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Si tengono le elezioni legislative

Un voto
per il futuro del Libano


di Luca M. Possati

Apiù di un anno dalla sigla dell'accordo di Doha, che nel maggio del 2008 pose fine agli scontri armati tra le milizie sciite di Hezbollah e le Forze del 14 Marzo scongiurando il pericolo di una nuova guerra civile, il Libano si appresta ad affrontare domani, domenica 7 giugno, il voto per le elezioni legislative. La comunità internazionale auspica consultazioni corrette e scevre da influenze esterne, che sappiano aprire una nuova fase politica contraddistinta dal dialogo e dalla concertazione. Ma lo scenario è altamente incerto, gli interrogativi sono tanti. Washington ha annunciato che valuterà la forma della propria assistenza in futuro sulla base della composizione del nuovo Governo, a fronte anche del fatto che Hezbollah - ancora annoverato dagli Stati Uniti nell'elenco delle organizzazioni terroristiche - ha buone probabilità di guidare la prossima maggioranza. Il segretario generale del movimento sciita, Hassan Nasrallah, ha già assicurato che in caso di vittoria l'Iran, Paese con il quale Hezbollah intrattiene rapporti di speciale  collaborazione,  sarebbe pronto a "rafforzare militarmente il Libano".
In base al complesso sistema politico libanese, nessun gruppo può governare da solo. Sarà quindi determinante il gioco delle alleanze delineatosi durante la campagna elettorale. Dal punto di vista tecnico, infatti, l'Assemblea Nazionale è composta da 128 seggi ripartiti su base confessionale. Ogni confessione religiosa ha un numero di posti fisso:  ai cristiani maroniti sono destinati trentaquattro seggi; ai sunniti e agli sciiti ventisette seggi a testa; ai cristiani greco-ortodossi quattordici seggi; ai cristiani greco-cattolici otto seggi; ai drusi otto seggi; ai cristiani armeni ortodossi cinque seggi; agli alawiti due seggi e alle altre comunità cristiane tre seggi. Il Libano è diviso in cinque grandi governatorati, a loro volta suddivisi in vari collegi elettorali, in ognuno dei quali i seggi destinati alle diverse confessioni sono già prestabiliti. Ogni elettore, di qualunque confessione egli sia, ha la libertà di votare per qualsiasi seggio disponibile nel proprio collegio. Tuttavia, per ogni posto, ciascun candidato ha come avversari solo uomini della stessa confessione. In tal senso, coloro che concorrono per l'assegnazione di un seggio sono costretti a ottenere i consensi anche degli altri gruppi confessionali, non solo quelli del proprio. Un modo - spiegano gli osservatori - per cercare di ridurre al minimo le tensioni e garantire spazi di dialogo.
Di conseguenza, anche se Hezbollah dovesse ottenere la maggioranza, non potrebbe occupare più dei ventisette seggi della comunità sciita, che comunque deve condividere con il forte partito Amal del Presidente del Parlamento uscente Berri. Per questo a giocare un ruolo chiave, in ogni caso, sarà la ripartizione dei seggi assegnati alla comunità cristiana maronita in base ai diversi movimenti interni. Questi seggi se li contenderanno tre fazioni:  il Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun, alleato dell'attuale opposizione, le Forze Libanesi di Samir Geagea e i Falangisti di Amin Gemayel, che sostengono invece la maggioranza del Fronte del 14 Marzo guidata dal sunnita Saad Hariri.
Dal gioco delle alleanze tra i partiti dipende anche la formazione del futuro Esecutivo. Due scenari sono possibili. Una vittoria dell'attuale maggioranza dovrebbe portare - qualora i leader del Fronte del 14 Marzo rispettino quanto dichiarato in campagna elettorale - alla formazione di un Esecutivo che non prevede la distribuzione dei ministeri stabilita dall'accordo di Doha:  trenta ministri, di cui sedici della maggioranza, undici dell'opposizione e tre nominati dal presidente della Repubblica Michel Sleiman (in tal modo i due terzi dei voti richiesti per le decisioni più importanti sono impossibili da raggiungere senza il consenso dell'opposizione). Al contrario, il Fronte dell'8 Marzo in caso di vittoria si è impegnato a rispettare tale distribuzione.
Ciò nonostante, un successo del movimento di Hassan Nasrallah - il controllo dell'Esecutivo - non potrà non avere conseguenze a livello nazionale e internazionale. Sul primo piano, significherebbe una cosa precisa:  minore pressione per regolarizzare l'arsenale militare del partito di Dio, questione rimasta in sospeso nelle trattative di Doha nonostante la risoluzione dell'Onu che chiede lo smantellamento di tutti i gruppi armati.
Sul secondo piano, una vittoria delle forze politiche guidate da Hezbollah comporterebbe un aumento della tensione nei rapporti con il Governo israeliano di Benjamin Netanyahu e con gli Stati Uniti. Il recente discorso di Barack Obama al Cairo non è stato accolto con entusiasmo. Dalle parole dell'esponente sciita, Ammar Mussawi, emergono tutte le perplessità e i timori del partito di Dio:  "D'accordo, la democrazia non va imposta con la forza, ma non si può predicare la democrazia e poi respingerne i risultati:  prendiamo il caso di Hamas che, dopo aver vinto le elezioni del 2006, ha dato il via a un Governo legittimo. Ebbene quel Governo è stato boicottato". Ma il blocco sciita di Hezbollah e Amal dovrà fare attenzione anche a quella che gli osservatori definiscono la "terza via" sciita:  è la proposta di numerosi intellettuali, esponenti religiosi e liberi professionisti del Libano, pronti a contarsi nelle elezioni, votando scheda bianca o sostenendo i pochi candidati opposti ai partiti dominanti.
D'altra parte, un'eventuale vittoria dell'attuale maggioranza, nel caso attui il proposito, espresso finora, di governare da sola, andrebbe incontro a prevedibili pesanti conseguenze sul piano interno:  le stesse che portarono un anno fa al colpo di mano con cui Hezbollah, sentendosi minacciato, occupò militarmente in poche ore buona parte della capitale, e il Libano si ritrovò sull'orlo della guerra civile. Speriamo che quest'anno non sia passato invano.

 

(© L'Osservatore Romano 7 giugno 2009)