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La strategia di Obama e le possibili aperture di Teheran

Iran, Stati Uniti
e la via afghana


di Gabriele Nicolò

Èin Afghanistan e in Pakistan che, in questo momento, si misurano gli equilibri mondiali, e se ne valuta la consistenza. Una sinergia in chiave antiterroristica da sviluppare nella regione (Afpak) sembra avvicinare Stati Uniti e Iran. Come pure tra Teheran e la Nato si respira aria di disgelo:  l'Iran parteciperà infatti alla conferenza dell'Aja sull'Afghanistan il 31 marzo. In vista di questo appuntamento vi sono stati colloqui tra l'ambasciatore iraniano e il responsabile degli affari politici dell'Alleanza Atlantica. Erano trent'anni, dalla caduta dello Scià nel 1979, che Nato e Iran non avevano contatti.
Già nel marzo scorso si era percepito che la questione afghana sarebbe stata l'elemento chiave nella riconfigurazione degli equilibri diplomatici:  il segretario di Stato statunitense, Hillary Clinton, nel proporre ai Paesi europei la conferenza dell'Aja, aveva annunciato che l'Iran sarebbe stato tra gli invitati in quanto Paese vicino dell'Afghanistan e aveva espresso l'auspicio che Teheran svolga un ruolo positivo nella stabilizzazione del Paese. E dopo Hillary Clinton, Barack Obama. Nell'illustrare la nuova strategia nella regione, il presidente statunitense ha proposto la creazione di un gruppo di contatto per l'Afghanistan, del quale facciano parte i Paesi Nato e quelli del Golfo Persico, insieme a Cina, India, Russia e, appunto, Iran.
Sebbene a livello diplomatico si tenga a precisare che contatti e proposte s'inseriscano in una strategia semplicemente esplorativa, non si può non rilevare, nello stesso tempo, che obiettivi comuni stiano adesso favorendo il riavvicinamento di Paesi storicamente nemici. Obama afferma che è in Pakistan e in Afghanistan che si gioca il futuro della pace mondiale; il ministro degli Esteri iraniano Mottaki sottolinea che l'Iran ha a cuore il destino della regione, ben conoscendone l'importanza strategica a fini di un duraturo processo di riconciliazione.
L'interrogativo che ora si pone riguarda l'effettiva consistenza di una svolta nei rapporti tra Stati Uniti e Iran, tra Iran e Nato, come pure fra Teheran e l'Unione europea. Bruxelles, dopo che Obama ha spiegato la sua strategia - non solo bossoli e più diplomazia - ha subito tenuto a far sapere che Stati Uniti e Europa sono ora più vicini. In particolare l'Italia, attraverso il ministro degli Esteri Franco Frattini, ha detto di apprezzare due elementi della nuova posizione statunitense:  la considerazione per la dimensione regionale della questione afghana e l'ammissione che la soluzione militare è solo una parte, e non la più importante, nell'impegno per la stabilizzazione. E si può ben prevedere che se l'Iran, nei fatti, dimostrerà la volontà di contribuire alla pace regionale, anche i rapporti con l'Unione europea - sempre condizionati dalla questione legata al programma nucleare di Teheran - potrebbero beneficiarne. Nello scenario s'inserisce poi la Russia. In questi giorni si è svolta a Mosca una conferenza sull'Afghanistan. Anche in tale occasione sono state indicate nuove prospettive nel ridisegnare i rapporti tra i diversi attori della scena diplomatica mondiale. Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha affermato che Mosca è pronta a considerare altre forme di assistenza al contingente Nato in Afghanistan. Il diplomatico, che guiderà la delegazione russa alla conferenza dell'Aja, ha ricordato che la Russia ha già autorizzato il transito attraverso il suo territorio di cargo, anche se non non militari, della Nato. I nuovi equilibri delle diplomazie mondiali si giocano su un terreno quanto mai infido. Venerdì lo ha ricordato lo stesso Obama. "I terroristi islamici vogliono colpirci dal Pakistan", ha ammonito. Di conseguenza la strategia da adottare non può ammettere indugi. "Occorre distruggere, smantellare, sconfiggere Al Qaeda, impedendogli in futuro ogni possibilità di ritorno" ha dichiarato il presidente statunitense, il quale comunque, per il momento, ha escluso l'invio di truppe in Pakistan. Il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates, ha inoltre rivolto ai servizi di intelligence pakistani l'invito a rompere i legami con i talebani e gli uomini di Al Qaeda. E in Afghanistan le violenze non accennano a diminuire. Si calcola che nel territorio sia cresciuto del cinquanta per cento l'impiego di ordigni improvvisati:  oltre 3.600 nel 2008. Quasi due terzi dei quarantotto soldati uccisi nel primo quarto del 2009 sono da imputare a queste micidiali bombe. Inoltre, accanto a un vasto arsenale, i terroristi dispongono di notevoli risorse economiche derivanti, soprattutto, dal traffico di droga. Non a caso, nella dichiarazione finale della conferenza di Mosca è stato sottoscritto l'impegno a combattere tale traffico. Si tratta di una sfida dal cui esito dipende gran parte del successo della lotta contro il terrorismo nella regione. Il primo ad averne consapevolezza è il ministro degli Esteri afghano Spanta, che ha denunciato le attività di una mafia internazionale della droga diretta a sostenere l'azione dei terroristi.

 

(©  L'Osservatore Romano 30-31 marzo 2009)