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Elezioni presidenziali il 12 giugno

L'Iran si prepara
a riprendere il dialogo


di Giuseppe M. Petrone

Mahmud Ahmadinejad punta a un secondo mandato nelle presidenziali del 12 giugno in Iran. Eletto nel 2005 promettendo una più equa distribuzione della ricchezza derivante dal petrolio e rispolverando i valori della rivoluzione islamica del 1979, Ahmadinejad in queste ultime settimane ha ricevuto il sostegno implicito dalla Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, che, pur non volendo fare il nome del suo candidato preferito, ha tracciato un ritratto che corrisponde a quello del presidente.
"La persona da votare - ha detto Khamenei - deve capire la sofferenza del popolo, essere amico del popolo, essere lontano dalla corruzione e dal lusso". E il presidente uscente ha sempre evidenziato con i suoi comportamenti la semplicità, la vicinanza al popolo, e lo sprezzo di ogni lusso come i tratti caratteristici della sua personalità. Khamenei non si è fermato qui, ma ha difeso Ahmadinejad dalle critiche, in politica estera ed economica, mossegli dagli altri candidati. "Coloro che vedono la situazione del Paese come preoccupante - ha affermato la Guida suprema iraniana - sono irrealisti. Io conosco la situazione meglio di chiunque altro, e vi assicuro che ciò non è vero".
Il Consiglio dei Guardiani, l'organo conservatore iraniano che seleziona i candidati per le elezioni presidenziali, ha approvato anche la candidatura dell'ex capo dei pasdaran (Guardiani della rivoluzione), Mohsen Rezai, dell'ex presidente del Parlamento, il riformista Medhdi Karrubi, e dell'ex primo ministro Mir Hossein Mussavi, appoggiato dall'ex presidente riformista iraniano, Mohammad Khatami, che durante un comizio ha affermato:  "Non lasciatevi sfuggire questa opportunità. Voi tutti, venite a votare e, scrivendo il nome di Mir Hossein Mussavi sulla scheda, compirete il vostro dovere nei confronti della rivoluzione e dell'islam e deciderete il vostro futuro". Khatami, che fu presidente dal 1997 al 2005, ha aggiunto:  "So che le restrizioni delle libertà e del pensiero sono aumentate e le ingerenze sono aumentate nel periodo elettorale per impedire che la volontà popolare si concretizzi. Ma so che la gente è esperta e sveglia".
Dal canto suo, Ahmadinejad ha respinto le critiche degli altri candidati sui risultati della sua Amministrazione in campo economico, affermando che il Paese sta crescendo a un tasso del cinque-sei per cento nonostante la crisi globale. I candidati rivali di Ahmadinejad hanno accusato il Governo di Teheran di aver sprecato gli introiti dalle vendite del petrolio nei momenti di picco dei prezzi, favorendo l'inflazione e non preparando il Paese alla caduta delle quotazioni.
Gli sfidanti del presidente iraniano insistono sul volere una distensione con l'Occidente. Occorre costruire "migliori relazioni dell'Iran con il mondo", ha affermato Mir Hossein Mussavi, accusando Ahmadinejad, come ha fatto Karrubi, di aver portato il Paese verso l'isolamento con la sua retorica intransigente. Il presidente iraniano durante la campagna elettorale ha ripetuto le oramai consuete accuse contro Israele, l'Occidente e i riformatori che criticano la sua politica. Nondimeno, tutti i candidati insistono nel diritto della Repubblica islamica a continuare nel suo programma nucleare. Il risultato è che le loro posizioni, nei fatti, non si distanziano di molto da quelle di Ahmadinejad, il quale si è detto favorevole a un dialogo con gli Stati Uniti, purché nel "rispetto reciproco". In queste settimane di campagna elettorale, nel corso di un comizio, il presidente Ahmadinejad ha però sottolineato che "i negoziati al di fuori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) non devono riguardare il nucleare, ma soltanto le altre questioni internazionali e la pace nel mondo".
È comunque stato visto come un segnale di apertura di Teheran la liberazione della giornalista americana di origini iraniane Roxana Saberi, scarcerata grazie alla sentenza della Corte d'appello di Teheran che ha ridotto da otto a due anni la pena inflittale per l'accusa di spionaggio, concedendole la sospensione condizionale. Dopo la sentenza di primo grado, una lettera di Ahmadinejad, nella quale chiedeva alla magistratura che fossero rispettati "i diritti alla difesa" dell'imputata, ha favorito il rilascio della giornalista. Gli Stati Uniti hanno accolto con soddisfazione la liberazione, definita dal presidente americano, Barack Obama "un gesto umanitario".
La politica della mano aperta instaurata dalla nuova Amministrazione statunitense nei rapporti internazionali non ha avuto finora risposte concrete da parte dell'Iran soprattutto per quanto concerne la questione dei programmi nucleari di Teheran. La campagna elettorale in corso rende improponibile adesso per le autorità di Teheran l'inizio di un negoziato con la comunità occidentale. Le risposte iraniane al nuovo atteggiamento statunitense continuano a essere controverse e lo stesso ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha annullato, in pochi mesi, per due volte una visita a Teheran che avrebbe avuto lo scopo di coinvolgere maggiormente l'Iran - invitata alla conferenza di Trieste a fine giugno, nell'ambito del g8 - nella stabilizzazione dell'Afghanistan. D'altra parte, il recente attentato alla moschea sciita Amir Al Momenin, di Zahedan, al confine con Pakistan e Afghanistan, conferma la tensione esistente nella regione. La strage si è verificata nel Sistan-Baluchistan, una regione poverissima, a maggioranza sunnita, in un Iran a stragrande maggioranza sciita, crocevia del contrabbando di armi e droga dal vicino Afpak e teatro di azioni terroristiche di indipendentisti.
Qualsiasi sia il risultato delle presidenziali in Iran, il probabile forte avanzamento della coalizione di cui fanno parte gli Hezbollah alle elezioni parlamentari libanesi del 7 giugno e il ritorno degli sciiti al potere in Iraq prefigurano una crescita del potere sciita nel Vicino Oriente. Lo scenario che può dunque delinearsi è quello di un Iran che, nel dopo elezioni, potrebbe sentirsi più influente e con un nuovo ruolo strategico nella regione. Per questi motivi i prossimi mesi sono destinati a essere decisivi:  l'offerta di dialogo di Obama e dell'Occidente rimarranno giustamente ancora in piedi ma Teheran dovrà dare delle risposte concrete per creare un clima di fiducia sul tema del nucleare.

 

(© L'Osservatore Romano 5 giugno 2009)