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L'incontro tra Obama e Netanyahu

Due Stati una sola pace


di Luca M. Possati

Nel loro primo incontro alla Casa Bianca Barack Obama e Benjamin Netanyahu hanno affrontato tutte le principali questioni del Vicino Oriente. Sono emersi segnali importanti, i cui futuri sviluppi è ancora difficile prevedere. Il presidente americano ha confermato il proprio sostegno alla visione dei due Stati, israeliano e palestinese, che vivano pacificamente l'uno accanto all'altro, in piena sintonia con quanto auspicato da Benedetto XVI nel suo recente viaggio in Terra Santa:  "Che la soluzione dei due Stati divenga realtà e non rimanga un sogno". Netanyahu ha fatto sapere di "non prendere in considerazione lo spazio politico e territoriale per la nascita di uno Stato palestinese, ma al massimo una forma di autogoverno". Il premier israeliano si è detto comunque disponibile a riprendere immediatamente il dialogo con l'Olp "a patto che questi riconosca il diritto di Israele di esistere in quanto Stato ebraico".
La sensazione è che i due nuovi Governi, israeliano e americano, stiano cercando un terreno di collaborazione, ma, al momento, ciascuno secondo modalità diverse. Netanyahu è arrivato lunedì mattina a Washington portando con sé quello che lui stesso ha definito un'"impostazione nuova" al problema palestinese. Già nel discorso del 4 maggio scorso teletrasmesso alla conferenza annuale dell'Aipac (American Israel Public Affaire Committee), la più importante lobby filoisraeliana degli Stati Uniti, il leader del Likud aveva parlato di un nuovo metodo, comprensivo di "tre strade verso la pace":  quella politica, quella della sicurezza e quella economica. L'ordine non era casuale:  "Siamo pronti - aveva spiegato Netanyahu - a riprendere i negoziati di pace senza rinvii e senza precondizioni; vogliamo inoltre continuare la cooperazione con il programma guidato dal generale Dayton, in collaborazione con la Giordania e con l'Autorità palestinese per rafforzare gli apparati di sicurezza dei palestinesi:  è qualcosa in cui noi crediamo e penso che possiamo perseguirla in uno sforzo congiunto". Sul piano economico - ha continuato - "ci stiamo preparando a lavorare insieme per rimuovere il maggior numero di ostacoli possibile per far avanzare l'economia palestinese". Parole, queste, che a Ramallah il negoziatore palestinese Saeb Erekat non aveva esitato ha definire "ambigue" e alle quali aveva risposto, sempre durante il vertice dell'Aipac, il vice presidente Biden con un monito esplicito:  "Israele deve lavorare alla soluzione dei due Stati". La stessa posizione era stata annunciata dal segretario di Stato, Hillary Clinton, durante la sua prima visita in Vicino Oriente.
Al centro del primo colloquio tra Netanyahu e Obama c'è stato anche il dossier nucleare iraniano. Il Primo ministro ha chiesto che il dialogo con Teheran vada avanti con "condizioni chiare" e con un limite di tempo di circa tre mesi, trascorsi i quali occorrerà rafforzare le sanzioni e avviare misure più energiche. Solo pochi giorni fa, il capo dell'intelligence militare israeliana, generale Amos Yadlin, ha sostenuto che l'Iran è molto vicino ad acquisire un arsenale nucleare:  "La strategia iraniana è quella di non mettersi contro la comunità internazionale, proseguendo al contempo con discrezione il proprio programma". A Washington Netanyahu, ricordando che l'Iran "chiede la nostra distruzione", ha fatto leva sui timori di molti Stati arabi nei confronti delle mire espansionistiche di Teheran:  "Per la prima volta, arabi ed ebrei avvertono un comune pericolo, all'Iran non dev'essere permesso di sviluppare armi nucleari".
Obama ha spiegato di non ritenere necessario fissare una data limite negli sforzi diplomatici con l'Iran e ha insistito sulla necessità di un dialogo più aperto. Il presidente cercherà di ottenere progressi di rilievo nei negoziati entro la fine dell'anno; sarà necessario compiere "una serie di passi", comprese nuove sanzioni, ma solo se la Repubblica degli ayatollah continuerà il proprio programma nucleare. Posizione, questa, che non è affatto piaciuta ai membri dell'Aipac, di cui fanno parte anche importanti esponenti della squadra di Obama.
Del resto una mossa dell'amministrazione Obama ha costretto di recente Israele a rifiutare di aderire al Trattato di non proliferazione nucleare, sostenendo l'inefficacia del trattato in questione. L'invito a sottoscrivere la carta era giunto da Rose Gottemoeller, assistente del Segretario di Stato americano, durante un incontro al Palazzo di Vetro dei 189 Paesi che aderiscono al Trattato. Per la prima volta un'Amministrazione statunitense si è espressa chiaramente sulla questione, definendola "un obiettivo fondamentale". Secondo gli analisti, Israele dovrebbe disporre di almeno duecento testate nucleari, un numero superiore a quelle possedute da India e Pakistan. I vertici israeliani non si sono mai espressi ufficialmente.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, restano alcuni fatti che - secondo gli analisti - non potranno non incidere sul futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Proprio nel giorno in cui Netanyahu ha incontrato Obama, il Governo israeliano ha deciso di indire una gara di appalto per espandere l'insediamento ebraico a Maskiot, nella Cisgiordania settentrionale. Dure critiche al progetto sono arrivate non solo dai deputati arabi della Knesset, ma anche dai membri del Kadima, il principale partito di opposizione. Obama ha chiesto al premier Netanyahu di fermare i nuovi insediamenti nei Territori, considerati un ostacolo alla pace, e alla leadership palestinese di "portare legittimità addizionale per la sua gente e in questo l'America può essere utile:  gli altri Stati arabi devono aver il coraggio di muoversi in avanti". Una posizione che sarà ribadita nei due colloqui che Obama terrà la prossima settimana, con il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, e con il leader egiziano Hosni Mubarak.

 

(L'Osservatore Romano 20 maggio 2009)