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«Caritas in veritate»

Due Papi e la Trasfigurazione


di Robert Imbelli

La Trasfigurazione, una delle feste teologicamente più ricche, rivela il vero volto del Signore, Figlio amato del Padre, e il destino a cui i discepoli e tutti gli uomini siamo chiamati, svelando la verità di Cristo e dell'intera umanità, come racconta san Marco:  "Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro" (9, 2).
Alcuni Padri della Chiesa hanno inteso le parole "sei giorni dopo" come un annuncio del compimento della creazione. La creazione di Adamo ed Eva da parte di Dio si compie cioè nella rivelazione dell'uomo vero, il nuovo Adamo, Gesù Cristo, nel quale la gloria di Dio dimora fisicamente.
Inoltre, la progressiva educazione dell'umanità da parte di Dio, attraverso la paziente pedagogia della Torah e dei Profeti, culmina nel Figlio di Dio. Pertanto, Mosè ed Elia appaiono avvolti nella luce, la cui fonte è Cristo. La loro testimonianza è stata un'anticipazione della gloria pienamente rivelata in Cristo, le loro parole un'eco della Parola del Padre diventata umana in Gesù.
Nella Caritas in veritate il Papa scrive:  "Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale" (n. 78). Questo tema, caro a Paolo VI, ispira la dottrina sociale della Chiesa e spinge a ricercare lo sviluppo umano integrale. Attingendo alla Populorum progressio, l'enciclica di Benedetto XVI sottolinea che "la verità dello sviluppo consiste nella sua integralità:  se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo" (n. 18).
L'umanesimo integrale esalta la dignità di ogni persona dal concepimento alla morte naturale. Riconosce i bisogni materiali e spirituali della famiglia umana. Promuove la giustizia sociale e attribuisce il posto più elevato al bene comune. Sa che il servizio a questo bene esige una solidarietà concreta ed efficace a ogni livello. Riconosce che il destino dell'umanità è collettivo e che il suo fine ultimo è la comunione dei santi, che vivono con Dio per l'eternità. Un umanesimo davvero integrale contempla l'umanità e tutto il creato alla fine trasfigurati in Cristo.
In questa luce, pertanto, si può celebrare la Trasfigurazione come la festa in cui la Chiesa proclama la sua visione dell'umanesimo integrale. Il contemplare la bellezza del Cristo trasfigurato fa sì che i discepoli desiderino che il mondo intero sia avvolto dalla luce trasfigurata e agiscano con audacia secondo questo santo desiderio.
Ma la Trasfigurazione rivela anche "il prezzo del discepolato" (Dietrich Bonhoeffer). Nel racconto di san Luca, Mosè ed Elia parlano con Gesù del "suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme" (9, 31). La piena portata dell'amore di Gesù, la sua caritas in veritate, si manifesta solo nel mistero pasquale. La nuova vita trasfigurata può essere ottenuta solo attraverso la morte del vecchio Adamo in noi, affinché possiamo rinascere alla novità della vita trasfigurata.
Per vivere fedelmente il cammino della fede serve un rinnovato impegno a seguire il Cristo trasfigurato. La visione cristiana di un umanesimo integrale deve essere incarnata in una spiritualità integrale in cui preghiera e azione, verità e amore, responsabilità individuale e giustizia sociale formano un insieme inconsutile.
La Caritas in veritate è permeata dalla convinzione che occorrano disciplina spirituale e conversione costante:  "Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace. Tutto ciò è indispensabile per trasformare i "cuori di pietra" in "cuori di carne" (Ezechiele, 36, 26), così da rendere "divina" e perciò più degna dell'uomo la vita sulla terra" (n. 79).
Paolo VI ha manifestato questo mistero nella sua vita. L'immagine del Signore trasfigurato ha dato energia al cuore della sua spiritualità e della sua speranza per la Chiesa e l'umanità. È una meravigliosa grazia della Provvidenza che questo Papa sia morto la sera della festa, il 6 agosto 1978.
Tra le ultime parole ascoltate da Paolo VI, nella messa della festa, c'erano probabilmente quelle della seconda lettera di Pietro (1, 17-19), che sono una testimonianza di questo grande Pontefice. Gesù "ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce della maestosa gloria:  "Questi è il Figlio mio, l'amato, nel quale ho posto il mio compiacimento". Questa voce noi l'abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei nostri cuori la stella del mattino".