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Corporeità e arte cristiana

Il catechismo della carne


di Lucetta Scaraffia

Succede spesso, purtroppo, che ascoltando le omelie nelle chiese, o leggendo molta della letteratura spirituale degli ultimi anni, si rimanga colpiti dalla superficialità e ripetitività dei ragionamenti, e soprattutto dall'assenza di riferimenti al tesoro culturale rappresentato dalla tradizione della Chiesa. Sembra quasi che anche chi lo conosce sia poi incapace di attingervi in modo creativo per rispondere alle necessità spirituali del presente.
È quindi di grande interesse e indubbia utilità l'ultimo libro di Timothy Verdon (Il catechismo della carne. Corporeità e arte cristiana, Siena, Cantagalli, 2009, pagine 132, tavole 29, euro 20), sintesi del lungo lavoro di ricerca fatto dall'autore sul significato spirituale dell'arte, e al tempo stesso manuale che aiuta ad arricchire la pastorale dei nostri giorni con il patrimonio della cultura cristiana accumulato nei secoli. Partendo da due temi di grande attualità:  il corpo e l'immagine.
Da una parte, "si può parlare infatti di un nuovo linguaggio visivo, in cui l'artista risponde alla domanda della Chiesa di visualizzare "quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo" fino a quando Dio non le ebbe "rivelate per mezzo dello Spirito" (1 Corinzi, 2, 9-10; cfr. Isaia, 64, 3):  una visionarietà la cui chiave ermeneutica è la fede, che "è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Ebrei, 11, 1)".
Dall'altra, l'importanza dell'Incarnazione, cioè del fatto che Dio, rivelandosi all'interno della nostra esperienza umana, ha insegnato al cristianesimo a comunicare le verità che professa mediante raffigurazioni della persona umana; perché "nessuna grande fede - scrive a ragione l'autore - attribuisce importanza al corpo umano come il cristianesimo".
Il corpo umano, infatti, nella tradizione cristiana, veicola una catechesi di singolare eloquenza. Verdon lo spiega cominciando con il riflettere sulla concezione che le è propria del corpo, e cercando poi di leggerne le tracce spirituali e morali in opere d'arte che coprono un arco di tempo che va dal paleocristiano all'età contemporanea.
Ricordando opportunamente che nel cristianesimo il corpo è un luogo di conoscenza spirituale, di memoria morale e la forma della speranza cristiana di risorgere. Per i cristiani la corporeità è soprattutto drammatica, come si vede nella mano piagata di Cristo nella celebre tavola di Giotto che raffigura Cristo benedicente, e coinvolge insieme Dio e l'uomo:  non può quindi opporsi allo spirito, ma ne è anzi l'espressione privilegiata.
L'arte cristiana nasce a Ravenna, nei mosaici che rivelano un modo di sperimentare la realtà radicalmente diverso da quello dell'arte classica:  si crea un nuovo sistema di comunicazione scaturito dall'azione di Gesù, in cui i credenti imparano a guardare oltre il gesto storico per andare al segno eterno. Un processo di decifrazione dell'immagine che "traduce in termini visivi la tensione noetica della mistagogia cristiana", sottolinea l'autore. Ma, nonostante il linguaggio spirituale, la nuova arte coinvolgeva il corpo, e al tempo stesso l'altare, il luogo dove si svolgeva il rito liturgico:  l'immagine di Cristo, quindi, posta sull'altare, "diventa "apparizione" del senso dei gesti del sacerdote all'altare (...) rivelando così l'inscindibile nesso tra la liturgia terrena e quella celeste, nella comunione dei santi".
La riproposizione del legame ineliminabile fra le opere d'arte sacra e il luogo in cui sono poste - che segna la loro connessione con il rito liturgico - è un tema ricorrente nel procedere di Verdon, e ci aiuta a ritrovare il significato e la funzione primaria per cui queste opere sono state create. Con Giotto inizia poi un consapevole uso della bellezza del corpo, e di conseguenza della sua forza di attrazione, che troverà la sua massima espressione nel Rinascimento.
Il perfezionamento delle conoscenze anatomiche, insieme alla più raffinata indagine psicologica dei secoli XVI-XVII, permetterà a questo linguaggio, insieme artistico e teologico, che l'autore chiama "umanesimo cristiano", di svilupparsi in un'unica matrice comunicativa, dove "la hominis dignitas - il valore dell'essere umano, il senso della sua esistenza - si esprime mediante la raffigurazione del corpo". Così, ritrovando le chiavi di lettura spirituale del ricco patrimonio di arte sacra che ci circonda, possiamo meglio comprendere la ricchezza della tradizione cristiana. E attingervi per le necessità di oggi.

 

(© L'Osservatore Romano 18-19 maggio 2009)