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La visita del Papa alla diocesi di Viterbo

Da Agostino a Bonaventura


Il desiderio di visitare Viterbo e Bagnoregio - è il sedicesimo incontro con una diocesi italiana - Benedetto XVI l'ha portato sempre con sé. Per via di san Bonaventura, il Dottore serafico, figura capitale nella sua formazione culturale. Quando nel 2007 Papa Ratzinger si inginocchiò a Pavia ai piedi delle spoglie mortali di sant'Agostino, un altro dei suoi fari nel personale itinerario teologico, era facile prevedere che, presto o tardi, sarebbe andato a visitare Bagnoregio, patria di Bonaventura, eminente seguace di Agostino. Il grande Padre africano, il teologo francescano e Tommaso d'Aquino formano tre direttori di orchestra che interpretano con diversa sensibilità la stessa sinfonia. Sommi maestri che hanno cercato di capire il rapporto tra fede e ragione, tra fede e storia; in altri termini, quale rapporto ci possa essere tra Dio e l'uomo, tra la realtà invisibile e quella visibile e come cambi il senso della vita personale e sociale aprendo la propria anima e il proprio intelletto alla contemplazione di Dio.

La filosofia - scriveva san Bonaventura - è una via per arrivare alle altre scienze, ma chi si vuole fermare cade nelle tenebre. Andare oltre la conoscenza di ragione aprendosi, almeno come interrogativo plausibile, alla conoscenza della fede ha rappresentato un filo costante nella riflessione dei Padri della Chiesa. E per san Bonaventura Cristo rimane la via di tutte le scienze.
Sprazzi di vita di Joseph Ratzinger, prima che diventasse Papa, aiutano a capire la genesi lontana dell'odierna visita pastorale a Viterbo e Bagnoregio. Il 13 novembre 2000 il cardinale Ratzinger si presentò alla Pontificia Accademia delle scienze di cui era divenuto membro, richiamando brevemente la sua formazione teologica, determinata dal movimento biblico, liturgico ed ecumenico. E mise a fuoco due figure eminenti, Agostino e Bonaventura, sulle quali si era concentrato negli studi prima della "meravigliosa opportunità di presenziare al concilio Vaticano ii come esperto". Un tempo "molto gratificante della mia vita - ricordava Ratzinger - nel quale mi fu possibile essere parte di tale riunione, non solo tra vescovi e teologi, ma anche tra continenti, culture diverse e distinte scuole di pensiero e di spiritualità nella Chiesa".
È sotto gli occhi di tutti come i temi cari ai Padri della Chiesa siano quelli prediletti dal magistero ordinario di Benedetto XVI e come egli, proprio passando attraverso la scuola del concilio, sappia dare eco al linguaggio patristico rivitalizzandolo nel mondo globalizzato e ipertecnico di oggi.
Una direzione di marcia che, dal primo incontro con Agostino e Bonaventura, ha poi sempre mantenuto. Non arroccandosi, ma dialogando con le scienze moderne, convinto che la ricerca della verità senza pregiudizi porti a una maggiore comprensione umana e a un'apertura alla trascendenza.
Sulla scia dei Padri, Benedetto XVI non tiene per sé l'elaborazione teologica e l'esperienza cristiana conseguente, ma le condivide con i fedeli e anche con quanti semplicemente si interrogano sul senso del vivere e del morire, amare e sperare. Il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, ha invitato il Papa in una città - che in tempi ormai remoti fu sede pontificia - per confermare la Chiesa diocesana nella fede. E questo significa dare più spazio nella vita quotidiana allo Spirito, leggere la storia con gli occhi di Dio, cominciando cioè dalla fine, quando tutte le cose si ritroveranno purificate e pacificate.
La sensibilità del Papa per la spiritualità - vista come primario impegno della Chiesa, concretata nell'anno di riflessione sulla Parola di Dio nell'anniversario paolino e, ora, con un anno sacerdotale per tornare alle radici del ministero pastorale - non è un'espressione di timore della vita che ferve nella città secolare, ma mostra la sua convinzione che solo una vita animata dalle ragioni e dall'esperienza della fede cristiana possa dare credibilità alla Chiesa e alla sua predicazione su Dio. Di Lui non si può fare a meno perché egli è più intimo a noi di quanto non lo siamo a noi stessi. Difficile, pure volendo, accantonarlo e isolarlo, dal momento che Dio non è avversario dell'uomo. Come insegna Bonaventura e come ripete in molti modi Benedetto XVI.

c. d. c.

 

(© L'Osservatore Romano 6 settembre 2009)