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Fra debolezza del Governo e tensioni con l'India

Il Pakistan
e il ricatto del terrorismo


di Gabriele Nicolò

La situazione in Pakistan, a meno di un anno dall'insediamento del Governo democratico, non è ancora del tutto sotto controllo. Ne è prova l'attacco terroristico di martedì 3 a Lahore contro la nazionale di cricket dello Sri Lanka. I terroristi stanno cercando di creare il vuoto attorno all'Esecutivo, che arranca nel tentativo di dare all'intero territorio sufficiente sicurezza e stabilità, anche in una chiave regionale.
All'indomani della deposizione di Pervez Musharraf si era sottolineato da più parti che per il Pakistan si sarebbe aperta una nuova pagina della sua storia:  meno centralismo nella gestione degli affari interni, più dialogo tra le parti politiche, meno ambiguità in politica estera. Nel fare queste valutazioni poca attenzione è stata data alla minaccia terroristica.
Il presidente Zardari ha recentemente dichiarato che il Pakistan non negozierà con i talebani e con i terroristi in generale, né ora né in futuro:  in questa sfida, ha aggiunto, è vietato perdere.
"Se noi falliamo, è il mondo stesso che fallisce" ha ammonito. Eppure - rilevano gli analisti - sia Zardari, sia il primo ministro Gilani, lungi dal controllare i terroristi come promesso, hanno concesso loro anche troppo, soprattutto ai talebani attivi nel nordovest, tra i quali si annidano molti uomini di Al Qaeda. Si tratta delle zone tribali di etnia pashtun (la stessa dei talebani afghani), dove il controllo dello Stato è praticamente nullo.
E pochi giorni fa si è registrata una sorta di resa da parte dell'autorità pakistana, che ha negoziato con i talebani della turbolenta valle dello Swat l'imposizione della sharia in cambio di un cessate il fuoco, peraltro subito violato:  due soldati sono morti in seguito a un attentato dinamitardo. Evidentemente non erano fuori luogo le preoccupazioni della comunità internazionale in merito al compromesso fra autorità pakistane e talebani delle regioni tribali.
A rendere la situazione più complessa concorre l'intensificarsi degli attacchi statunitensi, soprattutto con i droni, nella zona di frontiera con l'Afghanistan, alla ricerca dei capi militari talebani. Il Pakistan ha più volte criticato questi attacchi perché provocano la morte di civili:  ma è anche vero che al momento questi raid sembrano costituire l'unico modo per contrastare i talebani.
Riguardo all'attacco compiuto a Lahore - le autorità pakistane hanno diffuso in queste ore gli identikit di quattro uomini sospettati di aver partecipato all'attentato - da sottolineare che la strategia terroristica richiama i sanguinosi fatti di Mumbai, nel novembre scorso.
Il primo a rilevarlo è stato il governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer, di cui Lahore è capitale. "Sono gli stessi terroristi che hanno attaccato Mumbai. Sono criminali addestrati, non si tratta di gente comune", ha detto.
Constatazione che non può non gettare ombre inquietanti sul futuro:  una regia terroristica ben coordinata, pronta a colpire di nuovo, e non obiettivi causali.
Il fatto che è stato attaccato il pullman della squadra nazionale di cricket dello Sri Lanka ha una sua precisa valenza. Niente infatti, evidenziano gli osservatori, riesce a scatenare un fervore transfrontaliero così acceso nei Paesi del subcontinente indiano come il cricket.
Ed è per questa ragione che da anni questo sport è concepito anche come una via diplomatica da seguire quando la politica si smarrisce e deraglia.
Nel 1996 India e Pakistan mandarono le loro "nazionali dell'amicizia" nello Sri Lanka, dopo che l'Australia si rifiutò di giocare a Colombo, dove le tigri tamil avevano appena compiuto una strage. Non meno significativo fu il fatto che Musharraf, grande appassionato di cricket, nominò l'esperto diplomatico Shahryayr Khan alla guida del Pakistan Cricket Board:  dopo gli attacchi al Parlamento indiano del 2001, che portarono i due Paesi sull'orlo di uno scontro nucleare, Khan riuscì a calmare gli animi invitando la nazionale indiana a Karachi. L'entusiasmo sugli spalti fu tale che gli spettatori sembravano essersi dimenticati di aver al fianco i propri "nemici". Ecco allora che l'attacco di Lahore riveste un significato ben preciso per i terroristi:  si vuole colpire tutto ciò che può in qualche modo, anche per via indiretta o simbolica, contribuire a un clima di distensione.
Nel condannare l'attentato, il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapakse, ha affermato:  "I nostri giocatori si erano recati in Pakistan come ambasciatori di buona volontà". E invece di essere accolti dall'applauso dei tifosi, sono stati bersaglio di colpi di mitragliatrici e di lancio di granate.
Anche l'attentato a Lahore ha fornito terreno fertile per la polemica con l'India:  tensioni alimentate, con rimpallo di accuse, veleni e responsabilità, all'indomani dei fatti di Mumbai (l'India ha accusato un gruppo islamico armato pakistano per l'attacco in cui morirono 174 persone e i servizi segreti di Islamabad di essere implicati nella preparazione della strage).
Nuova Delhi, commentando l'accaduto, ha lamentato "l'inadeguatezza senza speranza" delle misure di sicurezza offerte dalle autorità pakistane agli atleti. Il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Vishnu Prakash, ha poi rivolto al Governo di Islamabad l'invito a "prendere misure significative per smantellare una volta per tutte le infrastrutture del terrorismo". Stessa richiesta avanzata, qualche giorno fa, dal nuovo inviato statunitense in Pakistan e in Afghanistan, Richard Holbrooke. Ma per le autorità pakistane il compito di sottrarsi al ricatto del terrorismo pare al momento molto difficile.

 

(© L'Osservatore Romano 6 marzo 2009)