliminazione di figure chiave del programma.
Di fronte alla minaccia nucleare iraniana - più volte evocata da Netanyahu durante la campagna elettorale e, recentemente, nel discorso di accettazione dell'incarico di formare il nuovo Esecutivo - Israele potrebbe dunque essere indotto ad agire da solo. Molto dipenderà dalla fisionomia del prossimo Governo. Per questo, tra i collaboratori di Obama si è affermata l'idea di rilanciare, oltre alla partnership con lo Stato ebraico, anche un vero e proprio coordinamento strategico per le iniziative nella regione. E in questo senso va letta la prossima visita del segretario di Stato, Hillary Clinton, nella regione. La prima del suo mandato.

 

(© L'Osservatore Romano 26 febbraio 2009)